Ricusazione del giudice: se non viene proposta nel corso del giudizio non può essere motivo di nullità della sentenza

La norma di cui all’art. 186 bis disp. att. c.p.c., introdotto dall’art. 52, comma 7, legge n. 69/2009, pur prevedendo nell’ipotesi di incompatibilità tra giudice persona fisica che abbia conosciuto dell’atto esecutivo opposto ed il giudice investito del giudizio di opposizione agli atti esecutivi avverso quello stesso atto, un obbligo di astensione ai sensi dell’art. 51, n. 4, c.p.c., tuttavia, non implica che la violazione di tale obbligo, in difetto di ricorso per la ricusazione del giudice, comporti la nullità della sentenza non essendo, questo motivo deducibile in sede di impugnazione.

Il fatto. Il Tribunale territorialmente competente, dichiarava inammissibile l’opposizione proposta dal Ministero della Giustizia nell’ambito del processo di esecuzione per espropriazione presso terzi intrapresa nei confronti della parte, persona fisica, che aveva ottenuto un decreto dalla Corte di Appello territorialmente competente in tema di equa ripartizione per violazione del termine di durata ragionevole del processo Legge Pinto . Pertanto, avverso la sentenza il Ministero della Giustizia proponeva ricorso straordinario per Cassazione. La sentenza pronunciata in violazione dell’obbligo di astensione del giudice è nulla solo se egli vanta un interesse proprio e diretto nella causa tale da porlo in qualità di parte nel giudizio. É quanto affermato dalla Corte di Cassazione, nella sentenza n. 22854, depositata il 28 ottobre 2014. In particolare, con uno dei tre motivi di ricorso il ricorrente deduceva la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 158 c.p.c. e dell’art. 186 bis disp. att. c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c In particolare, il Ministero sosteneva che, essendo stata l’opposizione agli atti esecutivi instaurata con ricorso dopo la data di entrata in vigore dell’art. 186 bis cit. si sarebbe dovuta applicare quest’ultima norma e quindi, il giudizio di merito di cui all’art. 618, comma 2, c.p.c. avrebbe dovuto essere trattato da magistrato diverso rispetto al giudice dell’esecuzione. Dal momento che la sentenza impugnata è stata, invece, pronunciata dalla medesima persona fisica che, trattando il processo esecutivo, aveva conosciuto del pignoramento avverso il quale era stata proposta l’opposizione, la sentenza sarebbe nulla per vizio di costituzione del giudice ai sensi dell’art. 158 c.p.c. . I giudici di legittimità hanno ritenuto il predetto motivo infondato sulla scorta dell’inapplicabilità al caso di specie dell’art. 186 bis cit. in quanto, secondo quanto disposto dalla normativa transitoria, giudizio instaurato dopo la data del 4 luglio 2009 e comunque in base alla seguente motivazione. La ratio ispiratrice dell’introduzione dell’art. 186 bis cit. consente di ricondurre l’incompatibilità ivi sancita all’ipotesi considerata, in generale, quale presupposto dell’obbligo di astensione del giudice sancita dall’art. 51, n. 4, c.p.c La norma di cui all’art. 186 bis cit., pertanto, non è norma sulla costituzione del giudice, bensì, introduce un’ipotesi speciale di obbligo di astensione del magistrato con la conseguenza che la sua violazione non comporta di per sé, un vizio della sentenza. In proposito gli ermellini ribadiscono che la pronunciata resa da un giudice che abbia violato l’obbligo di astenersi è nulla solo se il egli vantava un interesse proprio e diretto nella causa tale da porlo nella qualità di parte del giudizio. Negli altri casi la violazione dell’obbligo può costituire solo motivo di ricusazione con la conseguenza che quella violazione resta ininfluente se la relativa istanza non è stata tempestivamente proposta, nonché, come nella specie, in riferimento ad un giudizio di opposizione agli atti esecutivi cui non era applicabile ratione temporis l’art. 186 bis cit Concludendo. Tale assunto non si pone certamente in contrasto con la norma costituzionale di cui all’art. 111 giacché essa nel fissare i principi fondamentali del giusto processo tra i quali, appunto, l’imparzialità e terzietà del giudice ha demandato al legislatore ordinario di dettarne la disciplina e, in considerazione della peculiarità del processo civile, fonato sull’impulso paritario delle parti, non è arbitraria la scelta del legislatore di garantire, nell’ipotesi anzidetta, l’imparzialità e terzietà del giudice tramite gli istituti dell’astensione e della ricusazione, strumenti certamente adeguati e congrui.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, sentenza 2 luglio – 28 ottobre 2014, n. 22854 Presidente Finocchiaro – Relatore Barreca Motivi della decisione 1.- Col primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 617 cod. proc. civ., dell'art. 1 ter del d.l. 16 settembre 2008 n. 143 così come convertito dalla legge 13 novembre 2008 n. 181 , in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ Il Ministero sostiene che il pignoramento avrebbe dovuto essere eseguito secondo le forme imposte dall'art. 1 del d.l. n. 313 del 1994 richiamato dall'art. 1 ter di cui in rubrica e che il mancato rispetto di queste forme comporterebbe una nullità espressamente prevista, da qualificarsi come insanabile, rilevabile d'ufficio e non assoggettata al termine dell'art. 617 cod. proc. civ Deduce l'erroneità della sentenza che ha applicato quest'ultimo termine, dichiarando perciò inammissibile l'opposizione agli atti esecutivi. 1.1.- Col secondo motivo, si ribadiscono le medesime censure, deducendo il vizio di violazione delle norme anzidette in relazione al n. 4 dell'art. 360 cod. proc. civ 2.- I motivi sono infondati e vanno rigettati, sebbene la motivazione della sentenza debba essere corretta secondo quanto appresso. L'art. 1 ter del d.l. 16 settembre 2008 n. 143 così come convertito dalla legge 13 novembre 2008 n. 181 , entrato in vigore il 16 novembre 2008, ha esteso la forma di pignoramento prevista dall'art. 1 del decreto legge 25 maggio 1994 n. 313, convertito con modificazioni dalla legge 22 luglio 1994 n. 460 e successive modificazioni, ai fondi destinati al pagamento di spese per servizi e forniture aventi finalità giudiziaria o penitenziaria, nonché agli emolumenti di qualsiasi tipo dovuti al personale amministrativo dal Ministero della giustizia, accreditati mediante apertura di credito in favore dei funzionari delegati degli uffici centrali e periferici del Ministero della giustizia, degli uffici giudiziari e della Direzione Nazionale Antimafia” . Secondo il Ministero ricorrente, l'effetto di questa estensione sarebbe che, in presenza di fondi pignorabili diversi da quelli da ultimo menzionati, i pignoramenti a carico del Ministero della Giustizia si dovrebbero eseguire sempre nelle forme dell'espropriazione mobiliare presso il debitore con atto notificato al funzionario delegato nella cui circoscrizione risiedono i soggetti privati interessati, secondo quanto previsto dall'art. 1 del d.l. n. 313 del 1994 con la conseguenza che, ai sensi del comma terzo di questo stesso articolo, non sarebbero mai ammessi nei confronti del Ministero della Giustizia atti di pignoramento presso le sezioni di tesoreria dello Stato, a pena di nullità rilevabile anche d'ufficio. 2.1.- La questione da risolvere non è tanto quella, affrontata, in via principale, da entrambi i motivi di ricorso, della natura e della sanabilità di questa nullità, nonché dei rimedi esperibili avverso il pignoramento che ne sia affetto, quanto quella dell'applicabilità della norma che la prevede, vale a dire dell'applicabilità, al pignoramento oggetto della presente opposizione, dell'art. 1 del d.l. n. 313 del 1994, in quanto richiamato dall'art. 1 ter del d.l. n. 143 del 2008, e del significato da attribuire a questo richiamo. Quindi occorre verificare se sia corretto il presupposto di diritto sul quale il Ministero fonda le proprie censure l'esclusività della forma del pignoramento diretto quale unica utilizzabile nei confronti del Ministero della Giustizia a cui farebbe seguito l'invalidità del pignoramento presso terzi eseguito dal D. , con sottoposizione ad esecuzione delle somme detenute per conto dell'Amministrazione dalla Banca d'Italia, Tesoreria Provinciale dello Stato di Reggio Calabria nella qualità di terzo pignorato . Soltanto se le dette norme fossero applicabili, si avrebbe la dedotta nullità e quindi si dovrebbe affrontare l'ulteriore questione della natura di siffatta invalidità, così come posta dal Ministero ricorrente. 3.- Orbene, il Collegio ritiene che l'effetto dell'estensione di cui alla norma da questo richiamata sia soltanto quello che i fondi contemplati dall'art. 1 ter del d.l. 16 settembre 2008 n. 143, così come convertito dalla legge 13 novembre 2008 n. 181, siano impignorabili, ma con le eccezioni relative ai crediti espressamente indicati dall'art. 1 del decreto legge 25 maggio 1994 n. 313, convertito con modificazioni dalla legge 22 luglio 1994 n. 460. Quest'ultima norma prevede infatti, al primo comma, che i fondi di contabilità speciale ivi espressamente contemplati, non sono soggetti ad esecuzione forcata, salvo che per i casi previsti dal capo V del titolo VI del libro I del codice civile A , nonché dal testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, approvato con decreto del presidente della repubblica 5 gennaio 1950, n. 180” . Segue ai comma successivi la previsione delle modalità con cui si effettua il pignoramento, nei soli casi in cui è consentito sui fondi vincolati, vale a dire nei casi menzionati dal primo comma. Soltanto per tali ultimi crediti il mezzo di espropriazione utilizzabile per pignorare somme facenti parte dei fondi di contabilità speciale è il pignoramento diretto presso il debitore, con la conseguente nullità, insanabile e rilevabile d'ufficio, del pignoramento eseguito presso le sezioni di tesoreria dello Stato. In conclusione, la speciale disciplina prevista dall'art. 1 del dl n. 313 del 1994 si applica ai soli casi in cui, in via eccezionale, è ammesso il pignoramento di fondi vincolati. Depone in tale senso anche la lettera della legge, laddove prevede, al terzo comma, l'inammissibilità di forme diverse di pignoramento, quando questo possa essere eseguito ai sensi della presente legge”. Il significato dell'estensione effettuata con il decreto legge n. 143 del 2008 può essere colto appieno soltanto considerando quanto previsto dall'art. 1, comma 1348, della legge 27 dicembre 2006 n. 296 – Legge finanziaria 2007, che, aggiungendo il comma 294 bis all'art. 1 della legge 23 dicembre 2005 n. 266 - Legge finanziaria 2006, aveva sottratto all'esecuzione forzata, senza alcuna eccezione, i fondi destinati al pagamento di spese per servici e forniture aventi finalità giudiziaria o penitenziaria, nonché gli emolumenti di qualsiasi tipo dovuti al personale amministrativo dal Ministero della giustizia e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, accreditati mediante apertura di credito in favore dei funzionali delegati degli uffici centrali e periferici del Ministero della giustizia, degli uffici giudicati e della Direzione Nazionale Antimafia e della Presidenza del Consiglio dei ministri ”. Con l'art. 1 ter del di. 16 settembre 2008 n. 143, così come convertito dalla legge 13 novembre 2008 n. 181, si è, invece, consentita la pignorabilità degli stessi fondi, sia pure nei soli casi contemplati dall'art. 1 del decreto legge 25 maggio 1994 n. 313, convcrtito con modificazioni dalla legge 22 luglio 1994 n. 460 ed, in tali casi, con le modalità del pignoramento diretto previste dalla stessa norma. Tra le ipotesi eccezionali di pignorabilità previste dall'art. 1 del decreto legge 25 maggio 1994 n. 313, convertito con modificazioni dalla legge 22 luglio 1994 n. 460, non vi sono i crediti vantati dai privati in forza di un decreto di liquidazione emesso dalla Corte d'Appello ai sensi della legge n. 89 del 2001. 3.1.- Risulta dal ricorso e dalla sentenza che, nel caso di specie, è stato portato ad esecuzione il decreto rep. n. 1298 del 25 luglio - 3 agosto 2007 emesso in favore di D.M. ed a carico del Ministero della Giustizia dalla Corte d'Appello di Catanzaro ai sensi della legge n. 89 del 2001 che il creditore ha sottoposto ad esecuzione, con la forma dell'espropriazione presso terzi, le somme detenute per conto dell'Amministrazione dalla Banca d'Italia, Tesoreria provinciale dello Stato di Reggio Calabria terzo pignorato che la Banca d'Italia ha trasmesso la dichiarazione di terzo di cui all'art. 547 cod. proc. civ., dando atto, oltre che dell'entrata in vigore della disciplina del decreto legge n. 143 del 2008, dell'apposizione comunque del vincolo pignora tizio sugli ordini di accreditamento specificati nella stessa dichiarazione attesa la disponibilità di altri fondi” ritenuti pignorabili nella forma del pignoramento presso terzi. Questa dichiarazione, testualmente riportata in ricorso, consente perciò di escludere che fossero stati pignorati fondi contemplati dall'art. 1 ter del di 16 settembre 2008 n. 143, così come convertito dalla legge 13 novembre 2008 n. 181 vale a dire fondi destinati al pagamento di spese per servici e forniture aventi finalità giudiziaria o penitenziaria, nonché agli emolumenti di qualsiasi tipo dovuti al personale amministrativo dal Ministero della giustizia, accreditati mediante apertura di credito in favore dei funzionati delegati degli uffici centrali e periferici del Ministero della giustizia, degli uffici giudiziari e della Direzione Nazionale Antimafia” . Esclusa l'ipotesi dell'impignorabilità dei fondi di contabilità speciale peraltro, nemmeno sostenuta dal Ministero ricorrente , non avrebbe potuto trovare applicazione la disciplina sulla forma speciale del pignoramento difetto presso il debitore, che le norme sopra richiamate riserva va no ai casi eccezionali di pignorabilità di fondi di contabilità speciale per particolari crediti, tra i quali non rientra va no i crediti per equa riparazione ai sensi della legge Pinto. Pertanto, i primi due motivi di ricorso non meritano di essere accolti perché lamentano la violazione e la falsa applicazione dell'art. 1 ter del dl n. 143 del 2008, convertito dalla legge n. 181 del 2008, che non si sarebbe potuto applicare, in quanto non destinato a disciplinare l'azione esecutiva intrapresa contro il Ministero della Giustizia sulla base del titolo esecutivo costituito dal decreto pronunciato dalla Corte d'Appello ai sensi della legge n. 89 del 24 marzo 2001. 4.- Riscontro normativo di questa conclusione si rinviene nel disposto dell'attuale art. 5 quinquies della legge n. 89 del 2001, introdotto dall'art. 6, comma 6, del decreto legge n. 35 dell'8 aprile 2013, convertito nella legge n. 64 del 6 giugno 2013. Questa disposizione fa seguito ad una modifica del menzionato art. 1, comma 294 bis, della legge n. 266 del 2005, attuata con l'art. 1, comma 24, della legge 24 dicembre 2012 n. 228, nei seguenti termini Non sono soggetti ad esecuzione forcata i fondi destinati al pagamento di spese per servici e forniture aventi finalità giudiziaria o penitenziaria, nonché le aperture di credito a favore dei funzionari delegati degli uffici centrali e periferici del Ministero della giustizia, degli uffici giudiziari e della Direzione nazionale antimafia e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, destinati al pagamento di somme liquidate a norma della legge 24 marzo 2001, n. 89, ovvero di emolumenti e pensioni a qualsiasi titolo dovuti al personale amministrato dal Ministero della giustizia e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri ”, in vigore dal 1 gennaio 2013. A distanza di pochi mesi, il legislatore ha ritenuto tale ultima modifica non idonea, da sola, a garantire l'ordinato pagamento dei creditori di somme liquidate ai sensi della legge Pinto. Perciò, ha introdotto l'attuale art. 5 quinquies della legge n. 89 del 2001, che, nell'enunciare la finalità della modifica normativa, prevede 1. Alfine di assicurare un'ordinata programmazione dei pagamenti dei creditori di somme liquidate a norma della presente legge, non sono ammessi, a pena di nullità rilevabile d'ufficio, atti di sequestro o di pignoramento presso la Tesoreria centrale e presso le Tesorerie provinciali dello Stato per la riscossione coattiva di somme liquidate a norma della presente legge. 2. Ferma restando l’impignorabilità prevista dall'articolo 1, commi 294-bis e 294-ter, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, e successive modificazioni, anche relativamente ai fondi, alle aperture di credito e alle contabilità speciali destinati al pagamento di somme liquidate a norma della presente legge i creditori di dette somme, a pena di nullità rilevabile d'ufficio, eseguono i pignoramenti e i sequestri esclusivamente secondo le disposizioni del libro III, titolo II, capo II del codice di procedura civile, con atto notificato ai Ministeri di cui all'articolo 3, comma 2, ovvero al funzionario delegato del distretto in cui è stato emesso il provvedimento giurisdizionale posto in esecuzione, con l’effetto di sospendere ogni emissione di ordinativi di pagamento relativamente alle somme pignorate. L'ufficio competente presso i Ministeri di cui all'articolo 3, comma 2, a cui sia stato notificato atto di pignoramento o di sequestro, ovvero il funzionario delegato sono tenuti a vincolare l'ammontare per cui si procede, sempreché esistano in contabilità fondi soggetti ad esecuzione forzata la notifica rimane priva di effetti riguardo agli ordini di pagamento che risultino già emessi. 3. Gli atti di pignoramento o di sequestro devono indicare a pena di nullità rilevabile d'ufficio il provvedimento giurisdizionale posto in esecuzione. 4. Gli atti di sequestro o di pignoramento eventualmente notificati alla Tesoreria centrale e alle Tesorerie provinciali dello Stato non determinano obblighi di accantonamento da parte delle Tesorerie medesime, né sospendono l'accreditamento di somme a favore delle Amministrazioni interessate. Le Tesorerie in tali casi rendono dichiarazione negativa, richiamando gli estremi della presente disposizione di legge. 5. L'articolo 1 del decreto-legge 25 maggio 1994, n. 313, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 luglio 1994, n. 460, si applica anche ai fondi destinati al pagamento di somme liquidate a norma della presente legge, ivi compresi quelli accreditati mediante aperture di credito in favore dei funzionali delegati degli uffici centrali e periferici delle amministrazioni interessate”. Pertanto, la modalità di pignoramento c.d. diretto che l'Avvocatura di Stato vorrebbe applicabile alla riscossione coattiva delle somme liquidate ai sensi della legge Pinto già a far data dall'entrata in vigore del d.l. n. 143 del 2008, in effetti è stata introdotta per queste somme soltanto dall'art. 6 del d.l. n. 35 del 2013, che ha inserito l'art. 5 quinquies nella legge n. 89 del 2001 questa modifica normativa, evidentemente, sarebbe stata priva di senso se l'interpretazione del sistema pregresso fosse quella propugnata col presente ricorso. Soltanto a far data dall'entrata in vigore della disposizione appena richiamata i creditori di somme liquidate ai sensi della legge n. 89 del 2001, che non ne ottengano il pagamento in via spontanea, debbono agire in via esecutiva con le forme del pignoramento diretto ed, in caso di notificazione di un atto di pignoramento presso le Tesorerie, queste sono tenute a rendere dichiarazione negativa. D'altronde, l'incipit del nuovo art. 5 quinquies, laddove vieta a pena di nullità rilevabile d'ufficio, atti di sequestro o di pignoramento presso la Tesoreria centrale e presso le Tesorerie provinciali dello Stato per la riscossione coattiva di somme liquidate a norma della presente legge” , presuppone che prima dell'entrata in vigore della modifica normativa il pignoramento presso terzi fosse la modalità normale di riscossione coattiva dei crediti in parola. La nuova disposizione è entrata in vigore in data 9 aprile 2013, ai sensi dell'art. 13 del decreto legge n. 35 del 2013, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 82 dell'8 aprile 2013. Essa regola le modalità dell'azione esecutiva sicché, in mancanza di apposita disciplina transitoria, la nuova normativa non può che regolare le azioni esecutive intraprese con atti di pignoramento eseguiti successivamente alla data della sua entrata in vigore. In conclusione va affermato che fino alla data di entrata in vigore dell’art. 5 quinquies della legge n. 89 del 24 marzo 2001, introdotto dall'art. 6, comma 6, del decreto legge n. 35 dell'8 aprile 2013, convertito nella legge n. 64 del 6 giugno 2013, i creditori di somme liquidate a norma della stessa legge n. 89 del 2001 dovevano eseguire i pignoramenti con la forma dell'espropriazione presso terzi mediante notificazione dell'atto di pignoramento alla Tesoreria centrale ovvero alla Tesoreria Provinciale dello Stato competente per territorio, in qualità di terzo pignorato, sottoponendo a vincolo fondi diversi da quelli della contabilità speciale, nei limiti della relativa disponibilità. Soltanto a decorrere dalla data di entrata in vigore dell'art. 5 quinquies i creditori di dette somme, a pena di nullità rilevabile d'ufficio, eseguono i pignoramenti e i sequestri esclusivamente secondo le disposizioni del libro III, titolo II, capo II del codice di procedura civile, con atto notificato ai Ministeri di cui all'articolo 3, comma 2, della legge n. 89 del 2001 ovvero al funzionario delegato del distretto in cui è stato emesso il provvedimento giurisdizionale posto in esecuzione, con l'effetto di sospendere ogni emissione di ordinativi di pagamento relativamente alle somme pignorate e di ottenere l'imposizione del vincolo sull'ammontare per cui si procede, sempreché esistano in contabilità fondi soggetti ad esecuzione forzata. 4.1.- Poiché nel caso di specie il pignoramento è stato notificato il 10 luglio 2009, l'azione esecutiva intrapresa dal creditore con le forme dell'espropriazione presso terzi è conforme a legge e la dichiarazione resa dal tesoriere ai sensi dell'art. 547 cod. proc. civ. è da intendersi come dichiarazione positiva e perciò l'opposizione agli atti esecutivi proposta dal Ministero, odierno ricorrente, è infondata. Così corretta la motivazione della sentenza impugnata, i primi due motivi di ricorso vanno, come detto, rigettati, essendo il dispositivo conforme a diritto. 5.- Col terzo motivo di ricorso, proposto in via subordinata, si deduce nullità della sentenza ai sensi dell'art. 158 cod. proc. civ. e 186 bis disp. att. cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ Il Ministero ricorrente sostiene che, essendo stata l'opposizione agli atti esecutivi instaurata con ricorso proposto dopo la data di entrata in vigore della legge n. 69 del 2009, il cui art. 52 ha inserito l'art. 186 bis disp. att., cod. proc. civ., si sarebbe dovuta applicare quest'ultima norma. Pertanto, il giudizio di merito di cui all'art. 618, comma secondo, cod. proc. civ. avrebbe dovuto essere trattato da magistrato diverso dal giudice dell'esecuzione. Dal momento che la sentenza impugnata è stata, invece, pronunciata dalla medesima persona fisica che, trattando il processo esecutivo, aveva conosciuto del pignoramento avverso il quale è stata proposta l'opposizione, la sentenza sarebbe nulla per vizio di costituzione del giudice ai sensi dell'art. 158 cod. proc. civ 5.1.- Il motivo è infondato. L'art. 186 bis disp. att. cod. proc. civ. si applica ai giudizi instaurati dopo il 4 luglio 2009, in forza della disposizione transitoria dell'art. 58 della legge n. 69 del 2009. Essa quindi si applica ai giudizi di opposizione agli atti esecutivi proposti con ricorso depositato dopo la data anzidetta, quale è il presente iniziato con ricorso depositato il 26 ottobre 2009 . L'articolo 186 bis disp. att. cod. proc. civ., che è stato introdotto dall'art. 52, comma settimo, della legge da ultimo citata, prevede che i giudizi di merito di cui all'art. 618, secondo comma, del codice sono trattati da un magistrato diverso da quello che ha conosciuto degli atti avverso i quali è proposta opposizione ”. La norma si pone in linea di discontinuità col precedente della Consulta n. 497 del 2002, che - reputando manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 51, primo comma, n. 4, 617, secondo comma, e 618 del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, primo comma, 25, 101, secondo comma, 104, primo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui non prevedono l'obbligo di astensione del giudice dell'esecuzione chiamato a conoscere dell'opposizione agli atti esecutivi - aveva ritenuto insussistente l'incompatibilità del giudice dell'esecuzione a conoscere dell'opposizione agli atti esecutivi avverso gli atti dell'esecuzione da lui stesso compiuti in quanto non vi è identità di res iudicanda tra processo esecutivo e giudizio oppositivo secondo la Corte Costituzionale, questo giudizio, infatti, non configura un'impugnazione in senso proprio e costituisce un distinto processo a cognizione piena nel contraddittorio delle parti. Tuttavia, al fine di salvaguardare l'imparzialità e la terzietà del giudice dell'opposizione, in ossequio al precetto costituzionale dell'art. 111, comma secondo, della Costituzione, il legislatore della riforma del 2009 è intervenuto introducendo la disposizione di attuazione del codice di rito su riportata. La ratio ispiratrice dell'intervento legislativo, anche in ragione del richiamato precedente della Corte Costituzionale, consente di ricondurre l'incompatibilità sancita dall'art. 186 bis disp. att. cod. proc. civ. all'ipotesi considerata, in generale, quale presupposto dell'obbligo di astensione del giudice, dall'art. 51 n. 4 cod. proc. civ. Questa norma prevede, tra le altre, l'astensione obbligatoria quando il giudice ha conosciuto del processo come magistrato in altro grado la giurisprudenza, anche costituzionale cfr. Corte Cost. n. 387/99 , ne ampliato la portata, imponendo l'obbligo dell'astensione al giudice che abbia conosciuto del processo anche in altra fase dello stesso grado, sia pure a determinate condizioni. Un ulteriore ampliamento si è avuto, per via normativa, con l'introduzione dell'art. 186 bis disp. att. cod. proc. civ Questo, pertanto, non è norma sulla costituzione del giudice, ma introduce un'ipotesi speciale di obbligo di astensione del giudice. La lettera dell'articolo in esame conferma siffatta conclusione, laddove adopera la medesima espressione dell'art. 51 n. 4 cod. proc. civ., riferendo l'incompatibilità al magistrato che ha conosciuto” degli atti avverso i quali è proposta l'opposizione. In particolare, sussiste l'incompatibilità alla trattazione della causa di opposizione per il giudice persona fisica che abbia posto in essere gli atti esecutivi opposti ovvero che li abbia conosciuti” perché compiuti da suoi ausiliari. L'incompatibilità comporta che, nel caso in cui la causa di opposizione agli atti esecutivi introdotta in sede di merito ai sensi dell'art. 618, comma secondo, cod. proc. civ. venga assegnata allo stesso giudice persona fisica che abbia conosciuto dell'atto impugnato come giudice dell'esecuzione, questi ha l'obbligo di astenersi ai sensi dell'art. 51 n. 4 cod. proc. civ 5.2.- La violazione di quest'obbligo peraltro non comporta, di per sé, un vizio della sentenza che sia stata emessa dal giudice che, pur dovendosi astenere, l'abbia invece pronunciata. Va, in proposito, ribadito, anche con riferimento all'ipotesi in esame, intesa quale species del n. 4 dell'art. 51 cod. proc. civ., che la sentenza pronunciata da un giudice che abbia violato l'obbligo di astenersi, di cui all'art. 51 cod. proc. civ., è nulla soltanto se quel giudice aveva un interesse proprio e diretto nella causa, tale da porlo nella qualità di parte del giudizio. Negli altri casi la violazione dell'obbligo di astensione può costituire solo motivo di ricusazione, con la conseguenza che quella violazione resta ininfluente se la relativa istanza non è tempestivamente proposta così, tra le altre, Cass. n. 12263/09, nonché, in riferimento ad un giudizio di opposizione agli atti esecutivi cui non era applicabile l'art. 186 bis disp. att. cod. proc. civ., Cass. n. 12115/13 . Ed invero, anche a seguito della modifica dell'art. 111 Cost., introdotta dalla legge costituzionale n. 2 del 1999, in difetto di ricusazione la violazione dell'obbligo di astenersi da parte del giudice che abbia già conosciuto della causa in altro grado del processo art. 51, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. non è deducibile in sede di impugnazione come motivo di nullità della sentenza da lui emessa, giacché la norma costituzionale, nel fissare i principi fondamentali del giusto processo tra i quali, appunto, l'imparzialità e terzietà del giudice ha demandato al legislatore ordinario di dettarne la disciplina e, in considerazione della peculiarità del processo civile, fondato sull'impulso paritario delle parti, non è arbitraria la scelta del legislatore di garantire, nell'ipotesi anzidetta, l'imparzialità e terzietà del giudice tramite gli istituti dell'astensione e della ricusazione. Né detti istituti, cui si aggiunge quello dell'impugnazione della decisione nel caso di mancato accoglimento della ricusazione, possono reputarsi strumenti di tutela inadeguati o incongrui a garantire in modo efficace il diritto della parti alla imparzialità del giudice, dovendosi, quindi, escludere un contrasto con la norma recata dall'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, la quale, sotto l'ulteriore profilo dei contenuti di cui si permea il valore dell'imparzialità del giudice, nulla aggiunge rispetto a quanto già previsto dal citato art. 111 Cost. così Cass. n. 14807/08 . 5.3.- In conclusione, va affermato che l'art. 186 bis disp. att. cod. proc. civ., introdotto dall'art. 52, comma 7, della legge 18 giugno 2009 n. 69, prevede un'ipotesi speciale di incompatibilità tra il giudice persona fisica che abbia conosciuto dell'atto esecutivo opposto ed il giudice investito del giudizio di opposizione agli atti esecutivi avverso quello stesso atto, che impone un obbligo di astensione ai sensi dell'art. 51 n. 4 cod. proc. civ Tuttavia, in difetto di ricorso per la ricusazione del giudice, ai sensi degli artt. 51, primo comma, n. 4 , e 52 cod. proc. civ., la violazione di questo obbligo di astensione non è deducibile in sede di impugnazione come motivo di nullità della sentenza. Poiché non risulta che il Ministero, odierno ricorrente, abbia proposto istanza di ricusazione del giudice dell'opposizione agli atti esecutivi che ha pronunciato la. sentenza impugnata, il terzo motivo di ricorso è inammissibile. In conclusione, il ricorso va rigettato. Non vi è luogo a provvedere sulle spese perché l'intimato non si è difeso. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso nulla sulle spese. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d. P.R. n. 115 del 2002, da atto che non sussistono i presupposti per il versamento, da parte del Ministero ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.