L’opera presenta vizi e difetti: se il committente non ne chiede l’eliminazione diretta, il corrispettivo pattuito è intoccabile

In tema di appalto, qualora il committente, rilevata l’esistenza di vizi e difetti dell’opera, non ne pretenda l’eliminazione diretta da parte dell’esecutore del lavoro chiedendo invece il risarcimento del danno per l’inesatto adempimento , il credito dell’appaltatore per il corrispettivo pattuito non può essere messo in discussione.

Questa sentenza della Cassazione Seconda sezione Civile, n. 6009, depositata il 17 aprile , affronta due temi principali la possibilità per l’opposto nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo di proporre domande riconvenzioni il diritto al compenso a favore dell’appaltatore nel caso in cui il committente si limiti a far valere, sotto il profilo risarcitorio, l’esistenza di vizi e difetti, senza tuttavia invocare l’eliminazione diretta degli stessi a cure e spese dell’appaltatore. Il caso. Un fornitore otteneva un decreto ingiuntivo contro il proprio committente, portato da fatture per fornitura di pavimenti e collanti. Proposta opposizione, il committente eccepiva che si era trattato di un contratto di appalto e non di fornitura e che in ogni caso i lavori di posa dei pavimenti non erano stati né consegnati, né collaudati, né realizzati a regola d’arte. Il Tribunale accoglieva l’opposizione affermando che in effetti non si trattava di semplice fornitura ma di un vero e proprio contratto di appalto, per cui il decreto ingiuntivo chiesto in ragione di una presunta fornitura andava revocato. Inoltre, quanto ai lavori di posa della pavimentazione, come accertato in fase istruttoria essi presentavano vizi e difetti tali da giustificare la richiesta di risarcimento dei danni. La Corte d’Appello confermava anzitutto la sussistenza di un vero appalto, peraltro accogliendo parzialmente l’appello, ritenendo ammissibile la riconvenzionale proposta dall’appaltatore opposto ed avente ad oggetto la determinazione del valore dei lavori eseguiti a titolo di corrispettivo dovuto per l’appalto corrispettivo di cui tenere conto nella determinazione delle somme infine rispettivamente dovute reciprocamente . La sentenza veniva quindi impugnata per cassazione. La regola l’inammissibilità della riconvenzionale da parte dell’opposto. Secondo la Suprema Corte, anzitutto va ribadito che, in via generale, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo soltanto l’opponente, nella sua posizione sostanziale di convenuto, può proporre domande riconvenzioni, mentre l’opposto, rivestendo la posizione sostanziale di attore, non può avanzare domande diverse da quelle fatte valere con l’ingiunzione. L’eccezione alla regola è ammissibile in alcuni casi lo ius variandi dell’opposto. Tuttavia, anche all’opposto, a certe condizioni, è consentito, con la comparsa di costituzione e risposta, l’esercizio dello ius variandi . Lo aveva peraltro già precisato la stessa Cassazione con una precedente sentenza resa a Sezione Unite 2010 , per cui il menzionato ius variandi è ammissibile sia quando l’opponente abbia a sua volta proposto domande riconvenzioni, sia quanto il medesimo abbia introdotto, con l’atto di opposizione, difese, in fatto o in diritto, finalizzate al rigetto della domanda, integrando temi di indagine tali da giustificare, da parte dell’opposto, una nuova domanda. Il principio applicato al caso concreto. In questo caso, l’opponente aveva contestato l’inqudrabilità nel tipo della vendita del contratto stipulato, affermando che si trattava invero di un appalto, accompagnando questa difesa con la richiesta preliminare di inammissibilità del provvedimento monitorio. Ma l’opponente aveva altresì proposto una domanda con la quale aveva chiesto il risarcimento dei danni per la mancata esecuzione dei lavori a regola d’arte e per la presenza di vizi. In questo quadro, l’opposta ha ritualmente chiesto la condanna della controparte al pagamento dell’intero corrispettivo dell’appalto, trattandosi di uno sviluppo della contesa originariamente instauratasi, dipendente dal tema di indagine e della domanda introdotti dall’opponente con la citazione in opposizione. L’appaltatore ha diritto al pagamento del compenso se il committente non chiede l’eliminazione diretta dei vizi. La Corte d’Appello aveva riconosciuto il diritto al corrispettivo a favore dell’appaltatore per l’opera realizzata fatto salvo il diritto al risarcimento del danno a favore del committente . Il committente aveva criticato in Cassazione questa decisione. Tuttavia, secondo i Giudici di legittimità, in tema di appalto, qualora il committente, rilevata l’esistenza di vizi e difetti dell’opera, non ne pretenda l’eliminazione diretta da parte dell’esecutore del lavoro chiedendo invece il risarcimento del danno per l’inesatto adempimento , il credito dell’appaltatore per il corrispettivo pattuito non viene messo in discussione.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 2 - 17 aprile 2012, n. 6009 Presidente Felicetti – Relatore Giusti Ritenuto in fatto 1. - La s.a.s. Comec chiedeva ed otteneva dal Tribunale di Belluno un decreto ingiuntivo n. 428 del 6 agosto 1994 nei confronti di G V. per la somma di lire 14.114.094, pari ad Euro 7.495,90, portata da fatture per forniture di pavimenti e di collanti. Il V. proponeva opposizione con atto di citazione notificato il 23 settembre 1994, rilevando come tra le parti fosse intercorso un contratto, non di fornitura, ma di appalto, e quindi concludeva per l'inammissibilità del decreto ingiuntivo. In via subordinata, l'opponente eccepiva che i lavori non erano stati né consegnati né collaudati e, comunque, non erano stati eseguiti a regola d'arte, concludendo per la revoca del decreto ingiuntivo opposto con la compensazione dell'eventuale residuo compenso spettante alla Comec e domandava la condanna di quest'ultima al risarcimento dei danni pari alle somme necessarie per la sostituzione del pavimento o comunque per la sua esecuzione a regola d'arte. Si costituiva la società opposta, resistendo e proponendo, anch'essa, domanda riconvenzionale, con la quale instava per il pagamento dell'ulteriore somma di lire 11.564.851. Con sentenza in data 16 aprile 2002, il Tribunale di Belluno revocava il decreto opposto e condannava l'opponente al pagamento in favore dell'opposta della residua somma di Euro 781,96, oltre IVA, ponendo a carico della società opposta le spese di lite. Il Tribunale qualificava il contratto come appalto, come desumibile dalla unicità del prezzo concordato e dal collaudo finale, previsto per la verifica a regola d'arte dell'opera appaltata, e quindi revocava il decreto emesso, in quanto richiesto per la fornitura del materiale. In relazione, poi, al lavoro effettuato, il primo giudice - premesso che nel giudizio d'opposizione l'esame deve estendersi anche al fondamento del credito azionato, e che le parti avevano sostanzialmente concordato su tale impostazione, avendo richiesto ed ottenuto l'espletamento di un'istruttoria rivolta proprio a diri-mere il quesito sulla sussistenza e sulla rilevanza dei vizi lamentati dall'opponente - prendeva atto che l'opera presentava difetti notevoli, tali da non consentire un collaudo a regola d'arte dell'opera medesima calcolava un costo di lire 13.000.000 per portare il pavimento ad un grado di accettabilità e quantificava il dovuto da parte dell'opponente, dopo avere compensato le poste di dare ed avere tra le parti. Il Tribunale, infine, rigettava la richiesta dell'opposta per il pagamento dell'intera somma che sarebbe stata dovuta dal V. una volta che l'opera fosse risultata ultimata e collaudata, e ciò non essendo stata fornita in causa alcuna prova al riguardo. 2. - Investita del gravame principale della s.a.s. Comec e del gravame incidentale del V. , la Corte d'appello di Venezia, con sentenza pubblicata il 6 maggio 2008, in parziale accoglimento dell'impugnazione principale ed in riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato il V. a corrispondere alla società Comec la residua somma di Euro 4.916,67, oltre IVA ed accessori, ed ha regolato le spese del doppio grado. 2.1. - La Corte territoriale ha rilevato - che si è in presenza di un contratto d'appalto, come correttamente ritenuto dal giudice di primo grado di qui la revoca del decreto ingiuntivo, perché emesso in difetto delle condizioni di legge per poterlo richiedere - che la riconvenzionale della società opposta, volta ad ottenere il pagamento dell'intero corrispettivo dell'appalto, era ammissibile in rito, perché, a fronte della riconvenzionale proposta dal V. , e che chiedeva l'accertamento dei vizi per non essere stata l'opera eseguita a regola d'arte, la Comec s.a.s. ben poteva chiedere quanto dovuto per l'intera opera, trattandosi di sviluppo logico della contesa originariamente instaurata - che il consulente d'ufficio ha quantificato il costo dell'opera realizzata in lire 22.520.000, costo sostanzialmente non contestato dalle parti - che l'opera realizzata presenta dei vizi, causati da errori effettuati nella posa in opera del materiale, per i quali il consulente ha calcolato una spesa di lire 13.000.000. 3. - Per la cassazione della sentenza della Corte d'appello il V. ha proposto ricorso, con atto notificato il 15 aprile 2009, sulla base di sette motivi. L'intimata società ha resistito con controricorso. Considerato in diritto 1. - Preliminarmente, deve essere rigettata l'eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dal pubblico ministero sul rilievo che il ricorrente, per narrare i fatti di causa, si sarebbe limitato ad allegare al ricorso, mediante spillatura , gli atti dei precedenti gradi del giudizio. L'eccezione è infondata, perché nella specie la spillatura integrale di alcuni degli atti del processo, utili per la prospettazione dei motivi e per la decisione delle questioni agitate con il ricorso, è accompagnata da un'esposizione dei motivi e dei fatti di causa, la quale già di per sé - per puntualità e completezza di riferimenti - complessivamente risponde in modo idoneo al requisito di cui all'art. 366, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., sicché l'atto spillato svolge una funzione integrativa e non già sostitutiva degli elementi essenziali del ricorso stesso cfr. Cass., Sez. III, 14 ottobre 2011, n. 21297 . 2. - Con i primi due motivi - con i quali il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 36, 112, 183 e 650 cod. proc. civ., una volta in relazione all'art. 360, n. 4, cod. proc. civ., l'altra in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ. - ci si duole che la Corte territoriale, investita del gravame con l'appello incidentale del V. , non abbia dichiarato inammissibile la riconvenzionale dell'opposta. Si pone il quesito se, proposto ricorso per decreto ingiuntivo chiedendo la condanna dell'intimato al pagamento del corrispettivo per la vendita di beni, nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo cosi concesso, allorché l'opponente neghi di aver acquistato beni e sostenga di aver concluso un contratto di appalto ed il giudice dell'opposizione qualifichi effettivamente il contratto tra le parti come appalto e non come vendita, sia ammissibile la domanda riconvenzionale del convenuto opposto, per il pagamento delle somme azionate non più a titolo di prezzo per la vendita ma di corrispettivo per l'opera svolta, ancorché la riconvenzionale dell'opponente sia proposta in via subordinata alla domanda di revoca del decreto ingiuntivo opposto che non contenga alcuna riconvenzionale. 2.1. - La censura articolata con i primi due motivi è infondata. È esatto che, in via generale, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo soltanto l'opponente, nella sua posizione sostanziale di convenuto, può proporre domande riconvenzionali, mentre l'opposto, rivestendo la posizione sostanziale di attore, non può avanzare domande diverse da quelle fatte valere con l'ingiunzione. E tuttavia anche all'opposto è, a certe condizioni, consentito, con la comparsa di costituzione e risposta, l'esercizio dello ius variandi e ciò - come è stato precisato dalle Sezioni Unite sentenza 27 dicembre 2010, n. 26128 - sia quando l'opponente abbia a sua volta proposto una domanda riconvenzionale, sia quando lo stesso abbia introdotto, con l'atto di opposizione, difese, in fatto o in diritto, finalizzate al rigetto della domanda, ma integranti un tema di indagine tale da giustificare, da parte dell'opposto, una domanda nuova. Ed è quanto si è verificato, appunto, nella specie avendo l'opponente contestato, con l'atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, l'inquadratalità nel tipo della vendita del contratto inter partes ed affermato che tra le stesse era in realtà stato stipulato un contratto di appalto, ed avendo accompagnato la richiesta preliminare di inammissibilità del decreto con eccezioni e una domanda risarcitoria per la mancata esecuzione dei lavori a regola d'arte e per la presenza di vizi, ritualmente la società opposta, con la comparsa di costituzione e risposta, ha chiesto la condanna del V. al pagamento dell'intero corrispettivo dell'appalto, trattandosi di uno sviluppo della contesa originariamente instaurata, dipendente dal tema d'indagine introdotto e dalla domanda proposta dall'opponente con la citazione in opposizione. 3. - Con il terzo, il quarto ed il quinto motivo il ricorrente denuncia la violazione dell'art. 2 909 cod. civ. in riferimento, rispettivamente, al n. 4 , al n. 3 ed al n. 5 dell'art. 360 cod. proc. civ. Si rileva che, avendo il giudice di primo grado qualificato come appalto il contratto da cui sorge il rapporto controverso ed affermato nel caso di specie che non può essere accolta la richiesta dell'opposto per il pagamento dell'intera somma che sarebbe dovuta dal V. una volta che l'opera risultasse ultimata e collaudata del che non è stata fornita in causa alcuna prova , l'omessa impugnazione del principio di diritto per cui il corrispettivo per l'appalto spetta solo una volta che l'opera risultasse ultimata e collaudata e la mancata prova che l'opera sia stata in concreto ultimata e collaudata determinerebbero la formazione del giudicato interno sul rigetto della domanda, che il giudice del gravame avrebbe dovuto rilevare. 3.1. - La doglianza veicolata con il terzo, il quarto ed il quinto motivo è priva di fondamento. Essa muove dal presupposto che la statuizione contenuta nella sentenza del Tribunale di Belluno – ossia il rigetto della domanda di pagamento dell'intera somma, per non essere stata fornita alcuna prova della ultimazione e del collaudo dell'opera - non sia stata censura-ta con l'atto di appello. Si tratta di un presupposto erroneo, perché il libello introduttivo del giudizio di gravame - al quale è possibile accedere in ragione della natura del vizio denunciato - consente di giungere alla conclusione che detta ratio decidendi sia stata fatta oggetto di un motivo specifico di censura. Infatti, premesso che il credito complessivo nei confronti del sig. V. era di lire 26.078.945 , l'atto di appello al foglio 12 e 13 censura l'errore in cui è incappato il Giudice Unico del Tribunale di Belluno laddove ha accertato il costo delle opere per l'eliminazione dei vizi di esecuzione riscontrati in lire 13.000.000 e ha decurtato tale somma dal solo importo richiesto per la fornitura dei materiali, liquidando l'ulteriore somma richiesta in un generico mancato accoglimento per insufficienza di prova del lavoro svolto quand'anche l'entità del lavoro non è neppure stata contestata . In sostanza, l'appellante ha censurato come genericamente motivata la statuizione di rigetto della domanda di pagamento dell'intero lavoro svolto ed ha sottolineato che il completamento dell'esecuzione dei lavori non era contestato tra le parti. 4. - Con il sesto ed il settimo motivo violazione degli artt. 1655 e 1665 cod. civ., in riferimento all'art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ. ci si duole - anche sotto il profilo del vizio di motivazione - che sia stato riconosciuto il diritto dell'appaltatore al compenso pattuito, detratti i costi per l'eliminazione dei vizi riscontrati nell'opera, anche quando, come nella specie, l'opera non sia stata terminata né collaudata ed il committente abbia ripetutamente contestato i difetti della stessa. 4.1. - I motivi - i quali possono essere esaminati congiuntamente, stante la loro stretta connessione - sono infondati. La Corte del merito, con logico e motivato apprezzamento delle risultanze di causa, ha accertato, sulla base della consulenza tecnica, che il costo dell'opera realizzata ammonta a lire 22.520.000, rilevando che detto costo non è sostanzialmente contestato dalle parti inoltre, scomputando la spesa per riparare i vizi riscontrati pari a lire 13.000.000 dal costo dell'opera realizzata, ha ulteriormente confermato che l'opera oggetto del contratto di appalto è stata ultimata, ancorché con la presenza di difetti. Tanto premesso, il riconoscimento, da parte della Corte d'appello, del diritto al corrispettivo in capo all'appaltatore per l'opera realizzata sfugge alla cen-sura mossa dal ricorrente, perché, in tema di appalto, qualora il committente, rilevata l'esistenza di vizi dell'opera, non ne pretenda l'eliminazione diretta da parte dell'esecutore del lavoro, chiedendo, invece, il risarcimento del danno per l'inesatto adempimento, il credito dell'appaltatore per il corrispettivo pattuito non viene messo in discussione Cass., Sez. II, 5 marzo 1979, n. 1386 Cass., Sez. II, 14 luglio 1981, n. 4606 Cass., Sez. II, 23 gennaio 1999, n. 644 Cass., Sez. II, 17 aprile 2002, n. 5496 . 5. - Il ricorso è rigettato. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta, il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali, che liquida in complessivi Euro 2.000, di cui Euro 1.800 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.