Quando è possibile sanare il difetto di rappresentanza ... e quando no!

Due sentenze della Sesta Sezione Civile vertono sulla medesima questione, ovvero la possibilità/dovere da parte del giudice di concedere alla parte di sanare un difetto di rappresentanza.

Procura nulla. Il punto di partenza, in entrambi i casi, è infatti una sentenza della Corte d'Appello che ha dichiarato inammissibile per nullità della procura un ricorso avente ad oggetto la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale sofferto a causa della non ragionevole durata di una controversia. Ricorso accolto in un caso, rigettato nell’altro. Ebbene, la medesima Sesta Sezione, e pure nella medesima composizione, decide in maniera apparentemente opposta, rigettando il ricorso per cassazione nella sentenza n. 5483 e accogliendolo invece nella n. 5484. Nessuna svista o errore. Non si tratta, però, di una svista o di un errore il fatto è che tra i due casi vi è una differenza di tempistica processuale che determina l'applicazione di due norme diverse. Il discrimine è la data del 4 luglio 2009, che segna l'entrata in vigore del secondo comma dell'art. 182 c.p.c., ovvero Quando rileva un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione ovvero un vizio che determina la nullità della procura al difensore, il giudice assegna alle parti un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l’assistenza, per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa. L’osservanza del termine sana i vizi, e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono fin dal momento della prima notificazione . La data fa la differenza. Nel primo caso, quello deciso dalla sentenza n. 5483/2013, risulta che il ricorso per il giudizio di equa riparazione sia iniziato il 1° dicembre 2008, mentre nel secondo sentenza 5484/13 in data 6 febbraio 2010. Così, posto che in tutti e due i procedimenti è stato eccepito un difetto di nullità della procura conferita dal soggetto straniero all'avvocato ricorrente, nel primo caso, la Suprema Corte ha ritenuto inapplicabile tale nuova formulazione dell'art. 182 c.p.c. dovendosi invece applicare la vecchia formulazione che si esprimeva e peraltro solo in termini di possibilità per il giudice di assegnare un termine per regolarizzare la costituzione e non di dovere solo in termini di difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione e non di nullità della procura. Conseguentemente ha confermato il giudizio della Corte di Appello, rigettando il ricorso. Sorte diversa, per l'appunto, ha invece avuto l'altro giudizio in cui, a fronte del medesimo problema di nullità della procura, trattandosi di procedimento sorto dopo il 4 luglio 2009, la Suprema corte ha riconosciuto l'errore della Corte di Appello nell'aver dichiarato inammissibile il ricorso senza aver assegnato alla parte un termine per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, sentenza 12 dicembre 2012 - 6 marzo 2013, n. 5483 Presidente Goldoni – Relatore Petitti Svolgimento del processo Con ricorso depositato il 1 dicembre 2008 la Corte d'appello di Perugia, L.A. proponeva, ai sensi della legge n. 89 del 2001, domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale sofferto a causa della non ragionevole durata di una controversia iniziata dinnanzi al Tribunale di Roma e definita con sentenza della Corte di cassazione. L'adita Corte d'appello ha dichiarato inammissibile il ricorso rilevando che l'Avvocatura dello Stato aveva eccepito la nullità della procura perché non erano indicati né la data né il luogo di rilascio che occorreva accertare se la procura fosse stata rilasciata in Italia che a tal fine era stato ammesso interrogatorio formale del ricorrente che questi, dopo che una rogatoria non era andata a buon fine perché non era stato specificato il suo indirizzo in Croazia, non era comparso per rispondere senza addurre alcuna valida ragione. La Corte d'appello ha poi escluso che potesse avere efficacia sanante il documento, prodotto in corso di giudizio, con il quale apparentemente il ricorrente aveva conferito mandato al proprio difensore, rilevando che tale documento era privo di apostille. La Corte riteneva quindi, ai sensi dell'art. 232 cod. proc. civ., che la procura non fosse stata sottoscritta in Italia. Per la cassazione di questo decreto L.A. ha proposto ricorso sulla base di due motivi, cui ha resistito, con controricorso, l'intimata Amministrazione. Motivi della decisione Con il primo motivo del ricorso i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell'art. 182 cod. proc. civ., dolendosi del fatto che la Corte d'appello di Perugia non abbia disposto la sanatoria del rilevato difetto di procura, così come invece era doveroso ai sensi del secondo comma della detta disposizione. A tal fine, il ricorrente riproduce nel ricorso copia di una procura rilasciata a mezzo notaio pubblico in Croazia nel febbraio 2012. Il primo motivo di ricorso è infondato. Premesso che il giudizio di equa riparazione ha avuto inizio prima del 4 luglio 2009, deve escludersi che in quel giudizio potesse trovare applicazione l'art. 182, secondo comma, cod. proc. civ., come modificato dall'art. 46 della legge n. 69 del 2009, a norma del quale quando rileva un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione ovvero un vizio che determina la nullità della procura al difensore, il giudice assegna alle parti un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l'assistenza, per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa. L'osservanza del termine sana i vizi, e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono fin dal momento della prima notificazione”. La citata disposizione, invero, ai sensi dell'art. 58 della legge n. 69 del 2009, trova applicazione ai procedimenti iniziati successivamente alla entrata in vigore delle medesima legge, e cioè dopo il 4 luglio 2009. Né potrebbe ritenersi che la citata disposizione dovesse essere applicata seguendo l'orientamento espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte Cass., S.U., n. 9217 del 2010 , secondo cui l'art. 182, secondo comma, cod. proc. civ. nel testo applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche introdotte dalla legge n. 69 del 2009 , secondo cui il giudice che rilevi un difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione può assegnare un termine per la regolarizzazione della costituzione in giudizio, dev'essere interpretato, anche alla luce della modifica apportata dall'art. 46, comma secondo, della legge n. 69 del 2009, nel senso che il giudice deve promuovere la sanatoria, in qualsiasi fase e grado del giudizio e indipendentemente dalle cause del predetto difetto, assegnando un termine alla parte che non vi abbia già provveduto di sua iniziativa, con effetti ex tunc, senza il limite delle preclusioni derivanti da decadenze processuali”. Tale principio, all'evidenza, offre un criterio interpretativo dell'art. 182, secondo comma, relativamente al contenuto di tale disposizione prima della entrata in vigore delle modificazioni apportate nel 2009, non anche con riferimento ad un contenuto normativo per l’innanzi inesistente, quale è quello relativo alla rilevazione di un vizio che determina la nullità della procura al difensore. Deve quindi escludersi la sussi-stenza, nel caso di specie, dell'obbligo, che i ricorrenti ritengono sia stato violato, del giudice di concedere alla parte un termine per la regolarizzazione della procura. La Corte d'appello, del resto, ha rilevato - e la circostanza non è stata contestata dal ricorrente - che il documento prodotto nel giudizio presupposto non fosse idoneo a rimuovere il rilevato vizio di nullità della procura perché privo non solo di legalizzazione ma anche di apostille. Si è quindi adeguata al principio per cui ai sensi della Convenzione sull'abolizione della legalizzazione di atti pubblici stranieri, adottata a l'Aja il 5 ottobre 1961 e ratificata dall'Italia con legge 20 dicembre 1966, n. 1253, la dispensa dalla legalizzazione è condizionata al rilascio, da parte dell'autorità designata dallo Stato di formazione dell'atto, di apposita apostille, da apporre sull'atto stesso, o su un suo foglio di allungamento, secondo il modello allegato alla Convenzione, con la conseguenza che, in assenza di tale forma legale di autenticità del documento, il giudice italiano non può attribuire efficacia validante a mere certificazioni provenienti da un pubblico ufficiale di uno Stato estero” Cass 27282 del 2008 . Più in particolare, con riguardo a procura alle liti rilasciata all'estero, il requisito della legalizzazione da parte di autorità consolare italiana di cui all'art. 15 della legge 4 gennaio 1968, n. 15, oggi sostituita dal D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, in tema di documentazione amministrativa , non è richiesto ove la procura medesima sia stata conferita a mezzo di notaio in Paese aderente alla Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961, resa esecutiva in Italia con la legge 20 dicembre 1966, n. 1253, poiché il relativo atto, di natura sostanziale, rientra tra quelli per i quali detta Convenzione ha abolito l'obbligo della ricordata legalizzazione, nel senso che oggi è sufficiente la formalità della apostille” Cass., S.U., n. 1244 del 2004 Cass. n. 10901 del 2002 . A maggior ragione deve escludersi che la procura depositata unitamente al ricorso per cassazione possa avere efficacia sanante della rilevata nullità della procura rilasciata per il giudizio svoltosi dinnanzi alla Corte d'appello. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 434, 115, 116, 232, 83 cod. proc. civ., e sostiene che la Corte d'appello abbia errato nell'attribuire efficacia decisiva alla circostanza che nella procura rilasciata per il giudizio di merito non fossero indicati né il luogo né la data del rilascio della procura, e che avrebbe del pari errato ad attribuire efficacia di confessione alla mancata risposta all'interrogatorio formale, inidonea a costituire la prova contraria alla presunzione di rilascio della procura in Italia. Il motivo è infondato, trovando applicazione il principio per cui al cittadino straniero che agisca davanti al giudice italiano è consentito il rilascio del mandato ad litem nella forma prevista dall'art. 83 cod. proc. civ., dovendosi presumere la presenza di esso nello Stato italiano, che costituisce il presupposto per la validità della procura medesima, dall'attestazione del procuratore che ne autentica la sottoscrizione. Ne consegue che chi ha interesse a fornire la prova contraria può deferire alla controparte l’interrogatorio formale sulla circostanza dell'avvenuto rilascio della procura non in Italia e, in caso di mancata risposta, il giudice, tenuto conto di altri elementi di giudizio integrativi di segno negativo nella specie, la residenza dell'estero della parte onerata , può ritenere che sia stata fornita la prova contraria al rilascio in Italia della detta procura. Cass. n. 665 del 2011 . L'impugnato provvedimento risulta quindi immune dalle proposte censure. Il ricorso va conseguentemente rigettato e il ricorrente condannato, in applicazione del principio della soccombenza, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 292,50 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, sentenza 12 dicembre 2012 - 6 marzo 2013, n. 5484 Presidente Goldoni – Relatore Petitti Svolgimento del processo Con ricorso depositato il 6 febbraio 2010 presso la Corte d'appello di Perugia, O.G. proponeva, ai sensi della legge n. 89 del 2001, domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale sofferto a causa della non ragionevole durata di una controversia iniziata dinnanzi al Tribunale di Roma. L'adita Corte d'appello ha dichiarato inammissibile il ricorso rilevando la non specialità della procura sulla base della quale il difensore aveva introdotto il giudizio. La Corte d'appello riteneva infatti che la procura rilasciata su atto spillato non avesse alcuno specifico riferimento alla causa e alle generalità della controparte, non potendo valere né come procura generale, in mancanza di una esplicita volontà manifestata in tal senso, né come procura speciale, per la carenza di riferimenti alla specifica controversia. Per la cassazione di questo decreto O.G. ha proposto ricorso sulla base di due motivi, cui ha resistito, con controricorso, l'intimata Amministrazione. Motivi della decisione Con il primo motivo del ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 182 cod. proc. civ., in riferimento agli artt. 115 e 116 stesso codice, e vizio di motivazione, dolendosi del fatto che la Corte d'appello di Perugia non abbia bene interpretato il contenuto della procura consolare in atti, nella quale il mandato difensivo concerneva la totalità delle controversie con l'INPS, con l’INAIL, con il Ministero degli interni, nonché qualsiasi procedimento giurisdizionale da promuoversi ex legge n. 89 del 2001. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 163, 164, 230, 292 e 112 cod. proc. civ., dolendosi del fatto che, quand'anche volesse considerarsi la procura prima richiamata come procura speciale, la Corte d'appello avrebbe dovuto fare applicazione dell'art. 182 cod. proc. civ., nella sua nuova formulazione, che impone al giudice di favorire la sanatoria delle nullità della procura alle liti. E, nella specie, certamente si sarebbe al più stati in presenza di una situazione di nullità della procura, non anche di inesistenza della stessa. Il ricorso, i cui due motivi possono essere esaminati congiuntamente, è fondato e va accolto. Indubitabile la carenza, nel caso del ricorso introdotto dinnanzi alla Corte d'appello di Perugia della procura speciale richiesta dall'art. 3, comma 2, della legge n. 89 del 2001 nel testo, ratione temporis applicabile, anteriore alle modificazioni introdotte dall'art. 55 del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012 , trova tuttavia applicazione nel presente giudizio, in quanto introdotto con ricorso depositato il 6 febbraio 2010, l'art. 182, secondo comma, cod. proc. civ., come modificato dalla legge n. 69 del 2009, a norma del quale quando rileva un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione ovvero un vizio che determina la nullità della procura al difensore, il giudice assegna alle parti un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l'assistenza, per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa. L'osservanza del termine sana i vizi, e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono fin dal momento della prima notificazione”. Le Sezioni unite di questa Corte hanno avuto modo di affermare che l'art. 182, secondo comma, cod. proc. civ. nel testo applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche introdotte dalla legge n. 69 del 2009 , secondo cui il giudice che rilevi un difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione può assegnare un termine per la regolarizzazione della costituzione in giudizio, dev'essere interpretato, anche alla luce della modifica apportata dall'art. 46, comma secondo, della legge n. 69 del 2009, nel senso che il giudice deve promuovere la sanatoria, in qualsiasi fase e grado del giudizio e indipendentemente dalle cause del predetto difetto, assegnando un termine alla parte che non vi abbia già provveduto di sua iniziativa, con effetti ex tunc, senza il limite delle preclusioni derivanti da decadenze processuali” Cass., S.U., n. 9217 del 2010 . La Corte d'appello ha quindi errato nel dichiarare la inammissibilità del ricorso per difetto di valida procura senza provvedere, come imposto dal citato art. 182, secondo comma, cod. proc. civ., ad assegnare alla parte un termine per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa. Il ricorso è quindi fondato e va accolto. Ne consegue la cassazione del decreto impugnato, con rinvio alla Corte d'appello di Perugia in diversa composizione, per nuovo esame della domanda. Al giudice di rinvio è demandata altresì la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d'appello di Perugia, in diversa composizione.