Opposizione agli atti esecutivi: quando non è esperibile

Qualora il giudice dell’esecuzione, con il provvedimento positivo o negativo della tutela sommaria, emesso nelle opposizioni di cui agli artt. 615, comma 2, 617 e 619 c.p.c., ometta di fissare il termine per l’introduzione del giudizio di merito o - nelle opposizioni ai sensi degli artt. 615 e 619 c.p.c. - per la riassunzione davanti al giudice competente, la parte interessata può chiedere al giudice la relativa fissazione, ovvero può introdurre o riassumere di sua iniziativa il giudizio di merito, restando comunque esclusa l’esperibilità contro l’irrituale provvedimento del rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 5060 del 4 marzo 2014. Il fatto. Il Tribunale di Sanremo dichiarava inammissibile l’opposizione agli atti esecutivi proposta da una donna nei confronti di R.D. e B.B., avverso l’ordinanza con la quale il giudice dell’esecuzione aveva dichiarato estinta la procedura esecutiva per pignoramento presso terzi intrapresa dalla prima nei confronti dei secondi. La donna ricorre in Cassazione, contestando la dichiarata inammissibilità dell’opposizione. Le ragioni della decisione si tratta di opposizione all’esecuzione, quindi Il ricorso è infondato il provvedimento adottato dal giudice dell’esecuzione è stato pronunciato a seguito della costituzione dei debitori e della proposizione di contestazioni che costituiscono opposizione all’esecuzione. L’estinzione del processo esecutivo è stata pronunciata essendo adempiuto il credito per cui si procedeva. Pertanto, il giudizio del Tribunale ligure è corretto. Rimedio esperibile avverso il provvedimento del giudice dell’esecuzione. Per quanto concerne, invece, il rimedio esperibile avverso il provvedimento del giudice dell’esecuzione, l’opposizione avrebbe dovuto essere istruita secondo le disposizioni ordinarie dettate dall’art. 616 c.p.c. si sarebbe, conseguentemente, dovuto procedere non con l’appello né con l’opposizione agli atti esecutivi. Il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto chiedere un’integrazione del provvedimento emesso dal Tribunale, fissando il termine per l’inizio del giudizio di merito oppure, quest’ultimo avrebbe dovuto essere introdotto dalla parte interessata, nel caso di specie dalla creditrice procedente. Tale conclusione deve essere desunta da una serie di pronunce della Suprema Corte secondo le quali qualora il giudice dell’esecuzione ometta di fissare il termine per l’introduzione del giudizio di merito o – nelle opposizioni ai sensi degli artt. 615 e 619 c.p.c. – per la riassunzione davanti al giudice competente, la parte interessata può chiederne al giudice la relativa fissazione, ovvero può introdurre o riassumere di sua iniziativa il giudizio di merito. In mancanza, il processo si estingue con conseguente impossibilità di mettere in discussione il provvedimento sulle spese. Resta, in ogni caso esclusa l’esperibilità contro l’irrituale provvedimento del rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi. Pertanto, il ricorso non può che essere rigettato.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 12 febbraio – 4 marzo 2014, n. 5060 Presidente Finocchiaro – Relatore Barreca Premesso in fatto E' stata depositata in cancelleria la seguente relazione 1. Con la sentenza impugnata il Tribunale di Sanremo ha dichiarato inammissibile l'opposizione agli atti esecutivi proposta da M.C. nei confronti di R.D. e B.B., avverso l'ordinanza con la quale il giudice dell'esecuzione del Tribunale di Sanremo, in data 18 novembre 2010, aveva dichiarato estinta la procedura esecutiva per pignoramento presso terzi intrapresa dalla prima nei confronti dei secondi. 1.1. Il ricorso è affidato a due motivi. Gli intimati non si difendono. 2. Col primo motivo si deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 617618 cod. proc. civ. in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ. La ricorrente sostiene che il giudice a quo avrebbe errato nel ritenere che avverso il provvedimento del giudice dell'esecuzione del 18 novembre 2010 dovesse essere proposto appello in quanto il Tribunale ha ritenuto che si sarebbe trattato di sentenza in forma di ordinanza piuttosto che opposizione agli atti esecutivi come ritenuto invece dalla ricorrente e nel dichiarare perciò inammissibile il rimedio prescelto dalla C., già creditrice procedente. Secondo quest'ultima, poiché il detto provvedimento avrebbe dovuto essere inteso con un'ordinanza di estinzione atipica del processo esecutivo, il rimedio esperibile non avrebbe potuto essere altro che quello previsto dall'art. 617 cod. proc. civ., alla stregua dell'oramai prevalente giurisprudenza di legittimità citata in ricorso . 2.1. Il motivo non è fondato e la sentenza impugnata è conforme a diritto, quanto alla dichiarazione di inammissibilità dell'opposizione agli atti esecutivi, sebbene la motivazione debba essere corretta nei termini di cui appresso. Il provvedimento adottato dal giudice dell'esecuzione il 18 novembre 2010, per come risulta dalla sentenza impugnata sul punto non censurata , è stato pronunciato a seguito della costituzione dei debitori e della proposizione da parte di questi ultimi di contestazioni che il Tribunale di Sanremo ha qualificato come vera e propria opposizione all'esecuzione involgendo essa la stessa esistenza e/o portata del diritto a procedere ad esecuzione e non la mera regolarità formale del titolo o del precetto . D'altronde, per come risulta anche dal ricorso, l' estinzione del processo esecutivo di cui all'ordinanza del 18 novembre 2010 è stata pronunciata perché il giudice dell'esecuzione a torto o a ragione, qui non rileva ha reputato adempiuto il credito per cui si procedeva, quindi ha reputato insussistente il diritto della creditrice di procedere ad esecuzione forzata nei confronti dei debitori esecutati, che tale diritto avevano appunto contestato. Pertanto, è corretto il giudizio del Tribunale di Sanremo, circa il fatto che tali contestazioni avessero di fatto dato luogo ad un'opposizione all'esecuzione, come sopra riportato. Non sono, invece, corrette le conseguenze che il medesimo Tribunale ne trae quanto al rimedio esperibile avverso il provvedimento del giudice dell'esecuzione del 18 novembre 2010. La stessa sentenza impugnata dice -in termini del tutto consequenziali a quanto sopra, e perciò assolutamente corretti che l'opposizione all'esecuzione proposta dai debitori in seno alla procedura esecutiva avrebbe dovuto essere istruita secondo le disposizioni ordinarie dettate dall'art. 616 c.p.c. . Allora, il rimedio esperibile avverso il provvedimento del giudice dell'esecuzione che, anziché provvedere ai sensi di tale ultima norma, ha bloccato il corso della procedura esecutiva, senza disporre per la prosecuzione del giudizio di merito con fissazione di apposito termine ex art. 616 cod. proc. civ., avrebbe dovuto essere -non l'appello, come ritenuto dal giudice a quo, né l'opposizione agli atti esecutivi, come ritenuto dalla ricorrente la richiesta al giudice dell'esecuzione di integrazione del provvedimento del 18 novembre 2010, con la fissazione del termine per l'inizio del giudizio di merito, ovvero l'introduzione di questo a cura della parte interessata, nel caso di specie della creditrice procedente interessata a rimuovere il provvedimento del giudice dell'esecuzione che dava ragione ai debitori esecutati, quanto all'intervenuto integrale adempimento . Questa conclusione rinviene il suo fondamento in una serie di pronunce, espressione di un indirizzo oramai consolidato, di questa Corte che hanno ricostruito nei termini di cui sopra il passaggio dalla fase cautelare alla fase di merito delle opposizioni esecutive. In proposito, è sufficiente richiamare il precedente di cui a Cass. n. 22033/11, che ha fissato il seguente principio di diritto Qualora il giudice dell'esecuzione, con il provvedimento positivo o negativo della tutela sommaria, emesso nelle opposizioni di cui agli artt. 615, comma secondo, 617 e 619 cod. proc. civ., ometta di fissare il termine per l'introduzione del giudizio di merito, o nelle opposizioni ai sensi degli artt. 615 e 619 cod. proc. civ. per la riassunzione davanti al giudice competente, la parte interessata vi sia, o meno, provvedimento sulle spese può chiederne al giudice la relativa fissazione, con istanza ai sensi dell'art. 289 cod. proc. civ., nel termine perentorio previsto da detta norma, ovvero può introdurre o riassumere di sua iniziativa il giudizio di merito, sempre nel detto termine, restando comunque esclusa l'esperibilità contro l'irrituale provvedimento del ricorso in cassazione ai sensi dell'art. 111, comma settimo, Cost La mancanza dell'istanza di integrazione, nel termine di cui all'art. 289 cod. proc. civ., ovvero dell'iniziativa autonoma della parte di introduzione del giudizio di merito nello stesso termine, determina l'estinzione del processo, ai sensi dell'art. 307, comma terzo, cod. proc. civ., con conseguente impossibilità di mettere in discussione il provvedimento sulle spese . Corollario del principio appena richiamato, e della ricostruzione delle fasi processuali che esso presuppone, è il principio di diritto per il quale qualora il giudice dell'esecuzione, con il provvedimento positivo o negativo della tutela sommaria, emesso nelle opposizioni di cui agli artt. 615, comma secondo, 617 e 619 cod. proc. civ., ometta di fissare il termine per l'introduzione del giudizio di merito, o nelle opposizioni ai sensi degli artt. 615 e 619 cod. proc. civ. per la riassunzione davanti al giudice competente, la parte interessata vi sia, o meno, provvedimento sulle spese può chiederne al giudice la relativa fissazione, con istanza ai sensi dell'art. 289 cod. proc. civ., nel termine perentorio previsto da detta norma, ovvero può introdurre o riassumere di sua iniziativa il giudizio di merito, sempre nel detto termine, restando comunque esclusa l'esperibilità contro l'irrituale provvedimento del rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi. L'applicazione di questo principio al caso di specie comporta che l'opposizione agli atti esecutivi avrebbe dovuto comunque essere dichiarata inammissibile , pur se con motivazione diversa da quella adottata dal giudice a quo. Si propone perciò che, corretta la motivazione, il primo motivo di ricorso vada rigettato. 3. Col secondo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 38 cod. proc. civ. in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., perché il giudice a quo si sarebbe spogliato indebitamente della propria competenza, senza rilevarne il difetto alla prima udienza ex art. 183 cod. proc. civ. Il motivo è manifestamente infondato poiché il Tribunale di Sanremo non si è affatto dichiarato incompetente, ma ha reputato inammissibile il rimedio proposto dall'odierna ricorrente e solo in conseguenza di ciò non si è pronunciato sul merito della controversia. . La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori. Non sono state presentate conclusioni scritte. Ritenuto in diritto A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, il Collegio ha condiviso i motivi in fatto ed in diritto esposti nella relazione. Il ricorso va perciò rigettato. Non vi è luogo a provvedere sulle spese, atteso che gli intimati non si sono difesi. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso nulla sulle spese.