La cessione d'azienda non libera la nuova società dai debiti fiscali pregressi

Vige una presunzione legale di cessione d'azienda quando negli stessi locali si svolge la stessa attività commerciale anche la nuova società risponde dei debiti fiscali precedenti.

Nel caso di cessazione d'azienda l'esattore può procedere al pignoramento dei beni mobili e delle merci la cessione si presume, ex lege, quando viene esercitata la stessa attività commerciale dei precedenti titolari, nei medesimi locali. È quanto stabilisce la Corte di Cassazione con la sentenza n. 12965 depositata il 14 giugno. Il caso. Una società si opponeva alla procedura esecutiva, iniziata con pignoramento dall'esattoria delle imposte dirette, causata da un debito d'imposta di altra impresa con la quale assumeva di non avere alcun rapporto. Il Tribunale di Mantova, ritenuta raggiunta la prova dell'estraneità del ricorrente con il soggetto debitore, escludeva la cessione d'azienda e accoglieva la domanda. La decisione veniva riformata in appello, dove trovava applicazione la presunzione legale di cessione d'azienda. La società proponeva, quindi, ricorso per cassazione. C'è una presunzione di cessione d'azienda. La Corte territoriale ha rilevato che nel caso di specie non era stata superata la presunzione di cessione d'azienda di cui all'art. 66, comma 4, DPR n. 602/73, in base al quale, appunto, la cessione si presume quando nei medesimi locali o in parte di essi viene esercitata attività commerciale dello stesso genere di quella esercitata da precedenti titolari . Peraltro, rileva il Collegio, la sentenza d'appello ha tenuto conto di altri elementi presuntivi che, in aggiunta a quello precedentemente individuato, deponevano per la cessione d'azienda, quali l'identità del socio nell'organico delle due società. Non è stata fornita prova dell'estraneità. L'onere della prova del superamento della presunzione incombe sulla società opponente che, invece, non è stata in grado di dimostrare la propria estraneità con l'azienda debitrice. La presunzione di legge, infatti, si limita a prevedere l'identità dell'attività svolta negli stessi locali e non pone alcun limite temporale alla occupazione dei locali a nulla vale la circostanza, dedotta dall'opponente, di averli presi in locazione tre mesi dopo la data di cessazione di attività della debitrice. Ugualmente la mera assenza di acquisti o cessioni dei beni appartenuti all'originario debitore di imposta, nei registri contabili, non costituisce circostanza idonea a ritenere provata l'assenza di cessione di azienda, presunta ex lege. Manca la prova che i beni pignorati non appartenevano al debitore. La S.C. respinge anche l'altro motivo di ricorso, relativo all'appartenenza dei beni pignorati da parte dell'esattoria e finalizzato a paralizzare il pignoramento in proposito, afferma che per dimostrare che i beni appartengono a persona diversa dal debitore si può fare ricorso unicamente all'esibizione di atti pubblici o scritture private autenticate in data anteriore all'anno in cui si riferisce il tributo la proprietà dei beni pignorati non può essere provata mediante testimoni come, invece, pretendeva la società ricorrente. Anche per questo verso, quindi, il ricorso appare inammissibile la sentenza impugnata appare, in conclusione, priva di contraddizioni o vizi di motivazione. Anche la società opponente, pertanto, deve rispondere dei debiti fiscali dell'azienda originaria.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 3 maggio - 14 giugno 2011, n. 12965 Presidente Trifone - Relatore Filadoro Svolgimento del processo Con ricorso ex art. 619 c.p.c. del 25 luglio 1989, la società chiedeva accertarsi la illegittimità della procedura esecutiva iniziata dalla esattoria delle imposte dirette di Suzzara - a seguito di pignoramento - con la condanna della esattoria alla restituzione della somma di lire 23.411.594 versata per evitare la prosecuzione della procedura esecutiva. La società opponente assumeva di non avere alcun rapporto con la unica debitrice di imposta, di e , essendo totalmente estranea al debito di imposte per cui si procedeva ILOR 1983 . Il Tribunale di Mantova con sentenza n. 175 del 1992, ritenuto che la opponente aveva fornito la prova della sua estraneità al soggetto - debitore escludeva che vi fosse stata una cessione di azienda con la ed accoglieva la opposizione, condannando la esattoria alla restituzione della somma già versata, pari ad euro 12.091, 08, compensando le spese di giudizio. La Banca spa proponeva appello chiedendo la riforma della sentenza impugnata. La sas e si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto del gravame. Con sentenza 29 ottobre - 13 novembre 2008 la Corte di appello di Brescia accoglieva l'appello proposto da Banca riscossione spa avverso la decisione del Tribunale di Mantova del 10 settembre - 19 aprile 2005, ed, in parziale riforma della sentenza, respingeva la opposizione proposta dalla sas di s.a.s. divenuta e s.a.s. e le domande consequenziali. I giudici di appello osservavano che la società appellata non aveva superato la presunzione di cessione di azienda di cui al comma 4 dell'art. 66 del DPR n. 602 del 1973, secondo il quale la cessione si presume quando nei medesimi locali o in parte di essi viene esercitata attività commerciale dello stesso genere di quella esercitata dai precedenti titolari . La Corte territoriale - sulla base dei documenti prodotti dalle parti - rilevava che l'onere della prova del superamento di cessione di azienda incombeva sulla opponente e che - pacifica la identità delle attività esercitate nei medesimi locali dalle due imprese - la prova, fornita in causa, dell'inizio della locazione degli stessi locali prima utilizzati dalla dal 2 febbraio 1985 cioè tre mesi dopo la data di cessazione della attività da parte del debitore non era sufficiente a vincere la presunzione di cui all'art. 66 citato, la quale prevede soltanto la identità della attività e l'esercizio nei medesimi locali, senza porre limiti temporali alla occupazione dei locali in cui prima era esercitata la attività del debitore esecutato. Tra l'altro, sottolineava la stessa Corte, vi erano ulteriori elementi presuntivi che deponevano per la cessione di azienda, considerata la identità del socio nelle due compagini sociali della presunta cedente e della presunta cessionaria, oltre alla circostanza che l'inizio della attività della presunta cessionaria aveva coinciso con il giorno successivo alla cessazione di attività della presunta cedente risultante dalle certificazioni rilasciate dalla Camera di Commercio, basata a sua volta su una dichiarazione resa dal titolare della ditta alla Pubblica amministrazione . In tale quadro probatorio, la mera assenza di acquisti o cessioni di beni appartenuti all'originario debitore di imposta, nei registri e nelle scritture contabili, non era - di per sé solo - sufficiente ad escludere la cessione di azienda, presunta ex lege. Considerato che il debito IL0R per cui la esattoria procedeva in via esecutiva si riferiva all'anno 1983 e che la cessione si era perfezionata il 6 novembre 1984 data di inizio della attività della ditta II sussisteva il diritto dell'esattore a procedere al pignoramento mobiliare per il recupero dell'imposta locale sui redditi dovuta per l'anno anteriore a quello in cui era avvenuta la cessione, ai sensi dell'art. 66, secondo comma, DPR 602 del 1973. Quanto al secondo motivo di appello, la Corte territoriale rilevava che la società appellata avrebbe dovuto dimostrare che i beni, oggetto di pignoramento, non appartenevano al debitore esecutato o meglio che tali beni non rientravano tra quelli che erano stati oggetto della cessione di azienda ma nessuna prova era stata dedotta dalla originaria opponente, la quale avrebbe dovuto dimostrare - in coerenza con la opposizione di terzo proposta ai sensi dell'art. 619 c.p.c. - che i beni staggiti erano stati da lui acquistati da soggetti diversi da . Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la e , s.a.s. con sette motivi, illustrati da memoria. Resiste la Banca con controricorso. Motivi della decisione Appare opportuno premettere che l'opposizione proposta avverso l'esecuzione esattoriale dal cessionario dell'azienda o dal concedente che sia subentrato all'affittuario nell'esercizio della medesima attività imprenditoriale - da considerarsi come cessionario dell'azienda e, come tale, solidalmente responsabile per il pagamento delle imposte sui redditi dovute dal precedente titolare - e qualificabile non già come opposizione di terzo, bensì come opposizione di coobbligato nel debito tributario, cfr. Cass. 2 maggio 1980 n. 2896 in relazione ad una imposta sul reddito, diversa dall'ILOR e 5 luglio 1979 n. 384 . Non si pone, pertanto, alcun problema di integrazione del contraddittorio nei confronti della originaria debitrice di imposta, ditta individuale di e che non ha preso parte al giudizio . Con il primo motivo la ricorrente denuncia illegittima applicazione dell'art. 360 n. 3 c.p.c La cessione era in ipotesi negata avvenuta nel 1985, pertanto le imposte recuperabili dal cessionario erano solo quelle relative agli anni 1984 e 1985, solo il 2 febbraio 1985, in ipotesi, vi era la prova che la nuova società avesse continuato la stessa attività nei medesimi locali. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la illegittima applicazione dell'art. 66 DPR 602 del 1973 sotto un diverso profilo. In particolare, si censura la affermazione della Corte secondo la quale sarebbe irrilevante il fatto che la attività fosse proseguita dopo tre mesi dalla cessazione della attività della prima società. I giudici di appello avevano ritenuto che tale disposizione non pone limiti temporali alla occupazione dei locali in cui prima era svolta l'attività del debitore esecutato. Tale affermazione - sottolinea la ricorrente - si pone in contrasto con la norma in esame, la quale invece stabilisce espressamente che la presunzione opera solo quando nei medesimi locali o in parte di essi venga esercitata una attività analoga a quella svolta in precedenza. Con il terzo motivo il ricorrente deduce difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia, sottolineando la contraddittorietà della motivazione, la quale aveva ritenuto che la cessione si fosse perfezionata in data 6 novembre 1984, pur riconoscendo che l'inizio della attività nei medesimi locali in realtà era iniziata solo nel febbraio 1985. I primi tre motivi, da esaminare congiuntamente In quanto connessi tra di loro, sono destituiti di ogni fondamento. La Banca , con l'atto di appello, ha osservato che nel caso di cessione di aziende, ai sensi dell'art. 65 dello stesso DPR. La Corte territoriale ha accolto l'appello della Banca sottolineando che l'appello si basava, in primo luogo, sul mancato superamento, da parte della appellata, della presunzione di cessione di azienda di cui al quarto comma dell'art. 66, ed, in secondo luogo - ma logicamente subordinato alla fondatezza del primo motivo - sul difetto della prova della estraneità dei beni pignorati alla azienda ceduta. I giudici di appello hanno esaminato la documentazione acquisita agli atti, evidenziando - che la nuova società, sas , era stata costituita in data 7 agosto 1984, con sede in Motteggiana - che la società risultava iscritta alla CCIA in data 8 ottobre 1984, con indicazione della stessa sede - che la nuova società aveva preso in locazione i locali già occupati dalla in Villa Saviolo - che la società aveva cessato la sua attività in data 5 novembre 1984 e che il giorno successivo la nuova società aveva proseguito la medesima attività - che già socio della società di fatto era socio della sas sin dalla data della sua costituzione. Sulla base di tali elementi, complessivamente considerati, i giudici di appello hanno rilevato che non era sufficiente a vincere la presunzione di cui all'art. 66 DPR 602 del 1973 la circostanza che solo a distanza di tre mesi dalla cessazione della attività da parte del debitore, la nuova società avesse formalmente iniziato la locazione degli smessi locali già utilizzati da infatti, la presunzione posta dalla norma ora richiamata prevede soltanto l'identità di attività e l'esercizio della stessa nei medesimi locali, senza porre alcun limite temporale alla occupazione dei locali in cui prima era esercitata la attività del debitore esecutato. Con motivazione che sfugge a qualsiasi censura, in quanto esente da vizi logici ed errori giuridici, la Corte territoriale ha osservato che il era onerato della prova di un fatto negativo, che poteva essere fornirà attraverso la dimostrazione di un fatto positivo incompatibile, o attraverso presunzioni dalle quali potesse desumersi il fatto negativo. La mera assenza di acquisti o cessioni dei beni appartenuti all'originario debitore di imposta, nei registri e nelle scritture contabili, non poteva costituire circostanza sufficiente a provare la assenza della cessione di azienda, presunta ex lege cfr. quanto esposto più avanti a proposito del quarto e quinto motivo di ricorso . Con il quarto motivo il ricorrente denuncia illegittimità per illogicità e contraddittorietà della motivazione, in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c La Corte territoriale aveva accolto anche il secondo motivo di appello secondo il quale la società avrebbe dovuto dimostrare che i beni oggetto di pignoramento non appartenevano al debitore esecutato, o meglio non rientravano nei beni oggetto della cessione di azienda. Non rispondeva a verità la circostanza, pure indicata nella sentenza impugnata, secondo la quale non era stata richiesta la prova che i beni oggetto di pignoramento non appartenessero al debitore esecutato. Dalle conclusioni della appellata, riportate in sentenza di appello, risultava chiaramente che era stata ribadita la richiesta di ammissione di prova per testi, intesa a dimostrare che la società non aveva mai acquistate alcun bene da . e ciò dalla data della sua costituzione fino al novembre 1988 data successiva al pignoramento che risaliva ad epoca precedente . Il quinto motivo di ricorso censura la sentenza della Corte bresciana sotto il diverso profilo della violazione dell'art. 66 DPR n. 602 del 1973. Anche nel caso in cui dovesse ritenersi non superata la presunzione di cessione di azienda tra e la attuale ricorrente, l'ente impositore avrebbe potuto soddisfarsi solo sui beni mobili e sulle merci che appartenevano alla cedente. La prova di tale appartenenza, secondo le regole generali, avrebbe dovuto essere fornita dall'esattore, tra l'altro, la oggi aveva dato la prova dell'acquisto effettuato da terzi, mediante la produzione di registri contabili e fiscali. Il motivo quarto e quinto possono essere esaminati congiuntamente, in quanto connessi tra di loro. Essi sono infondati. Il controricorrente, infatti, opportunamente ricorda che l'art. 65 dpr 602 del 1973 richiede, ai fini della opponibilità della appartenenza dei beni mobili di fronte ad esecuzione mobiliare della esattoria, stabilendo che l'esattore deve astenersi dal pignoramento quando sia dimostrato che i beni appartengono a persone diverse dal debitore, laddove tale dimostrazione può essere offerta soltanto mediante l'esibizione di atti pubblici o scritture private autenticate di data anteriore all'anno a cui si riferisce il tributo iscritto a ruolo ovvero di sentenze passate in giudicato, pronunciate su domande proposte anteriormente allo stesso anno . A tale proposito, la consolidata giurisprudenza di questa Corte Cass. n. 539 del 18 gennaio 2002 afferma che Nell'opposizione di terzo all'esecuzione esattoriale, il terzo opponente, ancorché l'esistenza del diritto sia resa verosimile dalla professione o dal commercio esercitati dal terzo o dal debitore, non può provare con testimoni la proprietà sui beni pignorati nella casa o nell'azienda dell'esecutato, giacché, ai sensi dell'24 aprile 1998 n. 4231, 6 marzo 2001 n. 3256 . La prova per testi articolata dalla s.a.s. pertanto, non era idonea - nel caso di specie - a provare la proprietà dei beni pignorati. Ad analoghe conclusione deve pervenirsi anche per quanto riguarda le scritture contabili, che non costituiscono quelle prove assistite da fede privilegiata, quali l'atto pubblico e la scrittura privata autenticata, di data anteriore all'anno cui si riferisce il tributo, previste dalla legge Cass, 20 ottobre 1989 n. 4227 . Né può darsi la prova, mediante testimoni, dell'anteriorità, rispetto al pignoramento, di un documento che dovrebbe comprovare l'acquisto da parte dell'opponente dei mobili pignorati del resto, la ebbe a costituirsi nell'anno successivo all'anno cui si riferisce il tributo iscritto a ruolo. Nessuna contraddizione, pertanto, è possibile ravvisare nella sentenza impugnata che ha identificato la data di inizio di attività con la data della cessione della azienda e ha ritenuto che le prove per testi articolate dalla appellata e la documentazione offerta non fossero idonee a dare la prova che i beni pignorati non appartenessero già a . Con il sesto motivo si deduce la violazione degli 66 DPR 602 del 1973. Il quesito di diritto posto con questo motivo è del seguente testuale tenore Dica la Suprema Corte se violi l'art. 2729 c.c. il giudice di merito che, ai fini di presumere una cessione aziendale, ritenga indizi gravi, previsi e concordanti quelli che si concretano nella parziale coincidenza della compagine delle due società e nell'inizio della attività della cessionaria il giorno successivo a quello di cessazione dell'attività della presunta cedente . La motivazione della sentenza impugnata, in ordine a tali elementi, costituisce oggetto anche dell'ultimo motivo, sotto il profilo del vizio di motivazione. Il sesto e settimo motivo possono essere esaminati congiuntamente, in quanto connessi tra di loro. Essi sono privi di fondamento. Si richiama il consolidato insegnamento di questa Corte, secondo il quale l'apprezzamento del giudice del merito in ordine alla ricorrenza dei requisiti della precisione, gravità e concordanza, richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, è insindacabile in sede di legittimità, qualora la motivazione adottata appaia, come nel caso di specie, logicamente coerente ed immune da errori di diritto. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese che liquida in euro 1.200,00 milleduecento/00 di cui euro 1.000,00 mille/00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.