L'assemblea può discplinare l'uso delle parti comuni

di Alessandro Gallucci

di Alessandro Gallucci * C'è differenza tra diritto del singolo all'uso delle parti comuni e modalità d'utilizzazione delle stesse? La risposta è affermativa non solo tale diseguaglianza concettuale è tale da incidere sulla competenza giurisdizionale nel caso di controversie che riguardino siffatte problematiche. E' questo, in sostanza, il cuore della pronuncia n. 8941 resa dalla Corte di Cassazione lo scorso 19 aprile. Che cosa s'intende per diritto d'uso delle cose comuni? Il codice civile, seppur non esplicitamente, afferma che i condomini sono proprietari delle cose comuni indicate dall'art. 1117 c.c. l'elencazione non è tassativa - è la giurisprudenza a dirlo ex multis, Cas. 17993/10 - ed a quelle indicate dalla legge vanno unite le parti che per la loro particolare funzione si pongono in un rapporto di accessorietà rispetto a più unità immobiliari. Il diritto di condominio, oltre a comportare l'obbligo di partecipazione alle spese per la conservazione e l'uso delle cose comuni, fa sì che tutti i comproprietari abbiano il diritto d'usarle nel modo che più gli si confà, purché ciò non limiti il pari diritto degli altri e non muti la destinazione del bene. Tanto si desume dal contenuto del primo comma dell'art. 1102 c.c., dettato in materia di comunione ma applicabile anche al condominio negli edifici in virtù di quanto stabilito dall'art. 1139 c.c. tra le tante Cas. 7044/04 . Diritto d'uso che, sempre in base a quanto ha precisato la giurisprudenza cfr. Cas. 12873/05 , non deve essere inteso come uso identico e contemporaneo ma come uso potenziale e differente a secondo delle personali esigenze d'ognuno. Per esemplificare, ricollegandosi tra l'altro all'oggetto della sentenza in esame, il cortile, in assenza di specifiche destinazioni d'uso, può essere usato tanto come parcheggio tanto per tutto ciò che possa tornar utile a ciascuno. Ciò purché ogni uso non renda di per sé impossibile agli altri di fare quanto vorrebbero. Le limitazioni a tale diritto possono essere stabilite solamente con il consenso di tutti gli interessati es. regolamento contrattuale o con le maggioranze previste per le innovazioni, purché queste ultime non siano vietate e sempre che si tratti di limitazioni che rappresentino naturali conseguenze del mutamento della destinazione d'uso. In caso contrario le clausole regolamentari e/o le deliberazioni dovrebbero considerarsi radicalmente nulle. L'assemblea può disciplinare le modalità d'uso delle cose comuni. Ciò che appare chiaro, quindi, è che tutti i condomini hanno diritto di usare le cose comuni. Per evitare che l'uso d'ognuno possa generare attriti e sostanziale inutilizzabilità da parte di altri, l'assemblea può disciplinare l'utilizzazione delle parti condominiali. Disciplinare significa rendere effettivo il diritto all'utilizzazione ma non limitare le possibilità d'uso o escluderle. Un parcheggio insufficiente per contenere tutte le auto dei condomini può essere sottoposto ad un utilizzo turnario o ancora, per il parco giochi comune può essere stabilito un orario di utilizzo per evitare schiamazzi nelle ore di riposo. In nessuno di questi casi, però, si può escludere ciascun condomino dall'uso delle cose comuni o vietare un particolare uso, salvo il caso della sua totale incompatibilità con la parte di cui si disciplina l'utilizzazione. In questi casi, qualora dovessero sorgere controversie, è chiaro sul punto il codice di rito art. 7 c.p.c. , la competenza a decidere della causa è devoluta esclusivamente al Giudice di Pace. La fattispecie. In teoria sembra facile distinguere tra diritto e modalità d'uso delle cose comuni ma nella pratica non è così. Questo almeno sembra potersi dire leggendo la sentenza n. 8941 del 19 aprile 2011, posto che i ricorrenti proponevano regolamento necessario di competenza dopo che il Tribunale di Roma aveva dichiarato la propria incompetenza, in favore di quella del Giudice di Pace, poiché a suo dire la controversia verteva sulle modalità d'uso delle cose comuni e non sul diritto d'uso di tali beni. Secondo i ricorrenti, invece, l'ufficio giudiziario capitolino aveva errato nell'escludere la propria competenza a loro modo di vedere, infatti, la causa riguardava il diritto d'uso delle cose comuni avendo gli stessi chiesto che venisse fatta valere una clausola del regolamento condominiale che vietava l'uso del cortile per il parcheggio delle autovetture che in quanto tale negava un particolare diritto d'uso e quindi la competenza era del Tribunale. La Cassazione ha accolto questa tesi. In tal senso si legge in sentenza che il Tribunale di Roma ha errato nell'affermare la competenza del Giudice di Pace di Roma, rilevando che la controversia non avesse come oggetto il diritto di comproprietà o il diritto di esercitarne in generale le relative facoltà, ma soltanto il limite qualitativo o quantitativo a seconda della contestazione sollevata della particolare facoltà di utilizzare in tal guisa il bene comune. Le attrici, invece, hanno richiesto dichiararsi illegittimo l'uso a parcheggio del cortile, contestando così in radice il diritto ad un determinato uso della cosa comune. Non si tratta, quindi, di decidere in merito alla modalità d'uso dei beni comuni, ma di valutare o meno se uno specifico uso sia o meno consentito. Di qui la competenza del tribunale adito Cass. 11861/05, 6642/00 . * Avvocato

Cassazione Civile, sez. II Civile, sentenza 3 dicembre 2010 - 19 aprile 2011 n. 8941 Presidente Settimj - Relatore Parziale Fatto e diritto 1. - Le odierne ricorrenti propongono regolamento necessario di competenza nei confronti della sentenza n. 23075 del 2008 del giudice unico del Tribunale di Roma, depositata il 21 novembre 2008 e comunicata il 1 aprile 2009, che ha dichiarato la propria incompetenza per materia a trattare della domanda da loro proposta, ritenendo competente invece il Giudice di Pace di Roma ai sensi dell'art. 7 c.p.c. Le odierne ricorrenti adivano il Tribunale di Roma, convenendo in giudizio il condominio dello stabile del quale sono condomine, chiedendo che fosse accertato il divieto stabilito dal regolamento condominiale di parcheggio dei veicoli nel cortile comune, condannare il condominio di via a liberare il cortile comune da tutte le automobili che lo occupano abusivamente, restituendolo agli usi le funzioni originariamente consentiti nonchè al risarcimento dei danni per il grave pregiudizio causato dall'occupazione abusiva . Il giudice unico del Tribunale di Roma rilevava che la res litigiosa verteva in sintesi sulle modalità di utilizzo del cortile condominiale che alcuni condomini del plesso condominiale convenuto impiegano per il posteggio di autovetture, modalità che parte attrice ritiene illegittima perchè contrastante con pertinenti precetti del regolamento di condominio e tale da impedire concorrenti analoghe facoltà d'uso da parte degli altri componenti la collettività condominiale, oltre che illecita perchè fonte di nocumento per la sua salute. Poichè, pertanto, oggetto della controversia non è già l'esistenza del diritto di ciascun condomino su tale spazio comune quanto, piuttosto, i limiti di suo impiego sotto l'aspetto sia qualitativo che quantitativo, la relativa cognizione deve ritenersi spettare al Giudice di Pace, ai sensi dell'art. 7 c.p.c. . 2. Le odierne ricorrenti articolano due motivi di ricorso, formulando anche i relativi quesiti di diritto. Col primo deducono violazione e falsa applicazione dell'art. 7, comma 3, n. 2, nonchè degli artt. 9 e segg. c.p.c., osservando che le controversie relative alla sussistenza o meno del diritto del condomino ad un determinato uso della cosa comune sono di pertinenza del Tribunale ordinario , e che il thema decidendum non riguardava la modalità di uso dei servizi comuni ma più precisamente il diritto dei condomini, in presenta di un espresso divieto contenuto nel regolamento condominiale, al parcheggio di spazi condominiali con conseguente necessità di tutela ex art. 1102 c.c. . L'oggetto dell'odierno giudizio era costituito dalla sussistenza del diritto in capo ai condomini di parcheggiare gli autoveicoli nel cortile comune, che risultava inesistente proprio in base al tenore letterale dell'art. 13, punto b del regolamento di condominio . L'oggetto della domanda era quindi la negazione in radice del diritto. Col secondo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell'art. 7 c.p.c., comma 3, numero 2 dell'art. 9 e segg. c.p.c., in relazione agli articoli 1102 e 1118 del codice civile, nonchè all'art. 832 segg. c.c La domanda era rivolta non solo ad accertare l'esistenza del diritto dei condomini a lasciare in sosta le autovetture nel cortile condominiale, ma anche ad assicurare alle ricorrenti il diritto al pari uso della cosa Comune loro garantito dall'art. 1102 c.c., oltre che a tutelare la loro proprietà esclusiva lesa dal comportamento inadempiente dei condomini. Infine le ricorrenti avevano anche lamentato una limitazione inammissibile al loro diritto di proprietà esclusiva, nonchè la violazione del diritto alla salute e del diritto alla sicurezza. Il condominio ha depositato una memoria difensiva con la quale chiede il rigetto del ricorso. 3. - Attivata la procedura ex art. 375 c.p.c., il consigliere relatore delegato ha depositato relazione con la quale ritiene che il ricorso debba essere rigettato. La relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti. Parte resistente ha depositato memoria. 4. - Ritiene il Collegio, diversamente dall'opinione espressa dal relatore designato, che il ricorso debba essere accolto. Il Tribunale di Roma ha errato nell'affermare la competenza del Giudice di Pace di Roma, rilevando che la controversia non avesse come oggetto il diritto di comproprietà o il diritto di esercitarne in generale le relative facoltà, ma soltanto il limite qualitativo o quantitativo a seconda della contestazione sollevata della particolare facoltà di utilizzare in tal guisa il bene comune. Le attrici, invece, hanno richiesto dichiararsi illegittimo l'uso a parcheggio del cortile, contestando così in radice il diritto ad un determinato uso della cosa comune. Non si tratta, quindi, di decidere in merito alla modalità d'uso dei beni comuni, ma di valutare o meno se uno specifico uso sia o meno consentito. Di qui la competenza del tribunale adito cass. 11861/05, 6642/00 . 5. - Le spese al merito. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, dichiara la competenza del Tribunale di Roma con termini di legge per la riassunzione. Spese al merito.