Processo troppo lungo? La legge Pinto si applica anche ... a se stessa

Il giudizio di equa riparazione disciplinato dalla legge Pinto è da considerarsi un ordinario processo di cognizione, come tale soggetto alla esigenza di una definizione in tempi ragionevoli la legge Pinto è dunque applicabile anche ai procedimenti introdotti dalla legge stessa.

Lo ha stabilito la Cassazione, Seconda sezione civile, con la sentenza n. 17685/12. Il caso. Una donna, ritenendosi danneggiata dalla non ragionevole durata del giudizio di equa riparazione disciplinato dalla legge Pinto, propone domanda di equa riparazione del danno patrimoniale e non patrimoniale sofferto, ma la Corte d’appello dichiara tale domanda inammissibile. Contro questa decisione la donna ricorre per cassazione. Applicabilità della legge Pinto. Come già affermato dalla giurisprudenza, il giudice di legittimità precisa che il giudizio di equa riparazione previsto dalla legge Pinto va considerato un ordinario processo di cognizione, per il quale opera il termine ragionevole di durata e il conseguente regime indennitario nel caso esso venga violato. Di più. Secondo gli Ermellini il procedimento previsto dalla legge n. 89/2001 va applicato a maggior ragione nel caso di procedimenti introdotti in base alla disciplina della legge stessa, in quanto tale tipologia di giudizi, finalizzati all’accertamento della violazione di un diritto fondamentale, presuppongono una condizione di particolare sofferenza nel ricorrente. Qual è la ragionevole durata? La Suprema Corte precisa infine che, per un giudizio Pinto” svoltosi anche dinanzi ad essa, la durata complessiva è da ritenersi ragionevole se non supera i due anni. Poiché il procedimento in esame risulta essere di durata superiore, la Cassazione accoglie il ricorso determinando altresì l’indennizzo spettante alla ricorrente.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 19 luglio – 16 ottobre 2012, n. 17685 Presidente Rovelli – Relatore Petitti Svolgimento del processo Con ricorso depositato il 29 maggio 2010 presso la Corte d'appello di Perugia, M.G. ha proposto, ai sensi della legge n. 89 del 2001, domanda di equa riparazione del danno patrimoniale e non patrimoniale sofferto a causa della non ragionevole durata del giudizio di equa riparazione, ex lege n. 89 del 2001, introdotto dinnanzi alla Corte d'appello di Roma con ricorso depositato nel febbraio 2005, concluso con decreto di parziale accoglimento depositato nel mese di ottobre 2005 e definito, a seguito di ricorso per cassazione notificato nel novembre 2 006, con sentenza depositata nel dicembre 2009. L'adita Corte d'appello ha dichiarato la domanda inammissibile ritenendo non esperibile il rimedio di cui alla legge n. 89 del 2001 in relazione a procedimenti relativi alla denunciata violazione della durata ragionevole di giudizi presupposti, non discendendo tale proponibilità dalla Convenzione Europea dei diritti dell'uomo ed essendo l'eventuale ritardo nella definizione dei procedimenti ex lege n. 89 del 2001 compensabile dal giudice del procedimento. Per la cassazione di questo decreto M.G. ha proposto ricorso sulla base di un unico motivo, illustrato da memoria, cui ha resistito, con controricorso, l'intimata Amministrazione. Motivi della decisione Il collegio ha deliberato l'adozione della motivazione semplificata nella redazione della sentenza. Con l'unico motivo del ricorso la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2 della legge n. 8 9 del 2001 e degli artt. 6, 13 e 41 della CEDU, nonché dell'art. 111 Cost., richiamando numerosi decreti emessi dalla stessa Corte d'appello di Perugia, con i quali l'eccezione di inammissibilità del rimedio ex lege n. 89 del 2011 in relazione a procedimenti introdotti ai sensi di tale legge, è stata rigettata, rilevandosi che la citata legge non consente in alcun modo di distinguere i procedimenti di equa riparazione da quelli ai quali la medesima legge si applica e di sottrarli quindi al regime di ragionevole durata, che discende direttamente dalla Convenzione Europea e dalla Costituzione italiana. Il ricorso è fondato. Successivamente al deposito del ricorso introduttivo del presente giudizio, questa Corte ha avuto modo di pronunciarsi più volte in ordine alla applicabilità del procedimento disciplinato dalla legge n. 89 del 2001 ai procedimenti introdotti sulla base della legge stessa, per i quali deve ritenersi predicabile l'operatività del termine ragionevole di durata e del conseguente regime indennitario in caso di sua violazione. Come affermato di recente Cass. n. 5924 del 2012 e altre conformi , il giudizio di equa riparazione, che si svolge presso le Corti d'appello ed eventualmente, in sede di impugnazione, dinnanzi a questa Corte, è un ordinario processo di cognizione, soggetto, in quanto tale, alla esigenza di una definizione in tempi ragionevoli, esigenza, questa, tanto più pressante per tale tipologia di giudizi, in quanto finalizzati proprio all'accertamento della violazione di un diritto fondamentale nel giudizio presupposto, la cui lesione genera di per sé una condizione di sofferenza e un patema d'animo che sarebbe eccentrico non riconoscere anche per i procedimenti ex lege n. 89 del 2001. Né appare condivisibile l'assunto che il giudizio dinnanzi alla Corte d'appello e l'eventuale giudizio di impugnazione costituiscano una fase necessaria di un unico procedimento destinato a concludersi dinanzi alla Corte Europea, nel caso in cui nell'ordinamento interno la parte interessata non ottenga una efficace tutela all'indicato diritto fondamentale, atteso che il procedimento interno rappresenta una forma di tutela adeguata ed efficace, sempre che, ovviamente, si svolga esso stesso nell'ambito di una ragionevole durata. Quanto alla determinazione della ragionevole durata di un procedimento di equa riparazione, nelle numerose sentenze emesse nel 2012 vedi, segnatamente, la n. 5924, cit. , questa Corte ha ritenuto che ove, come nel caso di specie, venga in rilievo un giudizio Pinto” svoltosi anche dinnanzi alla Corte di cassazione, la durata complessiva dei due gradi debba essere ritenuta ragionevole ove non ecceda il termine di due anni. Il ricorso deve quindi essere accolto, essendo erronea la decisione della Corte territoriale che ha ritenuto inammissibile il procedimento di equa riparazione per la irragionevole durata di un procedimento di equa riparazione relativamente a giudizio presupposto di altra natura. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito. Nel caso di specie, infatti, dallo stesso provvedimento impugnato emerge che il ricorso è stato depositato presso la Corte d'appello di Roma nel mese di febbraio 2005 che l'unico grado di giudizio di merito si è concluso con decreto depositato nel mese di ottobre 2005 che il giudizio di cassazione è stato introdotto con ricorso notificato nel novembre 2006 ed è terminato con sentenza depositata nel mese di dicembre 2009. La durata complessiva del procedimento di equa riparazione è stata dunque di circa quattro anni e due mesi. Detratto il termine ragionevole, stimato in due anni, nonché il termine di undici mesi intercorso tra il deposito del decreto e la proposizione della impugnazione, ulteriore rispetto al termine breve previsto per il ricorso per cassazione, la durata non ragionevole risulta essere stata di circa un anno e tre mesi. Alla luce dell'accertata irragionevole durata del giudizio, alla ricorrente spetta un indennizzo che va liquidato sulla base di Euro 750,00 per anno, e quindi in complessivi Euro 937,50, oltre interessi legali dalla data della domanda al saldo. Alla ricorrente compete altresì il rimborso delle spese dell'intero giudizio, liquidate nella misura indicata in dispositivo. Le spese devono essere distratte in favore del difensore della ricorrente, dichiaratosi antistatario. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento, in favore di M.G. , della somma di Euro 937,50, oltre interessi legali dalla data della domanda al saldo condanna il Ministero alla rifusione delle spese dell'intero giudizio che liquida, per il giudizio di merito, in Euro 775,00, di cui Euro 50 per esborsi, 280 per diritti e 445,00 per onorari, e, per il giudizio di legittimità, in Euro 525,00, di cui Euro 425,00 per onorario, oltre alle spese generali e agli accessori di legge. Dispone la distrazione delle spese in favore del difensore antistatario.