Sempre attenti alle relate di notifica e a chi compila e sottoscrive gli avvisi di ricevimento

Eventuali mancanze e incomprensioni possono rendere nulla la notifica.

E’ quanto si evince dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 14119 del 4 giugno 2013. Il caso. Parte attrice agiva dinanzi al Tribunale di Roma per ottenere la risoluzione di un contratto preliminare di compravendita e per la restituzione degli importi versati. In primo grado il convenuto rimaneva contumace e il giudizio si concludeva con la pronuncia di accoglimento delle richieste dell’attore. In secondo grado la Corte d’Appello ribaltava completamente la decisione dichiarando che la notifica dell’atto di citazione in primo grado doveva essere ritenuta nulla poiché la persona che aveva ricevuto materialmente l’atto aveva apposto sull’avviso di ricevimento una firma illeggibile senza dichiarare le proprie generalità, né il rapporto con il destinatario dell’atto. Il ricorso in Cassazione avverso la sentenza della Corte territoriale verteva principalmente sul tentativo di dimostrare la validità dell’originaria notifica dell’atto di citazione in primo grado, in modo da salvare” la sentenza del Tribunale di Roma che aveva dato ragione all’attore condannando il convenuto contumace alla restituzione degli importi richiesti. La nullità della notifica dell’atto di citazione in primo grado. L’interessante sentenza della Suprema Corte affronta dunque in primo luogo il tema della validità della notifica di un atto giudiziario avvenuta tramite un non meglio precisato convivente del reale destinatario. In particolare il ricorrente ha sostenuto che, ai sensi dell’art. 149 c.p.c., in caso di notifica a mezzo del servizio postale ai sensi di legge, quando il plico viene consegnato al familiare convivente, si presume, ai sensi dell’art. 7, L. 890/1982, che l’atto sia giunto effettivamente a conoscenza del destinatario, restando irrilevante l’indagine sulla riconducibilità del luogo di notifica fra quelli individuati dall’art. 139 c.p.c. In tale caso infatti l’identificazione rimane assorbita e superata dalla dichiarazione di convivenza resa dal consegnatario dell’atto vedi Cass. n. 22607/2009 . Tuttavia, spiegano gli Ermellini, il principio enunciato non si applica alla fattispecie in esame perché, a monte, la firma del soggetto sull’avviso di ricevimento era assolutamente illeggibile, né questi aveva specificato il proprio nominativo, né il grado di parentela con il destinatario dell’atto. Trovano allora applicazione altre disposizioni, cioè gli artt. 148 c.p.c. e 160 c.p.c Secondo l’art. 148 c.p.c. nella relata di notifica l’ufficiale giudiziario deve sempre esplicitare il nominativo della persona a cui è consegnato l’atto, le sue qualità, nonché il luogo della consegna o le ricerche effettuate e i motivi dell’eventuale omessa notifica. Se mancano tali elementi identificativi la notifica è nulla ex art. 160 c.p.c. per incertezza assoluta sulla persona, a meno che non sia possibile individuarla tramite la sua relazione con il destinatario vedi Cass. n. 18806/2006 . In particolare la giurisprudenza insegna che per accertare il destinatario occorre esaminare l’intero contesto dell’atto, sin dalla intestazione della relata, al fine di verificare se eventuali lacune possono essere colmate da altre indicazioni vedi Cass. n. 1126/1999 . Nel caso di specie mancavano tali possibilità la firma era incomprensibile e non era specificato il rapporto di parentela con il destinatario. Non si riusciva quindi risalire in alcun modo al soggetto che aveva ricevuto l’atto. La citazione dunque non si poteva considerare come conosciuta dal convenuto che, in effetti, era rimasto contumace in primo grado. Sotto altro profilo la Corte d’Appello ha evidenziato la presenza di diversi indizi ed elementi che confermavano la non conoscenza dell’atto di citazione non risultavano infatti certificati di residenza che attestassero che il convenuto fosse residente nel luogo di notifica e per di più era intervenuta una separazione personale con il coniuge residente nell’abitazione di consegna dell’atto. Da un lato quindi non era assolutamente intuibile chi avesse ritirato il plico della citazione, dall’altro il vero destinatario non risiedeva più nel luogo di notifica. Il rinvio al giudice di primo grado e la validità dell’atto di appello. La Corte si sofferma poi su altre interessanti questioni processuali sollevate dal ricorrente, ma non accolte dai Giudici di Piazza Cavour. In particolare la parte lamentava il fatto che la Corte d’Appello, nel dichiarare la nullità della citazione in primo grado, avrebbe dovuto rimettere la causa al giudice di prime cure. Tale disposizione, pur enunciata nella motivazione, non veniva esplicitamente riportata nel dispositivo della sentenza della Corte territoriale e portava il ricorrente a sollevare la relativa eccezione di nullità. Sul punto gli Ermellini ritengono che nessun vizio in realtà colpisce la sentenza d’appello, perché l’indicazione in motivazione consente comunque di comprendere appieno il senso della pronuncia. Il significato complessivo infatti va dedotto integrando il dispositivo con il contenuto globale del provvedimento al fine di comprendere la reale volontà del giudice, soprattutto se, come nel caso di specie, non vi è contrasto o discordanza tra motivazione e dispositivo della sentenza vedi in tal senso Cass. n. 15585/2007 e n. 360/2005 . Infine priva di pregio è ritenuta l’eccezione di nullità dell’atto di citazione in appello per la mancata indicazione della residenza dell’appellante convenuto contumace in primo grado . Nessuna irregolarità infatti può essere rilevata dal momento che il soggetto processuale proponente appello era comunque perfettamente individuato. La mancanza del requisito della residenza, pure esplicitato dall’art. 163, n. 2, c.p.c., determina la nullità della citazione solo se sono assenti del tutto i requisiti diretti ad individuare la parte che agisce o resiste in giudizio. Al contrario, se le eventuali mancanze non impediscono comunque di accertare appieno nel caso concreto la parte, nessuna nullità può essere ravvisata.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 16 aprile - 4 giugno 2013, n. 14119 Presidente Triola – Relatore Proto Svolgimento del processo Con citazione del 3/7/1991 F F. conveniva in giudizio A C. chiedendo la risoluzione di un contratto preliminare e la condanna del convenuto alla restituzione della somma di Euro 38.734,27 oltre interessi. Il processo di primo grado si svolgeva nella dichiarata contumacia del C. e si concludeva con sentenza dell'11/7/2000, non notificata, con la quale il Tribunale di Roma dichiarava la risoluzione del contratto e condannava il convenuto contumace alla restituzione della somma richiesta dall'attrice. Il C. proponeva appello con citazione notificata il 23/7/2001 chiedendo la declaratoria di nullità o inesistenza della notifica della citazione introduttiva del giudizio di primo grado. F.F. si costituiva, chiedeva la declaratoria di nullità della citazione in appello per mancata indicazione della residenza dell'appellante e chiedeva il rigetto dell'appello per infondatezza dell'eccezione di nullità della notifica dell'atto introduttivo del primo grado. La Corte di Appello di Roma con sentenza dell'8/3/2007 dichiarava la nullità della notifica della citazione introduttiva del giudizio di primo grado rilevando l'infondatezza dell'eccezione di nullità della citazione di appello per mancata indicazione della residenza dell'appellante perché la nullità era sanata per effetto della costituzione in giudizio dell'appellata - che la notifica della citazione del primo grado era nulla perché la persona che aveva ricevuto la notificazione, dichiarandosi convivente, non era identificabile in quanto aveva apposto una firma illeggibile sull'avviso di ricevimento senza indicare né la sua identità, né la sua relazione con il destinatario neppure erano emersi elementi presuntivi tali da far ritenere che il destinatario della notifica avesse avuto conoscenza dell'atto. La Corte territoriale dichiarava, in motivazione, ma non nel dispositivo, che l'unico esito del gravame era la rimessione al primo giudice. F.F. propone ricorso affidato a quattro motivi e deposita memoria Resiste con controricorso A C. . Motivi della decisione 1. Con il primo motivo la ricorrente deduce il vizio di motivazione in quanto la Corte di Appello avrebbe omesso di rilevare - che sarebbe stato il notificando a dovere provare la mancanza del rapporto di convivenza attestato nella relata - che l'eventuale nullità sarebbe stata causata dallo stesso C. che si era reso irreperibile - che il C. aveva preso visione dell'atto, come doveva desumersi che lo stesso era stato aperto e restituito da un incaricato di una sua società - che il C. non risultava risiedere altrove, mentre nel luogo di notifica risiedeva la moglie dalla quale si era separato con verbale di separazione del primo omissis , ossia successivo alla notifica. 1.1 Il motivo è manifestamente infondato. La Corte di Appello ha considerato tutti gli elementi rilevanti, evidenziati nel ricorso ed è giunta alla motivata conclusione che non era possibile individuare il soggetto che aveva materialmente ricevuto l'atto e che si era dichiarato convivente, sia perché la firma era illeggibile, sia perché non era indicata l'identità del soggetto al quale l'atto era consegnato, né la sua relazione con il notificando evidentemente da intendersi come relazione di parentela, come tale idonea ad individuare il soggetto . La ricorrente richiama il principio incontroverso secondo il quale in tema di notificazione per mezzo del servizio postale, secondo la previsione dell'art. 149 c.p.c., qualora la consegna del piego raccomandato sia avvenuta a mani di un familiare convivente con il destinatario, ai sensi dell'art. 7 della legge 20 novembre 1982, n. 890, deve presumersi che l'atto sia giunto a conoscenza dello stesso, restando irrilevante ogni indagine sulla riconducibilità del luogo di detta consegna fra quelli indicati dall'art. 139 cod. proc. civ., in quanto il problema dell'identificazione del luogo ove è stata eseguita la notificazione rimane assorbito dalla dichiarazione di convivenza resa dal consegnatario dell'atto, con la conseguente rilevanza esclusiva della prova della non convivenza, che il destinatario ha l'onere di fornire cfr. tra le tante Cass. 26/10/2009 n. 22607 . Tuttavia la Corte di appello ha motivatamente e condivisibilmente osservato che il principio non è applicabile alla fattispecie nella quale non era assolutamente possibile individuare la persona alla quale era stato consegnato l'atto e che si era indicata come convivente non essendone indicato né il nome, né la eventuale relazione di parentela ed essendo illeggibile la sua firma. Nella fattispecie rilevano, quindi, altre norme artt. 148 c.p.c., art. 160 c.p.c. art. 7 comma 4 L. n. 890/1982 dirette a garantire l'identificazione della persona alla quale è consegnato l'atto. La Corte di Appello non ha escluso la rilevanza del rapporto di convivenza, ma ha affermato il diverso principio secondo il quale dall'avviso di ricevimento deve risultare possibile l'identificazione della persona alla quale è stato consegnato l'atto e il principio così affermato è conforme con la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale qualora manchi l'indicazione delle generalità del consegnatario, la notifica è nulla ai sensi dell'art. 160 cod. proc. civ. per incertezza assoluta su detta persona, a meno che la persona del consegnatario sia sicuramente identificabile attraverso la menzione del suo rapporto con il destinatario v. Cass. 12806/06 Cass. 4962/87 Cass. 1643/79 Cass. 4907/83 . 2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce il vizio di motivazione e la violazione degli artt. 139, 156, 157 e 116 c.p.c. e sostiene, formulando il relativo quesito di diritto, che la notifica doveva considerarsi valida ai sensi dell'art. 139 c.p.c. perché effettuata a mani di persona rinvenuta nel luogo della notificazione che aveva dichiarato di essere convivente, incombendo sul destinatario l'onere di provare la mancata conoscenza dell'atto il giudice di appello avrebbe dovuto valutare tutti gli elementi indiziari prospettati e provati che consentivano di presumere che il luogo della notificazione costituiva la residenza o la dimora o il domicilio reale del destinatario dell'atto, ovvero che proprio quest'ultimo aveva dato causa alla nullità. 2.1 Il motivo è manifestamente infondato perché la Corte di Appello ha dato adeguata e ragionevole spiegazione delle ragioni per le quali non ha ritenuto che il C. fosse ivi residente mancanza di certificazione di residenza nel luogo, intervenuta separazione dal coniuge ivi residente, irrilevanza della asserita qualità di socio della società alla quale era pervenuto l'atto la nullità della notifica non consegue ad un comportamento del notificando, ma alla mancata individuazione del soggetto al quale è stato consegnato l'atto da notificare precisa individuazione prescritta anche dall'art. 7 comma 4 L. n. 890/1982 e alla notifica in luogo nel quale il destinatario non risultava risiedere. 3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce il vizio di motivazione e la violazione dell'art. 354 c.p.c. sostenendo, con formulazione del relativo quesito di diritto, che la Corte di appello avrebbe immotivatamente e illegittimamente omesso di dichiarare l'inammissibilità, per difetto di interesse, dell'atto di appello in quanto proposto senza censurare il merito della decisione in subordine censura la sentenza perché ha dichiarato la nullità della notifica della citazione dell'atto introduttivo del primo grado senza rimettere la causa al primo giudice. 3.1 Il motivo è manifestamente infondato quanto alla pretesa inammissibilità dell'appello perché è ammissibile l'impugnazione con la quale l'appellante si limiti a dedurre soltanto i vizi di rito avverso una pronuncia che abbia deciso anche nel merito in senso a lui sfavorevole ove i vizi denunciati comporterebbero, se fondati, la rimessione al primo giudice l'inammissibilità ricorre solo nelle ipotesi in cui, invece, il vizio denunciato non rientra in uno dei casi tassativamente previsti dagli artt. 353 e 354 c.p.c. perché, in tali ipotesi è necessario che l'appellante deduca anche le questioni di merito e, quindi, l'appello fondato esclusivamente su vizi di rito diviene inammissibile per difetto di interesse perché la questione di rito, anche se fondata non porterebbe ad una decisione favorevole nel merito cfr. Cass. 19/1/2007 n. 1199 Cass. 29/1/2010 n. 2053 . Il motivo è altresì infondato quanto all'omessa rimessione al primo giudice perché nella motivazione della sentenza v' è espressa menzione che, a seguito della rilevata nullità, riconducibile alla previsione dell'art. 354 c.p.c., la causa è rimessa al primo giudice. La mancanza, nel dispositivo, di una espressa previsione di rimessione al primo giudice dispositivo, essendo stato già affermato, in motivazione, che la causa andava rimessa al primo giudice non impedisce, quindi, di comprendere appieno l'esatto contenuto della pronuncia che va individuato, come numerose volte questa Corte ha avuto modo di chiarire, non alla stregua del solo dispositivo, ma integrando il dispositivo con la motivazione nella parte in cui questa rivela l'effettiva volontà del giudice. La portata precettiva di una sentenza va infatti individuata tenendo conto non soltanto del dispositivo, ma anche della motivazione così che, in assenza di un contrasto tra dispositivo e motivazione, è da ritenersi prevalente la statuizione contenuta in una di tali parti del provvedimento che va, per l'effetto, interpretato in base all'unica statuizione che, in realtà, esso contiene Cass. 11/7/2007 n. 15585, Cass. 11/1/2005 n. 360 Cass. 26/1/2004 n. 1323 Cass. 18/7/2002 n. 10409 Cass. 15/11/2000 n. 14788 Cass. 5/5/2000 n. 5666 Cass. 19/1/2000 n. 567 . 4. Con il quarto motivo la ricorrente deduce il vizio di motivazione e la violazione e falsa applicazione degli artt. 342, 163, 164, 325, 324 c.p.c La ricorrente lamenta che la Corte di Appello non ha accolto la sua eccezione diretta a far dichiarare la nullità dell'atto di citazione in appello in quanto mancante della indicazione della residenza, domicilio o dimora dell'appellante - convenuto così che sarebbe stata resa incerta la sua identificazione. La costituzione della parte non avrebbe sanato la nullità perché avvenuta il 26/11/2001 quando ormai era scaduto il termine lungo per l'impugnazione della sentenza di primo grado che era stata depositata l'11/7/2001. La ricorrente, formulando il quesito di diritto chiede se la costituzione dell'appellato sana ex nunc la nullità della citazione in appello e se la sentenza appellata passa in giudicato qualora la sanatoria avvenga dopo la scadenza del termine per impugnare. 4.1 La motivazione della Corte di Appello, nel richiamo alla sanatoria della nullità per effetto della costituzione dell'appellata non è corretta, posto che contiene una implicita e non motivata affermazione di nullità della citazione in appello, mentre, dalla verifica degli atti possibile in questa sede attesa la natura processuale del vizio lamentato , nessuna nullità poteva essere ravvisata in quanto l'indicazione del soggetto processuale che aveva proposto appello era assolutamente certa anche in mancanza della indicazione residenza, pur ricompresa dall'art. 163 n. 2 c.p.c. tra gli elementi che devono essere indicati nella citazione, come si desume dal contenuto dell'atto di appello e dal riferimento, in questo, della sentenza di primo grado nella quale era esattamente individuata la giusta parte processuale. Il requisito di cui al n. 2 dell'art. 163 c.p.c., assolve la funzione di individuare le parti processuali, attore e convenuto, nonché le persone che le rappresentano o le assistono. Perché sia integrata la nullità della citazione sotto questo profilo è necessario che manchi del tutto l'enunciazione dei requisiti diretti a individuare la parte che agisce o che è chiamata in giudizio, mentre se tale enunciazione risulti fatta solo parzialmente, si verifica semplice incertezza da valutare caso per caso al fine di stabilire se comporti o meno la nullità dell'atto cfr. Cass. 25/3/1987 n. 2895 . Pertanto, così corretta la motivazione, il motivo è da rigettarsi per infondatezza del presupposto dell'esistenza di una nullità della citazione in appello non essendosi verificata alcuna incertezza sull'individuazione della parte che aveva proposto appello. 5. In conclusione il ricorso deve essere rigettato le spese seguono la soccombenza della ricorrente. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna F.F. a pagare C.A. le spese che liquida in Euro 2.500,00 per compenso oltre Euro 200,00 per esborsi.