Si può avere diritto all’indennizzo per il danno da eccessiva durata del processo anche se l’azione è infondata

Il diritto all’equa riparazione non dipende dall’esito del giudizio e l’asserita consapevolezza da parte dell’istante della scarsa probabilità di successo dell’iniziativa giudiziaria è irrilevante.

In caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, il diritto all’equa riparazione spetta a tutte le parti del processo, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti e dalla consistenza economica ed importanza del giudizio, a meno che il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire proprio il perfezionamento del diritto alla riparazione, e dunque in difetto di una condizione soggettiva di incertezza, restando irrilevante l’asserita consapevolezza da parte dell’istante della scarsa probabilità di successo dell’iniziativa giudiziaria. Così afferma la Sesta sezione Civile della Corte di Cassazione nella sentenza n. 35/12, depositata il 9 gennaio scorso. Il caso. Ognuno, si sa, ha i suoi tempi, ma 13 anni senza un verdetto per un giudizio promosso davanti al Tar sembrano davvero troppi. Così, i protagonisti di questa vicenda decidono di proporre domanda per ottenere dal Ministero dell’Economia un’equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo. La Corte d’appello respinge la richiesta. Dopo poco meno di tre anni dalla data dell’inizio del giudizio davanti al Tar, una sentenza della Corte Costituzionale aveva dichiarato la non fondatezza della questione. Di conseguenza la domanda proposta davanti al tribunale amministrativo era diventata palesemente infondata ed era ormai scontato un esito sfavorevole per i ricorrenti. In ragione di ciò, i giudici di merito hanno ritenuto che l’attesa della controversia non potesse aver procurato un patema d’animo indennizzabile. Gli attori però non ci stanno e ricorrono in Cassazione. Il diritto all’equa riparazione non dipende dall’esito del giudizio. La Suprema Corte ritiene fondato il ricorso e ha modo di precisare che in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, il diritto all’equa riparazione di cui all’art. 2 della l. n. 89/01 spetta a tutte le parti del processo, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti e dalla consistenza economica ed importanza del giudizio, a meno che l’esito del processo presupposto non abbia un indiretto riflesso sull’identificazione, o sulla misura, del pregiudizio morale sofferto dalla parte in conseguenza dell’eccessiva durata della causa, come quando il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire proprio il perfezionamento della fattispecie di cui al richiamato art. 2, e dunque in difetto di una condizione soggettiva di incertezza, restando irrilevante l’asserita consapevolezza da parte dell’istante della scarsa probabilità di successo dell’iniziativa giudiziaria . La resistenza in giudizio al solo fine dell’ottenimento della riparazione va dimostrata. I giudici di legittimità precisano poi che l’esistenza di situazioni costituenti abuso del processo deve essere provata dall’Amministrazione, non essendo sufficiente, a tal fine, la deduzione che la domanda della parte sia stata dichiarata manifestamente infondata. Il termine ragionevole di durata per il giudizio di primo grado è di 3 anni. La Corte di Cassazione, nel determinare infine l’ammontare della riparazione dovuta, fa esplicito riferimento ai parametri fissati dalla CEDU secondo i quali, nel caso di specie, si è superato di ben dieci anni il termine ragionevole di durata del giudizio. Viene dunque liquidata ai ricorrenti, in via equitativa, per danno non patrimoniale, la somma di 6.500 euro in considerazione del fatto che, secondo la giurisprudenza recente della CEDU, possono essere liquidate, a titolo di indennizzo, somme d’importo inferiore ai mille euro annui, cifra precedentemente ritenuta congrua in casi come questo.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile, sentenza 12 dicembre 2011 – 9 gennaio 2012, numero 35 Presidente Salmè – Relatore Schirò Motivi della decisione Con un unico motivo i ricorrenti si dolgono che la Corte di merito, con violazione dell'art. 2, comma 3, della legge 2001/89, abbia rigettato la domanda, ritenendo che la palese infondatezza della domanda proposta davanti al Tar consentiva di escludere - anche in conseguenza dell'esito negativo di un giudizio di legittimità costituzionale, definito dalla Corte costituzionale con sentenza numero 330/1999 dichiarativa della non fondatezza della questione sollevata, intervenuta proprio in concomitanza con il decorso della durata ragionevole del processo che l'attesa della definizione della controversia, dall’esito sfavorevole ormai scontato, potesse aver procurato ai ricorrenti medesimi un patema d'animo indennizzabile. Il ricorso è fondato. Infatti, in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, il diritto all'equa riparazione di cui all'art. 2 della legge numero 89 del 2001 spetta a tutte le parti del processo, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti e dalla consistenza economica ed importanza del giudizio, a meno che l'esito del processo presupposto non abbia un indiretto riflesso sull'identificazione, o sulla misura, del pregiudizio morale sofferto dalla parte in conseguenza dell'eccessiva durata della causa, come quando il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire proprio il perfezionamento della fattispecie di cui al richiamato art. 2, e dunque in difetto di una condizione soggettiva di incertezza, restando irrilevante l'asserita consapevolezza da parte dell'istante della scarsa probabilità di successo dell'iniziativa giudiziaria. Dell'esistenza di queste situazioni, costituenti abuso del processo, deve dare prova puntuale l'Amministrazione, non essendo sufficiente, a tal fine, la deduzione che la domanda della parte sia stata dichiarata manifestamente infondata Cass. 2006/7139 2008/24269 2010/9938 . La Corte di appello di Bologna - nel rigettare il ricorso osservando che la palese infondatezza della domanda proposta davanti al Tar consentiva di escludere che l'attesa della definizione della controversia, dall'esito sfavorevole ormai scontato dopo la pronuncia della Corte costituzionale numero 330/1999 dichiarativa della non fondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata e intervenuta proprio in concomitanza con il decorso della durata ragionevole del processo, potesse aver procurato ai ricorrenti un patema d'animo indennizzabile - non si è uniformata ali'orientamento sopra enunciato e il decreto impugnato deve essere conseguentemente annullato. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell'art. 384, comma 2, c.p.c. Si deve, in primo luogo, osservare che non si rinvengono in atti elementi che, alla stregua del principio in precedenza enunciato, consentano di ritenere che i ricorrenti, pur proponendo una domanda priva di fondamento, abbiano promosso una lite temeraria in difetto di una condizione soggettiva di incertezza e che pertanto non si sia nella specie verificato il pregiudizio morale conseguente all'eccessiva durata della causa, tenuto conto che questo si verifica di regola come effetto della violazione medesima e non abbisogna di essere provato sia pure attraverso elementi presuntivi Cass. 2005/21088 2006/7139 . Va altresì rilevato che il giudizio presupposto - promosso davanti al Tar Emilia Romagna con ricorso del 18 aprile 1996 e non ancora definito alla data di deposito del ricorso per equa riparazione 3 aprile 2009 - si è protratto per tredici anni, con conseguente superamento nella misura di dieci anni del termine ragionevole di durata, determinato per il giudizio di primo grado in tre anni alla stregua dei parametri fissati dalla Corte europea dei diritti deli'uomo e della Corte di cassazione Cass. 2008/14 . In ordine al criterio per indennizzare la parte del danno non patrimoniale subito nel processo presupposto va considerato che la CEDU, in alcune decisioni Volta et autres c. Italia, del 16 marzo 2010 Falco et autres c. Italia, del 6 aprile 2010 ha ritenuto che potessero essere liquidate, a titolo di indennizzo per il danno non patrimoniale da eccessiva durata del processo, in relazione ai singoli casi e alle loro peculiarità, somme complessive d'importo notevolmente inferiore a quella di mille euro annue normalmente liquidata, con valutazioni del danno non patrimoniale che consentono al giudice italiano di procedere, in relazione alle particolarità della fattispecie, a valutazioni più riduttive rispetto a quelle in precedenza ritenute congrue v. Cass. 2010/14753 2010/15130 . Nel caso di specie, considerati i margini di valutazione equitativa adottabili in conformità dei criteri ricavabili dalla sopra menzionata giurisprudenza della CEDU e valutate le specificità del caso in relazione al protrarsi della procedura dinanzi al Tar Emilia Romagna oltre i limiti ragionevoli di durata, e in particolare del lunghissimo periodo in cui non vi è stato impulso sollecitatorio di parte, avendo i ricorrenti presentato istanza di prelievo soltanto il 17 e il 28 febbraio 20909, a ciascuno dei ricorrenti va liquidata in via equitativa, per danno non patrimoniale, la somma di euro 6.500,00 con gli interessi legali dalla domanda, al cui pagamento deve essere condannato il Ministero soccombente. Le spese del giudizio di merito e quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa Cass. 2008/23397 2008/25352 . P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso. Cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell'Economia e delle Finanze al pagamento in favore di ciascuno dei ricorrenti della somma di euro 6.500,00, oltre agli interessi legali dalla domanda. Condanna il Ministero soccombente al pagamento in favore dei ricorrenti delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in euro 1.640,00 di cui euro 1.100,00 per competenze ed euro 50,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge. Condanna inoltre il Ministero soccombente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in euro 965,00, di cui euro 865,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge.