Un paziente perde la vista e una bambina che nasce con problemi neurologici: niente risarcimento per il primo, per la bimba chissà...

Il caso in Sardegna riflettori puntati sull'azione civile e sulla prescrizione della richiesta. Invece in Lombardia i danni vengono negati a un paziente che aveva subito un calo della vista dopo due operazioni.

Perdita della vista, in un caso, e danno neurologico permanente alla propria bambina, dall'altro. I casi giudiziari di 'malasanità' - almeno presunta - toccano spesso argomenti drammatici, coinvolgendo famiglie intere, e vedono divenire argomento di discussione non solo la responsabilità delle strutture e dei medici ma anche il risarcimento dei danni, sempre richiesto, talora negato. Come distinguere il risarcimento ottenuto da quello negato? Oltre, ovviamente, a tener conto delle peculiarità mediche legate ai diversi casi Vista in calo Il primo caso, che prendiamo in esame, è quello relativo a un paziente operato in una rinomata struttura sanitaria di Milano. Intervento necessario a causa del distacco della retina dell'occhio destro. Ma il decorso è tutt'altro che semplice, anzi esso porta a un notevole abbassamento del visus. Conseguenziale la richiesta di accertare la responsabilità della struttura sanitaria, che viene rigettata in primo e in secondo grado, e che arriva sino alla Corte di Cassazione. In ballo la ricostruzione dei fatti, ovvero il doppio intervento, il 'peso' dell'anestesia e gli effetti che, secondo il paziente, ne sono derivati, effetti negativi, ovviamente. Anche alla luce delle valutazioni compiute dal consulente. E, allo stesso tempo, anche l'onere probatorio spetta, cioè, alla struttura sanitaria dimostrare che non esiste nesso tra le operazioni e le ripercussioni sul paziente. e parto mal gestito. Ancora più complesso e più delicato il secondo caso all'attenzione dei giudici della Cassazione. In una struttura di Olbia, difatti, un semplice parto non rispetta l'evoluzione naturale il risultato è che la bambina appena nata manifesta danni neurologici a carattere permanente e totalmente invalidante. Il dramma porta i due genitori a citare la struttura sanitaria, ottenendo dal Tribunale un risarcimento superiore ai 2milioni di euro. Tutto chiuso? Assolutamente no. Perché in ballo c'è sempre il procedimento penale contro il medico, e, poi, perché la Corte d'Appello dichiara inammissibile l'azione proposta dai due genitori alla luce della norma relativa ai rapporti tra azione civile e azione penale e prescritta la domanda risarcitoria fatta valere per conto della figlia. La battaglia, allora, si sposta in Cassazione, con i giudici impegnati ad affrontare un tema complesso sia dal punto di vista giuridico che dal punto di vista umano. Casi complessi, decisioni articolate. Le valutazioni sulla vicenda del paziente operato a Milano, effettuate dal Palazzaccio, portano, in sostanza, a disconoscere la ricostruzione che attribuisce alla struttura sanitaria la responsabilità del peggioramento della vista subito dopo le due operazioni. Alla luce del decorso verificatosi, e della ricostruzione dei fatti, l'ipotesi più plausibile è che il calo a livello visivo sia dovuto alla malattia che aveva già obbligato il paziente a subire due operazioni . E a questo quadro danno ulteriore conforto anche le valutazioni compiute sulle indagini del consulente. Di fronte a tutto ciò, non si pone neanche il problema della ripartizione degli oneri probatori. Volendo sintetizzare, il panorama tracciato dalla Corte d'Appello è sufficientemente chiaro, praticamente a prova di bomba. Conseguenze? Ricorso rigettato, paziente senza risarcimento danni e condannato, peraltro, a pagare le spese di giudizio. Diversa la strada che viene percorsa per il secondo caso, quello della bambina nata con problemi neurologici irreparabili. La battaglia, in Cassazione, è assai ampia, con diversi fronti aperti. Tra quelli di rilievo, senza dubbio, la declaratoria di inammissibilità dell'azione proposta dai genitori. Su questo punto, ai genitori il Palazzaccio dà ragione, sempre tenendo presente la normativa relativa alla contemporanea presenza del giudizio civile e di quello penale. A questo proposito, i giudici richiamano giurisprudenza ad hoc, sottolineando che il trasferimento dell'azione civile in sede penale non è un vero e proprio fatto estintivo, ma piuttosto un fatto ostativo alla sua prosecuzione . E significativo è anche il tema del calcolo della prescrizione, non quindicinale, applicato, e contestato dai due genitori. Pure su questo fronte accolgono le critiche mosse alla sentenza pronunciata dalla Corte d'Appello, spiegando che siano fondati i rilievi formulati in ordine alla applicabilità al diritto risarcitorio azionato del termine di prescrizione decennale, previsto per il reato di lesioni colpose, in luogo di quello quindicinale, previsto per il reato di lesioni dolose, alternativamente e cumulativamente contestato nel corso dell'udienza preliminare . In sostanza, nel caso della bambina nata con problemi neurologici, la partita legale deve essere riaperta, con due nodi importantissimi da sciogliere quello dell'azione civile trasferita anche in sede penale e quello del calcolo della prescrizione applicabile. Alla Corte d'Appello di Cagliari toccherà il gravoso compito di ritornare su una vicenda assai delicata.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 16 giugno - 21 luglio 2011, n. 15995 Presidente Morelli - Relatore Amendola Svolgimento del processo I fatti di causa possono così ricostruirsi sulla base della sentenza impugnata. Con citazione notificata il 19 dicembre 2000, G. S. e N. C., in proprio e nella qualità di esercenti la potestà genitoriale su G. S., convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Tempio Pausania, sez. dist. di Olbia, la Gestione Liquidatoria della cessata USL n. 4, chiedendo di essere risarciti del danno neurologico a carattere permanente e totalmente invalidante subito dalla figlia G., a causa delle modalità con le quali i sanitari del reparto di ostetricia dell'Ospedale di Olbia l'avevano fatta nascere il 29 maggio 1990. Costituitasi in giudizio, la Gestione eccepì la prescrizione dei diritti azionati nonché, in ogni caso, la loro infondatezza nel merito. Con sentenza n. 168 del 2004 il giudice adito condannò la convenuta al pagamento, in favore degli attori, della complessiva somma di euro 2.070.764,86, oltre accessori e spese. Proposto dalla soccombente gravame, la Corte d'appello, in data 24 settembre 2008, ha dichiarato inammissibile l'azione proposta da G. S. e da N. C. in proprio, per intervenuta rinuncia agli atti del giudizio ex art. 75 cod. proc. pen. ha poi rigettato, perché prescritta, la domanda risarcitoria da essi fatta valere in nome e per conte di G. S Così ha motivato il giudicante il suo convincimento. L'atto introduttivo del giudizio civile era stato notificato alla Gestione Liquidatoria il 19 dicembre 2000. La medesima Gestione era peraltro stata citata quale responsabile civile nel processo penale intentato nei confronti del dott. Tucconi, con atto notificato l'11 gennaio 2001, a seguito di autorizzazione del GIP intervenuta in data 20 dicembre 2000. Pertanto, ai sensi dell'art. 75 cod. proc. pen. l'azione civile, trasferita, dopo la sua proposizione, in sede penale, doveva intendersi rinunciata. L'estinzione operava tuttavia relativamente alla sola azione proposta dai genitori della bambina in nome proprio, essendosi essi costituiti parte civile nel procedimento penale in tale veste, e non già anche in nome e per conto della minore. Era invece prescritto il credito risarcitorio da essi azionato nella qualità di. legali rappresentanti della figlia. E invero, nella richiesta di rinvio a giudizio, il PM aveva formulato nei confronti del dott. T. l'imputazione di lesioni colpose, ex art. 590 cod. pen., imputazione richiamata altresì dalle parti nella citazione del responsabile civile. Ora, ancorché nel corso dell'udienza preliminare il P.M. avesse modificato il capo di imputazione, contestando alternativamente anche il reato di cui agli artt. 582 e 583 cod. pen., tale ulteriore contestazione doveva ritenersi irrilevante ai fini del computo del termine di prescrizione, avendo la giurisprudenza di legittimità a più riprese ribadito che il relativo calcolo va effettuato avendo riguardo al reato contestato nel capo d'imputazione, dacché qualunque diminuzione della pena per effetto di determinazioni operate dal giudice nel corso del procedimento come l'applicazione di circostanze attenuanti ovvero il mutamento del titolo del reato - non importava, trattandosi di situazione non prevedibile dal danneggiato, l'estensione della più breve prescrizione del reato, come definitivamente ritenuto nella sentenza, ai diritti risarcitori confr. Cass. civ. 7 giugno 2006, n. 13272 . Era dunque errato l'assunto del Tribunale, che aveva preso a base della propria decisione il più lungo termine previsto dagli artt. 582 e 583 cod. pen., senza considerare il reato inizialmente contestato nel capo di imputazione e l' irrilevanza della modifica della contestazione intervenuta l'esercizio dell'azione civile nel processo penale. Di talché, non potendo applicarsi le condizioni previste dall'art. 2947, comma '.1. 3, cod. civ., in ragione della natura contrattuale della responsabilità fatta valere dagli appellati, il diritto al risarcimento del danno doveva ritenersi maturato al compimento del 10°anno di vita di G. S., e cioè il 29 maggio 2000. Infine non era condivisibile l'assunto secondo cui il termine di prescrizione dovesse farsi decorrere dal 1994, anno nel quale i genitori della bambina si sarebbero realmente resi conto delle condizioni della stessa. E invero dalla lettura della denuncia penale e dalle iniziative intraprese subito dopo la nascita della piccola G., puntualmente riportate in citazione, si evinceva che essi avevano immediatamente avuto piena cognizione dei danni patiti dalla figlia. Avverso detta pronuncia prepongono ricorso per cassazione G. S., N. C. e G. S., formulando quattro motivi. Resiste con controricorso la Gestione Liquidatoria della cessata U.S.L. n. 4 di Olbia. Entrambe le parti hanno depositato memoria. Motivi della decisione 1 Col primo motivo gli impugnanti denunciano violazione dell'art. 75 cod. proc. pen., sotto due profili, correttamente evidenziati nei relativi quesiti di diritto. Assumono, da un lato, che, ai fini dell'operatività della norma processuale testé richiamata, è essenziale la contestuale pendenza di due giudizi, uno penale e l'altro civile, di talché, in conformità a quanto a più riprese ribadito dalla giurisprudenza di legittimità confr. Cass. civ. 28 agosto 2007, n. 18193 l la preclusione allo svolgimento dell'azione civile non sussisterebbe più quando il danneggiato abbia ormai perduto ogni possibilità di soddisfazione in sede penale, essendo stato l'imputato assolto per non aver commesso il fatto, come accaduto nel caso de quo. Sotto altro concorrente aspetto, rilevano invece che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente assunto, come termine di riferimento per la verifica dell'intervenuto trasferimento dell'azione civile, in sede penale, non già la data di costituzione di parte civile, o di notifica della stessa all'imputato, ma quella di notifica al responsabile civile, laddove alla fattispecie, proprio in virtù dei principi enunciati dalla Suprema Corte, non sarebbe applicabile il disposto del secondo comma dell'art. 78 cod. proc. pen., a tenor del quale, se è presentata fuori udienza, la dichiarazione deve essere notificata, a cura della parte civile, alle altre parti e produce effetto per ciascuna di esse dal giorno nel quale è eseguita la notificazione. Secondo gli esponenti, in sostanza, l'art. 7 5 cod. proc. pen., ignorerebbe tout court il caso del danneggiato che, già costituito parte civile, prima della notifica della citazione, ritenga di estendere il contraddittorio nel giudizio penale al responsabile civile, notificandogli la costituzione di parte civile. 2.1 Ritiene il collegio che dei due profili in cui si articola la questione prospettata dagli impugnanti, il secondo abbia carattere logicamente preliminare, in quanto relativo al momento in cui il trasferimento dell'azione civile in sede penale può considerarsi compiuto, con quel che ne consegue in punto di priorità dell'una o dell'altra iniziativa processuale, agli effetti di cui al primo, ovvero al terzo comma dell'art. 7 5 cod. proc. pen Valga al riguardo ribadire che tale norma prevede che, l'azione civile, proposta davanti al giudice civile, può essere trasferita nel processo penale fine a quando in sede c l.Vl. e non sia s ata pronunciata sentenza di merito anche non passata in giudicato, e che l'esercizio di tale facoltà comporta rinuncia agli atti del giudizio primo comma che, tuttavia, se l'azione viene proposta in sede civile dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o dopo la sentenza penale dl' Processo civile è sospeso fino alla pronuncia della sentenza penale non più soggetta a impugnazione, salve le eccezioni previste dalla legge terzo comma . Tanto premesso e precisato, le critiche svolte in parte qua dai ricorrenti non sono fondate. E invero, l'assunto che lo spostamento si verifichi sempre e in ogni caso al momento della costituzione di parte civile non ha alcuna base normativa, ed è anzi contraddetto dal disposto del secondo comma dell'art. 78 cod. proc. pen., innanzi riportato. Né si comprende per quale ragione siffatta disposizione, come sostengono gli impugnati, non dovrebbe entrare nel sistema di regolazione dei rapporti tra azione civile davanti al giudice civile e azione civile spiegata nel processo penale. Non può del resto sfuggire che, se certamente è l'atto di costituzione quello che introduce la lite civile ne1 processo penale, secondo il chiaro dettato del comma dell'art. 76 cod. proc. pen., la disposizione di cui all' art. 78, comma cod. proc. pen. segna il momento delle costituzione del rapporto processuale con ciascuna delle parti coinvolte nelle pretese restitutorie e risarcitorie della parte civile, ponendole in grado di richiedere l'esclusione della stessa, ex artt. 80 e 81 cod. proc. pen., e di predisporre ogni altra eccezione, in piena coerenza con la natura essenzialmente privatistica del rapporto confr. Cass. 31 ottobre 1997, n. 10730 . 2.2 Se dunque n on vi è moti vo per ritenere incardinata l'azione nei confronti del responsabile civile prima che la vocatio in ius dello stesso abbia avuto luogo, deve convenirsi che la decisione della Corte d'appello di Cagliari basata sul dato di fatto inoppugnabile che il libello introduttivo del giudizio civile fu notificato il 19 dicembre 2000, mentre la citazione del responsabile civile intervenne 1'11 gennaio 2001 è, sul punto, giuridicamente inoppugnabile. 2.3 Sono in vece fondate le censure relative alla declaratoria di inammissibilità dell'azione proposta da S. e C. in proprio, in ragione del contesto processuale esistente nel momento in cui la declaratoria stessa è intervenuta. Come innanzi evidenziato a 1orma dell'art. 7 5, primo comma cod. proc. pen., l'azione pendente davanti al giudice civile può essere trasferita nel processo penale fino a quando in sede civile non sia stata pronunciata sentenza di r -lerito anche non passata in giudicato, con la precisazione che l'esercizio di tale facoltà comporta rinuncia agli atti del giudizio. Peraltro questa Corte, riportato il déplacement processuale di cui si discorre nell'ambito della litispendenza, si è pronunciata nel senso che il trasferimento dell'azione civile in sede penale non è un vero e proprio fatto estintivo, ma piuttosto un fatto ostativo alla sua prosecuzione, di talché la conseguente preclusione non può essere dichiarata ove, al momento della declaratoria, essa abbia già esaurito i suoi effetti, essendosi nel frattempo, il processo penale concluso senza una pronuncia sull'azione civile confr. Cass. civ. 8 settembre 1997, n. 8737 Cass. civ. 28 agosto 2007, n. 18193 Cass. civ. 8 gennaio 2001, n. 189. . Ora, proprio questa era la situazione processuale esistente nel momento in cui il proce15so ci vile è stato riattivato e si è quindi posto il problema dell'operatività o meno della rinuncia agli atti del giudizio di cui alla menzionata norma codicistica, posto che all'epoca il processo penale nei confronti del dott. T. si era già chiuso con sentenza di non luogo a procedere, ex art. 425 cod. pro c. pen. per non aver commesso il fatto, sentenza confermata dalla Corte d'appello di Cagliari e divenuta irrevocabile il 27 aprile 2002. Ne deriva che, entro gli esposti limiti -- e in adesione a una soluzione giurisprudenziale ispirata a comprensibili esigenze di economia processuale art. 111 Cost. e di valutazione secondo buona fede del comportamento delle parti nel processo - il primo motivo di ricorso deve essere accolto. 3 Con il secondo mezzo i ricorrenti lamentano violazione dell'art. 2947l primo comma, cod. civ. Sostengono che erroneamente il giudice di merito avrebbe fatto decorrere i. termine di prescrizione dalla data della nascita della piccola G. S., laddove, consolidata giurisprudenza del Supremo Collegio, tanto con riferimento alla responsabilità contrattuale, che a quella extracontrattuale, il termine comincia a decorrere dal momento in cui il danneggiato entra in possesso di tutti gli elementi che gli consentono di eccepire quale danno ha subito e da parte di chi. In realtà nella fattispecie termine doveva decorrere dal mese di dicembre del 1999 data del deposito, da parte del professore A., della relazione tecnica nella quale veniva definitivamente accertata l'entità delle lesioni subite dalla bambina e il loro rapporto eziologico con la condotta dei sanitari ovvero dall'anno 1994, nel corso del quale i coniugi S. ne avevano definitivamente compreso l'irreversibilità. 4 Le critiche non hanno pregio. Il giudice di merito non ha affatto disatteso il principio per cui la prescrizione del diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto delle patologie per fatto doloso o colposo di un terzo decorre, a norma degli artt. 2935 e 2917, primo comma, cod. civ., non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all'esterno, bensì da quello in cui tale malattia viene percepita o può essere percepita, usando l'ordinaria diligenza, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo Cass. civ., Sez. un., 11 gennaio 2008, n. 576 piuttosto, proprio in applicazione di tale criterio, ha affermato che la prescrizione non poteva, nella fattispecie, che decorrere dalla nascita della bambina, individuandone le ragioni nella gravità delle lesioni dalla stessa subite e nelle iniziative intraprese dai genitori vuoi per curarla vuoi per ottenere giustizia. Tale apparato motivazionale, corretto sul piano logico e giuridico, esente da aporie e da contrasti disarticolanti con il contesto fattuale di riferimento, resiste alle critiche formulate in ricrso le quali, deducendo in termini puramente assertivi violazioni di norme e vizi motivazionali, in realtà inesistenti, mirano a sollecitare una rivalutazione dei fatti e delle prove, preclusa in sede di legittimità. 5 Si prestano a essere esaminati congiuntamente, in quanto intrinsecamente connessi, i successivi due motivi di ricorso. 5.1 Con il terzo si deduce violazione degli artt. 2947, terzo comma, 1310, primo comma, e 2943, primo comma, cod. civ. Oggetto delle critiche è la ritenuta i sussistenza dei presupposti per l'operatività del termine quindicinale di prescrizione, ritenuto dal giudice di prime cure applicabile in ragione della natura dolosa del reato di lesioni gravissime contestato al dott. T, e, per i profili civili, alla Gestione Liquidatoria. La tesi della Certe d'appello, secondo cui dovrebbe invece aversi riguardo esclusivamente al termine previsto per il reato contestato nel capo di imputazione, non terrebbe conto del fatto che il termine rilevante è quello del reato commesso, non già del reato contestato per primo, reato la cui sussistenza il giudice di prime cure aveva accennato incidenter tantum. Del resto la pronuncia del Supremo Collegio n. 13272 del 2006, richiamata dalla Corte d'appello, aveva stabilito l'irrilevanza delle diminuzioni della pena conseguenti a determinazioni operate dal giudice nel corso del procedimento, così interpretando in senso ampliativo il disposto dell'art. 2947, terzo comma, cod. Aggiungono che, anche a volere ritenere decennale il termine di prescrizione, esso non era ancora decorso al momento della notifica della citazione, essendo stato interrotto sia con lettera del 14 febbraio 2000 indirizzata al Direttore Generale della ASL 2 di Olbia, sia con la lettera di messa in mora da questi inviata alla società assicuratrice e, per conoscenza, alla Regione Sardegna. 5. 2 Con il quarto mezzo i ricorrenti denunciano mancanza, insufficienza e contraddittorietà della motivazione, con riferimento all'affermata operatività del termine di prescrizione decennale, in relazione alla ritenuta irrilevanza dell'affidamento del danneggiato. 6 Va subito detto che quest'ultimo motivo è inammissibile per mancata enucleazione del momento di sintesi omologo del quesito di diritto , richiesto dal comb. disp. deqli artt. 360 e 366 bis cod. proc. civ., nel testo risultante dal d.lgs. n. 40 del 2006, qui applicabile, in ragione della data di pubblicazione della sentenza impugnata successiva al 2 marzo 2006 e antecedente al 4 luglio 2009 . In base a tali norme, invero, nel caso previsto dall'art. 360, primo comma, numero 5, l'illustrazione della censura va completata con la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume o essa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione. Cass., sez. un., 12 maggio 2008, n. 11652 . 7 Nella fattispecie il quarto motivo, con il quale si denunciano vizi motivazionali manca totalmente di siffatto momento di sintesi, volto a circoscrivere puntualmente i limiti delle allegate incongruenze argomentative, in maniera da non ingenerare incertezze sull'oggetto della doglianza e sulla valutazione demandata alla Corte confr. Cass. civ. o ottobre 2007, n. 20603 . 8 Inammissibili sono altresì le deduzioni volte a. prospettare l'intervenuta interruzione del termine di prescrizione. Esse introducono invero questioni non trattate nella sentenza impugnata e quindi nuove, di talché i ricorrenti avevano l'onere, rimasto affatto inadempiuto, non solo di allegarne l'avvenuta deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione,. di indicare in quale atto del giudizio precedente lo avevano fatto, onde dar modo alla Certe di controllare de visu la veridicità di tale asserzione confr. Cass. civ. sez lav. 28 luglio 2008, n. 20518 Cass. civ., 31 agosto 2007, n. 18440 9 Per il resto le censure sono invece fondate nei sensi che qui di seguito si vanno ad esplicitare. Occorre muovere dalla considerazione che l'art. 2947 cod. civ. a tenor del quale s2 il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica anche all'azione civile detta un criterio pacificamente applicabile non solo nell'ipotesi in cui l'azione penale sia stata promossa, ma anche, per consolidato diritto vivente, allorché il giudizio penale non sia affatto iniziato. Peraltro, mentre condizione ineludibile per poter fruire, in quest'ultima ipotesi, della più lunga prescrizione prevista per il reato, è che il giudice civile accerti incidenter tantum e con gli strumenti probatori e i criteri propri del procedimento civile, la ricorrenza di un'ipotesi criminosa, in tutti i suoi elementi costi tutivi, soggettivi ed oggettivi confr. Cass. c iv., 20 marzo 2009, n. 6891 Cass. civ. sez. Un. 18 novembre 2008, n. 27337 , di tale verifica può evidentemente farsi a meno allorché il giudizio penale abbia invece preso l'avvio. In casi siffatti l'indagine dell'operatore deve invece appuntarsi a sul reato al quale occorre avere riguardo, al fine di individuare il termine di prescrizione applicabile b ove il reato si sia estinto per causa diversa dalla prescrizione o sia intervenuta sentenza irrevocabile nel giudizio penale, sul comportamento tenuto dalla parte successivamente a tali eventi, considerato che, in casi siffatti, a norma dell'art. 2947, terzo comma, cod. civ., il diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito si prescrive i cinque anni - ovvero in due anni per quello prodotto dalla circolazione di veicoli decorrenti tuttavia non già dalla data del fatto, ma da. quella di estinzione del reato, ovvero dalla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile. È poi a dir poco ovvio che l'articolata disciplina codicistica testé riportata presuppone la natura extracontrattuale della tutela invocata, di talché alquanto criptico è il rilievo della Corte d'appello che, dopo avere ampiamente discettato sulla necessità di applicare alla fattispecie il termine di prescrizione decennale previsto per il reato di lesioni colpose art. 590 cod. pen. , di cui al capo di imputazione formulato nella richiesta di rinvio a giudizio, in luogo del termine quindicinale previsto per il reato di cui agli artt. 582 e 583 cod. pen. alternativamente contestato insieme al primo nel corso dell'udienza preliminare, ha incongruamente negato Ila ricorrenza delle condizioni per potere applicare l'art. 2947, comma 3, cod. civ., stante la natura contrattuale della responsabilità fatta valere dagli appellati. Quelle argomentazioni presupponevano infatti il carattere aquiliano della tutela azionata, peraltro pacificamente cumulabile con quella contrattuale, di talché la notazione di chiusura, completamente decontestualizzata, è al postutto priva di rilievo decisorio. È infine appena il caso di aggiungere, pur in difetto di specifiche deduzioni in senso contrarlo, che va qui ribadito il principio, ripetutamente affermato da questa Certe, secondo cui ai sensi dell'art. 2947 cod. civ., l'azione civile risarcitor1a, se vi è stata sentenza penale, si prescrivere nei termini indicati dai primi due commi delle stesso articolo, a prescindere dalla costituzione di parte civile del danneggiato Cass. civ. 11 luglio 2009, n. 16391 Cass. ClV. 14 magg1o 1998, n. 4867 . 7 Venendo al caso di specie, ritiene il collegio che siano fondati i rilievi critici formula i dai ricorrenti in ordine alla applicabilità al diritto risarcitorio azionato del termine di prescrizione decennale, previsto per il reato di lesioni colpose, in luogo di quello quindicinale, previsto per il reato di lesioni dolose, alternativamente e cumulativamente contestato, come testé ricordato , nel corso dell'udienza preliminare. Riesce invero difficile negare l'assoluta irragionevolezza del richiamo, in parte qua, al principio per cui, nell'ambito della previsione normativa di cui all'art. 2947 cod. civ., ai fini del computo della prescrizione applicabile al credito del danneggiato, del tutto irrilevanti sono le diminuzioni di pena conseguenti all'applicazione di circostanze attenuanti ovvero a eventuali mutamenti del titolo del reato contestato, trattandosi di situazioni non prevedibi1i del danneggiato Cass. civ., 7 giugno 2006, n. 13272 . Qui non si tratta, invero, di proteggere il danneggiato dall'imprevedibile contrazione dei termini di prescrizione conseguenti alle sorti del processo penale, ma di stabilire se il termine vada calcolato sulla base della pena applicabile in relazione alla imputazione contestata c on la richiesta di rinvio a giudizio, o piuttosto a quella contestata con la sua consentita modificazione confr. Cass. civ. 4 dicembre 1992, n. 12919 . E allora non si vede perché, entrata nel processo una figura criminosa più grave, il termine di prescrizione civile non debba a questa paramentrarsi. Del resto se la funzione dell ' art 2 9 47, comma 3 , prima parte, cod. civ. è quella di consentire, .a chi ha diritto al risarcimento dei danni, di attendere, per farlo valere, la definizione del giudizio penale, l'assunto secondo cui dovrebbe aversi riguardo esclusivamente all' imputazione formulata nella richiesta di rinvio a giudizio - e non ad altra, più grave, successivamente contestata, con la quale coincida in fatto l'illecito civile ben potrebbe determinare per l'avente diritto la necessità di dispiegare quantomeno un'attività giuridica di conservazione delle proprie ragioni, al pari della soluzione che imponesse di tener conto di diminuzioni di pena derivanti dalla eventuale applicazione di circostanze attenuanti o dalla modifica in melius del ti tolo del reato, che è invece esattamente l'eventualità che il legislatore ha inteso scongiurare. 8 Sotto altro, concorrente profilo, va poi osservato che, anche a volere aderire alla tesi dell'applicabilità del termine decennale di prescrizione previsto per il reato di lesioni colpose, il credito fatto valere dalla danneggiata non sarebbe, in alcun caso, prescritto posto che la sentenza di non doversi procedere ex art. 425 cod. proc. pen. a carico del T., emessa dal GUP in data 11 marzo 2001, è stata confermata dalla Corte d'appello con decisione passata in giudica o il 27 aprile 2002, di talché da quel momento, e solo da quel momento, in base alla previsione racchiusa nell'ultima parte del terzo comma dell'art. 2947 cod. civ., ha preso a decorrere il termini di cinque anni previsto nel primo comma della medesima disposizione. Da tutto quanto sin qui detto deriva che, accolto, per quanto di ragione, il primo e il terzo motivo di ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d'appello di Cagliari, in diversa composizione, che, nel decidere, si atterrà ai seguenti principi di diritto 1 il trasferimento dell' azione civile in sede penale non è un vero e proprio fatto estintivo, ma piuttosto un fatto ostativo alla sulla prosecuzione, di talché la conseguente preclusione non può essere dichiarata ove, dal momento della declaratoria essa abbia già esaurito i suoi effetti, essendosi nel frattempo, il processo penale concluso senza una pronuncia sull'azione civile 2 ai fini del calcolo del più lungo termine di. prescrizione di cui al terzo comma dell'art. 2947 cod. civ va fatto riferimento non alla pena applicabile al reato contestato con la richiesta di rinvio a giudizio, ma a quella applicabile al più grave reato contestato a seguito di successiva modificazione dell'imputazione. P.Q.M. La Corte accoglie, per quanto di ragione, il primo e il terzo motivo di ricorso rigetta il secondo dichiara inammissibile il quarto cassa in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione alla Corte d'appello di Cagliari in diversa composizione.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 16 giugno - 21 luglio 2011, numero 15994 Presidente Morelli - Relatore Amendola Svolgimento del processo I fatti di causa possono cosi ricostruirsi sulla base della sentenza impugnata. Il giorno 31 maggio 2000 M. V. venne ricoverato presso la Divisione oculistica della Fondazione Centro San Raffaele del Monte Tabor di seguito anche Fondazione San Raffaele , a causa del distacco della retina dell'occhio destro. Sottoposto il giorno successivo a intervento chirurgico in anestesia locale per riallocamento a mezzo di silicone tamponante della predetta retina, venne nuovamente ricoverato nel mese di settembre per l'asportazione, sempre in anestesia locale, dell'olio di silicone. Accusando dopo qualche tempo una notevole diminuzione del visus, presumibilmente cagionata da errate manovre intraoperatorie in occasione del secondo intervento, il V., con atto notificato il 26 ottobre 2001, convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Milano la Fondazione San Raffaele, chiedendo che, accertata la responsabilità del predetto istituto in ordine agli dell'intervento praticatogli il giorno 14 settembre 2000, la stessa venisse condannata a risarcirgli i danni. Costituitasi in giudizio, la convenuta contestò l'avversa pretesa. Con sentenza del 7 giugno 2005 il giudice adito la rigettò. Proposto dal soccombente gravame, la Corte d'appello in data 22 maggio 2008 lo ha respinto. Per la cassazione di detta pronuncia ricorre M. V., formulando quattro motivi, illustrati anche da memoria. Resiste con controricorso la Fondazione Centro San Raffaele del Monte Tabor. Motivi della decisione 1.1 Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell'articolo 2697 cod. civ. nonché vizi motivazionali, ex articolo 360, nnumero 3 e 5, cod. proc. civ. Le critiche hanno ad oggetto quella parte della sentenza impugnata in cui il 9iudice di merito ha disatteso, sulla base del parere dell'ausiliario, la ricostruzione dei fatti fornita dall'attore, il quale aveva indicato, quale inadempimento casualmente idoneo a determinare la diminuzione della funzione visiva, un'anestesia retrobulbare eseguita con forza eccessiva o con somministrazione di un esagerato quantitativo di farmaco, anestesia che avrebbe provocato un'ischemia dell'arteria centrale con lesione del nervo ottico e perdita della vista. Sostiene l'esponente che, ritenendo indimostrato il nesso causale tra evento dannoso e condotta del sanitario, necessario ai fini dell'affermazione della responsabilità della struttura, il giudice d'appello avrebbe fatto malgoverno degli enunciati del Supremo Collegio, e segnatamente delle affermazioni delle sezioni unite, secondo cui, al fini del riparto dell'onere probatorio, l'attore, paziente danneggiato, può limitarsi a provare il contratto o il contatto sociale e l'aggravamento della patologia o l'insorgenza di una affezione, contestualmente allegando l'inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, laddove spetta a questi dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante Cass. civ., Sez. Unite, 11/01/2008, numero 577 . Ha anche aggiunto che erano sfuggite al decidente le contraddizioni in cui era caduto il medesimo consulente, posto che l'esperto, in altra parte della relazione, aveva elencato le lesioni del nervo ottico tra le più conosciute, possibili complicazioni dell'anestesia retrobulbare, riferendo che, a seguito dell'intervento, il V. aveva subito accusato un calo visivo. Né aveva la Corte considerato che nella scheda anestesiologica del primo intervento non risultavano indicate le modalità dell'anestesia e che la diversità delle reazioni conseguite alla seconda, avrebbe, in ogni caso, dovuto indurre a ritenerla mal praticata in quell'occasione. 1.2 Con il secondo mezzo l' impugnante lamenta violazione degli artt. 112, 343 e 346 cod. proc. civ., 2909 cod. civ. nonché vizi motivazionali, ex articolo 360, nnumero 3e cod. proc. civ. Sostiene che la Corte d'appello avrebbe pronunciato ultra petita e inadeguatamente motivato laddove aveva affermato che il consulente tecnico e il giudice di prime cure avevano correttamente ritenuto di modesta entità la perdita della funzione visiva verificatasi dopo il secondo intervento, ladddove, avendo il tribunale opinato diversamente, il relativo accertamento,in mancanza di appello del San Raffaele, era passato in giudicato e non poteva più essere posto in discussione. In ogni caso valutazione del giudicante era sbagliata, sol considerare che, a partire dal settembre 2000, dopo che il V. era stato nuovamente operato, si era verificato un ulteriore, assai significativo calo della vista di ben quattro quinti. 2. I due motivi, che si prestano a essere esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione, sono infondati. Nel dare conto del suo convincimento, il decidente ha segnatamente evidenziato che, secondo l'esperto, un'ischemia dell'arteria centrale della retina dovuta all'anestesia era complicanza rara e imprevedibile che in ogni caso essa avrebbe comportato una brusca e rapida diminuzione della funzione visiva, con concomitante midriasi della pupilla omolaterale che, in definitiva, l'ipotesi formulata non era compatibile con il decorso che, in concreto, aveva avuto l'affezione che, conseguentemente, l'errore nella somministrazione dell'anestetico non era la spiegazione causale più verosimile e probabile dei danni lamentati dal paziente, e ciò tanto più che dall'esame della cartella clinica, compilata con adeguata precisione, in occasione della prima operazione, emergeva che i sanitari avevano applicato sempre le medesime procedure. In tale contesto la tesi che calo della vista accertato dopo la rimozione del silicone fosse imputabile alla malattia dalla quale l'attore era già in precedenza affetto e che lo aveva costretto a subire più interventi operatori, era maggiormente plausibile. 3. Tale percorso motivazionale resiste, a giudizio del collegio, alle critiche formulate dall'impugnante. Lo snodo cruciale del convincimento del decidente è l'assoluta ipoteticità della imputabilità a una pretesa, cattiva esecuzione dell'anestesia in occasione del secondo intervento, del calo visivo lamentato dal ricorrente. Ora, in tale prospettiva non ha, per la verità, troppo senso il richiamo alla ripartizione degli oneri probatori stabilita dalla giurisprudenza di legittimità in materia di colpa professionale medica, perché il giudizio di infondatezza della domanda attrice non è stato l'effetto della mancata prova dell'inadempimento della controparte, ma piuttosto il risultato della verifica di un'esecuzione a regola d'arte della prestazione dovuta e, conseguentemente, della sostanziale implausibilità dell'eziologia dei danni lamentati dall'attore. Del tutto irrilevante, ai fini della correttezza giuridica e della tenuta logica della decisione impugnata, è poi la qualificazione in termini di modesta entità della perdita della funzione visiva verificatasi dopo il secondo intervento, peraltro attribuita dalla Curia meneghina al consulente tecnico e allo stesso giudice di prime cure. Posto invero che non sono in discussione i valori in concreto rilevati, tutto si riduce alla maggiore pertinenza dell'una o dell'altra qualificazione giuridicamente neutra, ai fini che qui interessano. I due motivi devono pertanto essere respinti. 4 Con il terzo il ricorrente deduce violazione degli artt. 196 cod. proc. civ. 2909 cod. civ. nonché vizi motivazionali, ex articolo 360, nnumero 3 e 5, cod. proc. civ., con riferimento al diniego del giudice di merito di disporre la rinnovazione delle indagini, benché il c.t.u. officiato avesse redatto la propria relazione senza aver preso visione delle effettive caratteristiche dell'anestesia eseguita in occasione dell'intervento del mese di settembre 2000, non essendosi accorto della presenza della scheda anestesiologica. Secondo l'impugnante la clamorosa svista del consulente ne avrebbe, in ogni caso, dovuto consigliare la rimozione. Ha aggiunto che l'esperto neppure aveva considerato le quantità di anestetico effettivamente somministrate né che erano state praticate sia l'anestesia retrobulbare che quella peribulbare. 5.1 Le critiche sono infondate in relazione alla dedotta violazione dell'articolo 196 cod. proc. civ., posto che il giudice ha sì sempre la facoltà di disporre la rinnovazione della consulenza e per gravi motivi anche la sostituzione del ctu, ma tanto nell'ambito di valutazioni prudenziali incensurabili in sede di legittimità se congruamente motivate ex plurimis, Cass. civ., 3 aprile 2007, numero 8355 Cass. civ., 21 luglio 2004, numero 13593 . Ora, nel caso di specie, la Corte territoriale ha chiarito, in termini che non possono tacciarsi di implausibilità o di contraddittorietà, che la lacuna costituita dal non essersi l'ausiliario avveduto della esistenza della scheda anestesiologica poteva essere superata sulla base del rilievo che l'esperto aveva individuato specificamente tutti i tipi di anestetico utilizzabili e i relativi procedimenti, tra i quali anche quello in effetti praticato, di talché l'errore in cui era caduto non aveva avuto alcuna influenza sulle valutazioni espresse nella relazione. Trattasi di considerazioni persuasive, che resistono alle contestazioni svolte in ricorso, tanto più che l'impugnante, considerandole invece inappaganti, avrebbe dovuto, in ottemperanza al principio di autosufficienza, riportare le pertinenti parti della consulenza tecnica relative alla quantità di anestetico somministrata e al tipo di tecnica applicata, e porle poi a raffronto con il contenuto delle schede anestesiologiche, al fine di consentire l'apprezzamento della decisività delle denunziate lacune di indagine e del corrispondente vizio motivazionale. Non avendo ciò fatto, la doglianza si risolve nell'invito, inammissibile, ad una diversa ricostruzione dei fatti e ad una diversa valutazione delle prove confr. Cass. civ., 18 dicembre 2006, numero 27045 . 6. Con il quarto motivo il ricorrente deduce violazione degli artt. 345 e 201 cod. proc. civ., ex articolo 360, numero 3 cod. proc. civ., con riferimento alla mancata acquisizione della consulenza tecnica diparte, in quanto tardivamente prodotta. Sostiene che il giudice di merito avrebbe erroneamente applicato, in parte qua,gli artt. 545 e 201 cod. proc. civ., posto che le consulenze di parte costituiscono semplici allegazioni difensive a contenuto tecnico, che possono essere versate in atti in qualsiasi momento. 7 Le critiche non hanno alcun fondamento alla luce della natura, corretta ente evidenziata dal giudice a quo, di mero documento difensivo della consulenza di parte, più che mai soggetto, in quanto tale, alle regole che presidiano lo svolgimento del contraddittorio. In ogni caso la censura difetta, ancora una volta di autosufficienza, non essendo in alcun odo riportato il contenuto della relazione, incombente il cui espletamento era invece assolutamente necessario al fine del controllo della decisività dell'allegazione. Il ricorso deve in definitiva, essere integralmente rigettato. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi euro 2.200,00 di cui euro 2.000,00 per onorari , oltre IVA e CPA, come per legge.