«Effetto devolutivo pieno» del reclamo avverso la sentenza di fallimento

Al centro dell’attenzione l’applicabilità o meno del principio devolutivo, tipico dell’appello, al reclamo avverso la sentenza di fallimento. E, gli Ermellini, con la pronuncia che qui ci occupa, ne dichiarano la sua inapplicabilità.

I giudici della Sesta Sezione precisano che il reclamo in luogo del precedente appello, così come ridenominato dall’art. 18 l. fall. ex d.lgs. n. 169/2007, è caratterizzato, per la sua specialità, da un effetto devolutivo pieno, cui non si applicano i limiti previsti, in tema di appello, dagli artt. 342 e 345 c.p.c., pur attenendo il reclamo ad un provvedimento decisorio, emesso all’esito di un procedimento contenzioso svoltosi in contraddittorio e suscettibile di acquistare autorità di cosa giudicata. Il fatto. Si antepone, per chiarezza di disamina, una rapida descrizione del fatto concreto. Il caso di specie origina dall'impugnazione per cassazione presentata da parte di una società fallita avverso la sentenza con la quale la Corte d’appello aveva rigettato la sua impugnazione contro la sentenza dichiarativa del fallimento della stessa. Quest’ultima, pertanto, lamenta nell’unico motivo di gravame, che la Corte territoriale non aveva ritenuto ammissibile, la deduzione di nuove prove e il deposito di nuovi documenti da parte dell’appellante stessa, che non era comparsa nell’ambito dell’istruttoria prefallimentare. Gli Ermellini accolgono in toto la censura precisando che il debitore, benché non costituito avanti al Tribunale, può indicare anche per la prima volta, in sede di reclamo, i mezzi di prova di cui intende avvalersi, al fine di dimostrare la sussistenza dei limiti dimensionali di cui all’art. 1, comma 2, l. fall., tenuto conto che, sul punto e come ribadito da Corte Cost. n. 198/2009 - in tema di dichiarazione di fallimento ed onere della prova nel procedimento dichiarativo - permane un ampio potere di indagine officioso in capo allo stesso organo giudicante. Reclamo al posto dell’appello. Ferma restando la competenza della Corte d’appello a provvedere in sede di gravame sulla dichiarazione di fallimento emessa dal Tribunale, il correttivo del 2007 ha adoperato la qualifica di reclamo , in luogo di quella di appello , e ne ha più diffusamente disciplinato per alcuni aspetti l’atto introduttivo e la conseguente procedura. La reazione a tale ultimo provvedimento normativo lascia intendere che l’intenzione perseguita dal legislatore nel sostituire l’appello con il reclamo è stata quella di rendere il mezzo di gravame più coerente con il rito camerale che contraddistingue la procedura prefallimentare e la dichirazione di fallimento, nonché di consentire un più completo spiegamento dell’effetto devolutivo dell’impugnazione, anche in considerazione del carattere indispensabile degli interessi in gioco. Pertanto, occorre ribadire che, l’aspetto certamente più innovativo – ma anche quello che ha suscitato maggiori discussioni e che ha dato adito a non pochi rilievi critici – in cui si è articolato l’intervento correttivo del d.lgs. 169/2007 in questa parte del processo di fallimento, consiste nel fatto che, all’art. 18 l. fall., il rimedio del reclamo è venuto ora a sostituire l’appello quale strumento volto ad impugnare la sentenza dichiarativa di fallimento. Reale natura del giudizio ex art. 18 l. fall È opportuno evidenziare quale sia la reale natura del giudizio ex art. 18 l. fall. ed il contenuto dei poteri cognitivi della Corte d’appello, partendo dalla considerazione formale che, come già emergeva dalla Relazione Illustrativa alla nuova legge fallimentare il passaggio dallo strumento impugnatorio dell’appello a quello del reclamo era dichiaratamente motivato dall’esigenza di impedire l’applicazione dei principi generali in materia, appunto, di appello e consentire un pieno effetto devolutivo cioè la idoneità del mezzo impugnatorio di portare alla cognizione del giudice adito tutto l’oggetto del giudizio di prima istanza. Pieno effetto devolutivo del reclamo. L’odierno decisum , in sintesi, stabilisce che il reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento è caratterizzato da un effetto devolutivo pieno, cui non si applicano i limiti previsti, in tema di appello dagli artt. 342 e 345 c.p.c., ponendosi contra una decisione della Suprema Corte, Cass. civ., sez. I, n. 22546/2010 che, in un caso analogo, aveva stabilito invece che, anche al reclamo dovevano applicarsi i limiti dell’effetto devolutivo dell’appello e di conseguenza la Corte d’appello non poteva revocare il fallimento in base a circostanze di fatto diverse da quelle per le quali era stata sollecitata la revisione del provvedimento reclamato.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, sentenza 23 febbraio – 4 aprile 2012, n. 5420 Presidente Vitrone – Relatore Cultrera Fatto e diritto La soc. coop. Trofè ricorre per cassazione nei confronti della sentenza con la quale la Corte d'appello ha rigettato la sua impugnazione avverso la sentenza dichiarativa del suo fallimento. Resiste solo l'intimata curatela con controricorso. Il Consigliere rei. ha rilevato quanto segue Con l'unico motivo di ricorso si censura l'impugnata decisione per avere ritenuto la Corte d'appello che non fosse ammissibile la deduzione di nuova prove e il deposito di nuovi documenti ad opera dell'appellante fallita che non era comparsa nell'ambito dell'istruttoria prefallimentare. La censura è manifestamente fondata in quanto la Corte ha in proposito enunciato il principio secondo cui Nel giudizio di impugnazione avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, quanto ai procedimenti in cui trova applicazione la riforma di cui al d.lg. n. 169 del 2007, che ha modificato l'art. 18 l. fall., ridenominando tale mezzo come reclamo in luogo del precedente appello, l'istituto, adeguato alla natura camerale dell'intero procedimento, è caratterizzato, per la sua specialità, da un effetto devolutivo pieno, cui non si applicano i limiti previsti, in tema di appello, dagli art. 342 e 345 c.p.c., pur attenendo il reclamo ad un provvedimento decisorio, emesso all'esito di un procedimento contenzioso svoltosi in contraddicono e suscettibile di acquistare autorità di cosa giudicata ne consegue che il debitore, benché non costituito avanti al tribunale, può indicare anche per la prima volta, in sede di reclamo, i mezzi di prova di cui intende avvalersi, ai fine di dimostrare la sussistenza dei limiti dimensionali di cui all'art. 1, comma 2, l. fall., tenuto conto che, sul punto e come ribadito da Corte cost. 1 luglio 2009 n. 198 - in tema di dichiarazione di fallimento ed onere della prova nel procedimento dichiarativo - permane un ampio potere di indagine officioso in capo allo stesso organo giudicante. Affermando detto principio, la S.C. ha cassato la sentenza con la quale il giudice d'appello, confermando la sentenza di fallimento, aveva negato di poter valutare la prova documentale, sui requisiti di fallibilità, introdotta per la prima volta dal debitore con il reclamo Cassazione civile, sez. I, 05/11/2010, n. 22546 . Il collegio ritiene di condividere la riferita proposta e per l'effetto accoglie il ricorso disponendo la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'appello di Lecce che esaminerà il merito e provvederà altresì alla regolamentazione delle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d'appello di Lecce in diversa composizione.