Curatore con poteri limitati: impossibile recupero della caparra versata dall'acquirente insolvente

di Ivan Meo

di Ivan Meo * Il fatto. I ricorrenti avevano citato in giudizio il promittente acquirente contestandogli l'inadempimento degli obblighi nascenti dal contratto preliminare di vendita non essendo stato in grado di corrispondere il residuo prezzo pattuito. Il Tribunale doveva accertare la legittimità del recesso dal preliminare, di riscuotere la caparra confirmatoria ricevuta, ed infine, di condannare il convenuto a restituire l'immobile. Il compratore, però, si costituiva in giudizio chiedendo la condanna dei venditori per inadempimento e la conseguente restituzione del doppio della caparra. Quest'ultimo, però, è poi stato dichiarato fallito e il giudizio è passato nelle mani del curatore il quale ha dichiarato di voler sciogliere dal preliminare avvalendosi dei poteri conferiti dall'articolo 72 della legge fallimentare. Il Tribunale ha accolto la domanda principale dichiarando legittimo il recesso e consentendo ai venditori di incamerare la caparra. In secondo grado però la Corte, ritenuta legittima l'istanza del curatore, ha dichiarato lo scioglimento del preliminare condannando i proprietari alla restituzione della caparra ricevuta, secondo il seguente principio il curatore può sciogliere il contratto preliminare di vendita stipulato dal fallito, e non ancora eseguito, fino a che non sia passata in giudicato la sentenza di trasferimento coattivo. I promittenti venditori decidono di ricorrere in Cassazione basando il ricorso sul seguente assunto il potere che la legge attribuisce al curatore trova un limite nei confronti di tutte le situazioni già stabilizzate. Tra queste situazioni rientrerebbe l'intervenuto recesso prima del fallimento, con la conseguenza che il curatore, in tal situazione, non avrebbe più il diritto di sciogliere un contratto, già di per sé già estinto. I limiti del curatore fallimentare. Nel caso di specie, le parti avevano sottoscritto un contratto preliminare di compravendita con effetti anticipati, ove all'obbligazione tipica di prestare il consenso alla conclusione del contratto definitivo, si affianca una delle pattuizioni speciali che anticipa uno degli effetti del contratto definitivo il promissario acquirente paga in anticipo una parte del prezzo della vendita c.d. caparra . La scelta del curatore fallimentare, in ordine allo scioglimento del contratto preliminare incontra, precisi limiti derivanti sia dalla situazione negoziale prodottasi e sia dall'iter processuale avviato. Sotto l'aspetto giurisprudenziale la questione attinente gli effetti dell'applicabilità dell'art. 72 l. fall. ai preliminari di vendita, è stata oggetto in passato di divergenti pronunce giurisprudenziali, soprattutto con riferimento al preliminare di vendita ad effetti anticipati. Restava da chiarire, infatti, se potesse ritenersi verificata la condizione posta dall'art. 72, quarto comma, l. fall. e cioè l'effetto traslativo della vendita e di conseguenza se fosse preclusa la facoltà del curatore di sciogliersi dal contratto. La più recente giurisprudenza, ammette che il curatore conservi la facoltà di sciogliere il contratto sino a quando non si sia verificato con il definitivo l'effetto traslativo del bene o la sentenza ex art. 2932 c.c. sia passata in giudicato Cass. 25 febbraio 2003, n. 2824 . Secondo l'orientamento giurisprudenziale prevalente, la dichiarazione di scioglimento assume valore sostanziale, assoluto e definitivo, operando con effetto retroattivo, con efficacia non solamente endofallimentare, ma con effetti che permangono anche qualora il fallito sia ritornato in bonis, Cfr., in tal senso, Cass., sez. un., 14 aprile 1999 n. 239 Cass. 27 giugno 1990 n. 6560 Cass. 11 novembre 1986 n. 6588 . Dalla lettura della sentenza in commento possiamo trarre i seguenti principi generali, in buona parte già consolidati da precedente giurisprudenza. Facoltà del curatore fallimentare di sciogliersi dal contratto preliminare di compravendita, stipulato dal fallito e non ancora eseguito. Tale facoltà ha un limite temporale perché essere esercitata fino alla formazione del giudicato sulla sentenza costitutiva ai sensi dell'art. 2932 c.c. Tale facoltà, a ben vedere, può essere già ricavata interpretando, non solo il previgente testo dell'art. 72, l. fall., ma anche, primo e terzo comma dello stesso articolo, novellato dall'art. 57 D.Lgs. n. 5/2006. Il principio in esame è stato affermato dalla Cass. n. 4747 del 13 maggio 1999, che si pone nel solco di altre pronunce Cass. 16 maggio 1997, n. 4358 Cass. 12 maggio 1997, n. 4105 Corte appello Firenze sez. I 18 novembre 2009 Il fallimento di una delle parti contrattuali non è causa di risoluzione del contratto. Ciò perché l'inadempimento connesso con lo stato di insolvenza non legittima il contraente in bonis a risolvere il contratto. Di conseguenza l'inadempimento connesso allo stato di insolvenza dell'acquirente non legittima la richiesta del risarcimento del danno Gli effetti della dichiarazione di fallimento del compratore. La dichiarazione non pregiudica il diritto del venditore di continuare l'azione di risoluzione proposta prima del fallimento con effetti anche restitutori, perché in tal caso il contraente adempiente ha già acquistato il diritto alla risoluzione del contratto prima della sentenza di fallimento, mediante la proposizione della domanda giudiziale in data anteriore Il recesso è un atto recettizio. Gli effetti risolutivi si producono in maniera automatica nel momento in cui giunge a conoscenza del destinatario Effetto retroattivo della sentenza. La sentenza, che accerta l'avvenuto recesso dal preliminare del promittente venditore, per inadempimento del futuro compratore, assume un effetto retroattivo al momento della domanda, pertanto il curatore non ha la facoltà di sciogliersi dal contratto per recuperare la caparra versata dal fallito. La Cassazione, quindi, con questa recente sentenza, accoglie il ricorso presentato dai venditore in quanto la dichiarazione di fallimento dell'acquirente non risolve la compravendita già avviata precedentemente il potere di scioglimento attribuito al curatore, trova un limite nella situazione già venutasi a consolidare ovvero quella della promessa di acquisto dell'immobile, da cui consegue il mancato recupero della caparra versata precedentemente, quindi se la domanda con la quale il venditore recede dal contratto è promossa prima del fallimento, il curatore non può sciogliersi dalle conseguenze contrattuali. * Consulente giuridico

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 15 febbraio 2011, n. 3728 Ritenuto in fatto 1. - Con atto di citazione notificato il 31 gennaio 1996, D.M.V., C. e O., V.G., A.G., R.F. e G D. hanno convenuto in giudizio A.S. e - lamentando l'inadempimento del convenuto agli obblighi nascenti dal preliminare di compravendita stipulato tra le parti in data 14 luglio 1994, non essendo stato costui in grado di corrispondere, in veste di promissario acquirente, il residuo prezzo pattuito - hanno chiesto che venissero accertati la legittimità del recesso dal preliminare, comunicato il 28 ottobre 1995, ed il loro diritto di incamerare la caparra confirmatoria ricevuta, con condanna del promissario acquirente alla restituzione dell'immobile oggetto del compromesso. Si è costituito il convenuto, resistendo e, in via riconvenzionale, chiedendo che il Tribunale pronunciasse, a suo favore, sentenza di trasferimento dell'area promessa in vendita, ex art. 2932 cod. civ., o, in subordine, dichiarasse risolto il preliminare, per inadempimento dei promittenti venditori, condannandoli alla restituzione del doppio della caparra ricevuta. Sopravvenuto - con sentenza del 12 giugno 1997 - il fallimento del convenuto, si è costituita la curatela, che ha dichiarato di volersi sciogliere dal preliminare, ex art. 72 legge fall. 2. - Il Tribunale di Catania, con sentenza in data 30 settembre 1999, ha accolto la domanda principale e dichiarato legittimo il recesso dei promittenti venditori, con conseguente risoluzione del contratto preliminare per l'inadempimento del convenuto, ha accertato il diritto degli attori recedenti di incamerare la caparra confirmatoria pari a lire 150.000.000, ha condannato la curatela alla restituzione dell'immobile oggetto del preliminare ed ha emesso le pronunce conseguenti. 3. - La Corte d'appello di Catania, con sentenza depositata il 13 maggio 2005, ha accolto il gravame della curatela, dichiarando lo scioglimento del preliminare ai sensi dell'art. 72 legge fall., condannando gli appellati alla restituzione della caparra confirmatoria e compensando le spese processuali. La Corte territoriale ha fatto applicazione del principio secondo cui la facoltà del curatore fallimentare di sciogliersi dal contratto preliminare di vendita stipulato dal fallito e non ancora eseguito, ai sensi dell'art. 72 legge fall., può essere esercitata, anche a mezzo del procuratore costituito, fino a che non sia passata in giudicato la sentenza di trasferimento coattivo. 4. - Per la cassazione della sentenza della Corte d'appello hanno proposto ricorso D.M.V., C. e O., G.V., G.A., R.F. e D.G., sulla base di un motivo. Ha resistito, con controricorso, la curatela del fallimento, che ha proposto ricorso incidentale, affidato ad un motivo. In prossimità dell'udienza entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative. Considerato in diritto 1. - Preliminarmente, il ricorso principale ed il ricorso incidentale devono essere riuniti, ai sensi dell'art. 335 cod. proc. civ., per essere entrambe le impugnazioni riferite alla stessa sentenza. 2. - Con l'unico mezzo, i ricorrenti in via principale denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 72 legge fall., 1373, 1385, 1453 e ss. e 1458 cod. civ., nonché motivazione insufficiente e contraddittoria su di un punto decisivo della controversia. Essi - nel contestare che l'unico limite al potere del curatore di sciogliersi dal contratto preliminare sia stato individuato nella sentenza ex art. 2932 cod. civ., passata in giudicato, anteriore al fallimento - sostengono che il potere attribuito al curatore dovrebbe trovare un ostacolo in tutte le situazioni suscettibili di essere considerate come oramai consolidate alla stregua dell'ordinamento giuridico, tra cui l'intervenuto recesso prima della dichiarazione di fallimento. Il recesso - sottolineano i ricorrenti - è infatti una dichiarazione di natura sostanziale che produce il proprio effetto immediato al di fuori del giudizio, a meno che dall'eventuale opponente non se ne alleghi e dimostri la illegittimità. Avendo i promittenti esercitato il recesso prima del fallimento, al momento della dichiarazione di questo il curatore non avrebbe mai potuto acquistare il potere di sciogliersi da un rapporto contrattuale che si era già estinto con l'effetto della perdita definitiva della caparra versata. 2.1. - Il motivo è fondato, per le ragioni di seguito precisate. Il principio alla base della decisione della Corte territoriale - secondo cui la facoltà del curatore di sciogliersi dal contratto preliminare di vendita stipulato dal fallito e non ancora eseguito, ai sensi dell'art. 72 legge fall., può essere esercitata fino all'avvenuto trasferimento del bene, ossia fino all'esecuzione del preliminare attraverso la stipula di quello definitivo ovvero fino al passaggio in giudicato della sentenza costitutiva ex art. 2932 cod. civ. - è in sé esatto Cass., Sez. I, 13 gennaio 2006, n. 542 Cass., Sez. I, 7 gennaio 2008, n. 33 , ma non si attaglia al caso in esame. La questione da risolvere nella fattispecie è se - proposta, da parte del promittente venditore accipiens, domanda tendente a vedere dichiarati la legittimità del recesso ex art. 1385, secondo comma, cod. civ. e il diritto all'incameramento della ricevuta caparra confirmatoria - la sopravvenuta, in corso di causa, dichiarazione di fallimento del promissario acquirente consenta al curatore di esercitare la facoltà di sciogliersi dal contratto, a norma dell'art. 72, secondo comma, legge fall., con effetto inibente l'accertamento giudiziale della già intervenuta caducazione del negozio a seguito della reazione all'inadempimento, imputabile e di non scarsa importanza, del promissario tradens. Al quesito deve darsi risposta negativa. 2.2. - Occorre premettere, in punto di fatto che la dichiarazione dei promittenti venditori di reagire all'inadempimento del promissario acquirente con la dichiarazione di recesso e di incameramento della caparra confirmatoria è del 28 ottobre 1995 che la controversia per sentir dichiarare la legittimità del recesso esercitato è stata promossa con atto di citazione del 31 gennaio 1996 che la dichiarazione di fallimento a carico del promissario acquirente è sopravvenuta in corso di causa, il 12 giugno 1997. Il recesso, dunque, ha data certa anteriore al fallimento, come risulta per tabulas dal fatto che la domanda giudiziale di accertamento della sua legittimità è stata proposta nei confronti del S. ancora in boni s, essendo questi fallito solo in seguito, circa un anno e mezzo dopo l'introduzione della lite. Sempre in via preliminare, va osservato che il contratto preliminare è stato stipulato anteriormente alla introduzione - ad opera dell'art. 3 del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669, convertito in legge 28 febbraio 1997, n. 30 - dell'art. 2645 bis cod. civ., e quindi in un periodo nel quale esso non [era] compreso fra gli atti da trascrivere secondo l'elencazione tassativa del'art. 2643 cod. civ. Cass., Sez. I, 13 maggio 1982, n. 3001 , onde, ai fini dell'opponibilità ai terzi della domanda giudiziale di accertamento dell'intervenuto scioglimento del contratto preliminare, il conflitto tra contraente non fallito e amministrazione fallimentare non richiede di essere risolto alla luce delle disposizioni degli artt. 2915, secondo comma, e 2652, numero 1, cod. civ. e 45 legge fall., non potendo la pretesa del fallimento - che non ha ad oggetto diritti reali su cose immobili - essere fatta valere in via espropriativa. Infine, alla presente vicenda è applicabile, ratione temporis, il testo originario dell'art. 72 legge fall., prima della novellazione recata dall'art. 57 del d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5. 2.3. - In generale, il fallimento di una delle parti contrattuali non è causa di risoluzione del contratto, nel senso che l'inadempimento connesso con lo stato di insolvenza non legittima il contraente in bonis alla risoluzione del contratto ed al risarcimento del danno ex art. 1453 cod. civ., e ciò per la convergenza di una pluralità di ragioni sia per l'impossibilità di equiparare il fallimento all'inadempimento sia per la destinazione del patrimonio del fallito al soddisfacimento paritario di tutti i creditori e la cristallizzazione delle loro posizioni giuridiche, con la conseguenza che la pronuncia di risoluzione non può produrre gli effetti restitutori e risarcitori suoi propri, che sarebbero lesivi della par condicio sia, infine, per l'incompatibilità del meccanismo risolutivo di diritto comune con la regolamentazione dei rapporti pendenti, che rimette alla legge e alle scelte del curatore la sorte di essi. Per le stesse ragioni, intervenuto il fallimento del contraente inadempiente, l'altro contraente non può più proporre l'azione di risoluzione contro la curatela, con effetti nei confronti della massa, neppure ove si faccia valere un pregresso inadempimento del fallito. Il principio è ben saldo nella giurisprudenza di questa Corte. Il fallimento - afferma Cass., Sez. I, 9 dicembre 1982, n. 6713 - produce, con l'indisponibilità dei beni del fallito, la par condicio creditorum, con cristallizzazione delle situazioni giuridiche di questi ultimi i quali pertanto, se di fronte al già verificatosi inadempimento del debitore, non si siano avvalsi del diritto potestativo di chiedere la risoluzione del rapporto, non possono esercitarlo dopo la dichiarazione di fallimento con l'effetto di modificare, a proprio favore e verso la massa, la posizione di cui sono titolari . La stessa ratio ostativa della proponibilità della domanda di risoluzione contrattuale contro il fallimento dell'inadempiente, impedisce che dopo la dichiarazione di fallimento di quest'ultimo possa il contraente in bonis fare accertare, con riferimento ad un inadempimento anteriore, [il pregresso] avveramento di una condizione risolutiva, se non abbia proposto prima del fallimento la relativa domanda . Il sopravvenuto fallimento del promissario acquirente - ribadisce Cass., Sez. II, 24 maggio 2005, n. 10927 - oltre ad escludere, stante l'indisponibilità dei beni acquisiti al fallimento ed a tutela dei principi che regolano la ripartizione dell'attivo, la facoltà di chiedere la risoluzione del contratto ancorché con riguardo a pregresso inadempimento del compratore, non consente neppure di configurare l'inadempimento del curatore, atteso che l'art. 72 legge fall., prevede la sospensione dell'esecuzione del contratto fino a quando quest'ultimo non dichiari di subentrare in luogo del fallito ovvero di sciogliersi dal contratto, alla controparte essendo attribuito unicamente il potere sollecitatorio di chiedere la fissazione di un termine per l'effettuazione di tale scelta. E tuttavia, la dichiarazione di fallimento del compratore non pregiudica il diritto del contraente in bonis di continuare l'azione di risoluzione proposta prima del fallimento con effetti anche restitutori, perché in tal caso il contraente adempiente ha già acquistato il diritto alla risoluzione prima della dichiarazione di fallimento, mediante la proposizione della domanda giudiziale in tempo anteriore alla stessa, la quale non è ostativa al recupero del bene in quanto gli effetti della sentenza costitutiva di risoluzione retroagiscono al momento della domanda Cass., Sez. I, 28 aprile 1961, n. 967 Cass., Sez. I, 20 marzo 1962, n. 558 Cass., Sez. I, 13 luglio 1971, n. 2252 Cass., Sez. I, 13 giugno 1983, n. 4045 Cass., Sez. II, 21 febbraio 1994, n. 1648 Cass., Sez. I, 9 dicembre 1998, n. 12396 Cass., Sez. I, 3 febbraio 2006, n. 2439 . 2.4. - I diritto di recesso dal contratto, previsto dall'art. 1385, secondo comma, cod. civ. quando sia stata data caparra confirmatoria, è esercitato dalla parte non inadempiente mediante dichiarazione fatta pervenire alla parte inadempiente ed è un mezzo di autotutela il cui presupposto giustificante è l'inadempimento imputabile e di non scarsa importanza di controparte Cass., Sez. II, 23 gennaio 1989, n. 398 . E dato che il recesso è un atto ricettizio, i cui effetti risolutivi si producono automaticamente nel momento in cui esso giunge a conoscenza del destinatario, la pronuncia del giudice al quale la parte si rivolga per far constare l'esercizio del recesso contro le altrui contestazioni, ha natura meramente dichiarativa. In questo senso è orientata la giurisprudenza di questa Corte Sez. Un., 14 gennaio 2009, n. 553 , quando afferma che il recesso della parte non inadempiente si conferma come modalità ulteriore di risoluzione del contratto, destinata ad operare, indipendentemente dall'esistenza di un termine essenziale o di una diffida ad adempiere, mercé la semplice comunicazione all'altra parte di una volontà caducatoria degli effetti negoziali, operante, nella sostanza, attraverso un meccanismo analogo a quello che regola la clausola risolutiva espressa . 2.5. - Ciò stando, poiché la fattispecie risolutiva risulta nella vicenda in esame già perfezionata con la dichiarazione del promittente venditore di cui all'art. 1385, secondo comma, cod. civ. e con la domanda di accertamento della legittimità del recesso e del diritto alla ritenzione della caparra, promossa dal contraente non inadempiente nei confronti del promissario prima della dichiarazione di fallimento, questa domanda non può essere paralizzata, una volta sopravvenuto il fallimento di quest'ultimo, dall'esercizio, da parte del curatore, della facoltà di sciogliersi dal contratto, a norma dell'art. 72, secondo comma, legge fall. Si è di fronte ad una situazione quesita per adoperare l'espressione di Cass., Sez. I, 9 dicembre 1998, n. 12396, cit. . Essendo tale domanda già stata proposta, la cristallizzazione delle situazioni giuridiche, determinata dal fallimento, trova già acquisita al patrimonio del contraente in bonis la relativa pretesa pretesa che oramai non sta solo nell'astratta previsione legislativa, ma ha vita come una realtà operante sul piano concreto del processo, e si pone come ragione autonoma di accertamento della cessazione del contratto, che anticipa quella diversa forma di estinzione legale prevista dall'art. 72 legge fall. In questa direzione orientano i precedenti di questa Corte. Sulla scia della sentenza 5 gennaio 1995, n. 185, la sentenza 23 settembre 1995, n. 10101, ha infatti affermato che quando la fattispecie risolutiva non risulti già perfezionata al momento della dichiarazione di fallimento con il passaggio in giudicato della sentenza di risoluzione, o con la dichiarazione di cui agli artt. 1456, 1385, secondo comma, 1517, terzo comma, cod. civ. o con il decorso del termine, ex artt. 1454 e 1457 cod. civ. , non c'è ragione di privare il curatore del potere di sciogliersi dal contratto art. 72, secondo comma, legge fall. , che la legge condiziona soltanto al mancato esercizio, da parte del venditore, del diritto di far valere nel passivo del fallimento il suo credito per il prezzo . Da tali pronunce implicitamente si ricava, a contrario, l'opposta soluzione - impossibilità per il curatore di avvalersi del potere di scioglimento, accordatogli dall'art. 72 legge fall., in senso preclusivo dell'accertamento giudiziale della legittimità del recesso - allorché la fattispecie risolutiva risulti già perfezionata, con l'introduzione della domanda giudiziale di accertamento della legittimità dell'intervenuto recesso, al momento della dichiarazione di fallimento cfr., altresì, Cass., Sez. I, 17 gennaio 1998, n. 376, e Cass., Sez. Un., 7 luglio 2004, n. 12505 . 3. - L'accoglimento del ricorso principale assorbe l'esame dell'unico motivo del ricorso incidentale violazione dell'art. 1282 cod. civ., in riferimento all'art. 360, n. 5, cod. proc. civ. , con cui la curatela si duole che la sentenza impugnata, pur condannando i promittenti venditori alla restituzione della caparra, abbia omesso di porre a loro carico il pagamento degli interessi legali sulle dette somme. 4. - La sentenza impugnata è cassata. La causa deve essere rinviata ad altra sezione della Corte d'appello di Catania. Il giudice del rinvio si atterrà al seguente principio di diritto In tema di preliminare di compravendita, comunicata dal promittente venditore la volontà di recedere dal contratto e di incamerare la ricevuta caparra confirmatoria, ai sensi dell'art. 1385, secondo comma, cod. civ., e promossa, prima del fallimento del promissario tradens, domanda giudiziale diretta alla declaratoria della legittimità dell'avvenuto esercizio del mezzo di autotutela per reagire all'altrui inadempimento, imputabile e di non scarsa importanza, il sopravvenuto fallimento di quest'ultimo preclude al curatore di paralizzare, attraverso l'esercizio della facoltà di sciogliersi dal contratto ex art. 72, secondo comma, legge fall., l'emissione di una sentenza, opponibile alla massa dei creditori, che, accogliendo la domanda del promittente, accerti, con effetto ex tunc, l'intervenuta caducazione, già in via stragiudiziale, degli effetti negoziali . Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il ricorso principale e dichiara assorbito l'incidentale cassa, la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte d'appello di Catania.