Il principio di reformatio in pejus va applicato tenendo conto del caso concreto

Le norme del Codice deontologico approvato il 31 gennaio 2014 si applicano anche ai procedimenti disciplinari in corso al momento della sua entrata in vigore, qualora più favorevoli all’incolpato, avendo l’art. 65, comma 5, l. n. 247/2012 recepito il criterio del favor rei in luogo del criterio del tempus regit actum. L’individuazione del regime giuridico più favorevole deve essere effettuata non in astratto, ma con riguardo alla concreta vicenda disciplinare, tenendo conto di tutte le conseguenze che potrebbero derivare dall’integrale applicazione di ciascuna delle due normative nella specifica fattispecie.

Nel caso di specie, ai fini della rideterminazione nella sospensione per due anni, in sostituzione della cancellazione originariamente inflitta, il CNF, per valutare se la prima sia più o meno inflittiva rispetto alla seconda, deve effettuare una comparazione dei trattamenti sanzionatori in concreto, e dunque valutare, in merito alla cancellazione, la possibilità per il sanzionato di richiedere l’iscrizione ed il tempo occorrente per la presentazione dell’istanza, per confrontarla rispetto alla sospensione triennale, ridotta a due anni per la concessione di attenuanti. Inoltre, la sanzione poi prescelta deve essere applicata per intero, senza possibilità di operare una combinazione” tra la vecchia e la nuova disciplina, in quanto per tale via se ne ricaverebbe arbitrariamente” una terza. Tale in sintesi il contenuto della sentenza della Corte di Cassazione numero 16296/21, depositata il 10 giugno, che ora andiamo ad analizzare più da vicino. La condotta contestata. Il provvedimento attiene all’impugnativa della sentenza del Consiglio Nazionale Forense emessa nel corso di un procedimento disciplinare in sede di rinvio disposto dalle Sezioni Unite sentenza numero 3023/2015 . All’avvocato si contesta di essersi abusivamente introdotto, munito di appunti e trasmettitori, esibendo un tesserino simile a quello in dotazione ai commissari di esame e qualificandosi delegato del Consiglio dell’Ordine degli avvocati , nelle aule dove si svolgeva la sessione di esami di abilitazione all’esercizio della professione ed aver tentato di favorire alcuni partecipanti all’esame . IL CNF ridetermina la sanzione richiamando il principio di reformatio in pejus . Nel decidere, il CNF rideterminava la sanzione già disposta, della cancellazione, nella sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per due anni con riguardo ad un procedimento in corso all’entrata in vigore del Codice deontologico del 2014. Nella decisione il CNF premetteva che la Corte di Cassazione, alla luce del disposto di cui all’art. 65, comma 5, l. numero 247/2012 che, quale norma transitoria, prevede che 5. Il codice deontologico è emanato entro il termine massimo di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge. Il CNF vi provvede sentiti gli ordini forensi circondariali e la Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense in relazione alle materie di interesse di questa. L'entrata in vigore del codice deontologico determina la cessazione di efficacia delle norme previgenti anche se non specificamente abrogate. Le norme contenute nel codice deontologico si applicano anche ai procedimenti disciplinari in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l'incolpato , aveva affermato che la successione nel tempo delle norme – il precedente ed il nuovo di allora Codice deontologico – deve essere improntata al criterio del favor rei . Il CNF premetteva poi che nel quadro di una tendenziale tipizzazione degli illeciti disciplinari e delle relative sanzioni la Corte di Cassazione aveva richiamato riguardo al caso concreto, i principi generali del nuovo Codice deontologico contenuti nell’art. 9 al comma 2 Doveri di probità, dignità, decoro e indipendenza” e dell’art. 20 Responsabilità disciplinare” e la condotta tipizzata nell’art. 72 Art. 72 – Esame di abilitazione. 1. L'avvocato che faccia pervenire, in qualsiasi modo, ad uno o più candidati, prima o durante la prova d’esame, testi relativi al tema proposto è punito con la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da due a sei mesi. 2. Qualora sia commissario di esame, la sanzione non può essere inferiore alla sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da uno a tre anni nella quale sembra rientrare l’illecito contestato nella specie. Il CNF aggiungeva che, una volta venuta meno, tra le sanzioni, la cancellazione dall’albo, per effetto della lex mitior la legge più mite” , al caso de quo si dovesse applicare integralmente lo jus superveniens , che prevede non più la cancellazione, ma la meno inflittiva sanzione della sospensione tale sanzione prevede attualmente l’”esclusione temporanea” sino a cinque anni, e va applicata ai casi di infrazioni date da comportamenti e responsabilità gravi o quando non vi siano le condizioni per l’applicazione della sola censura. IL CNF aggiungeva che per una fattispecie complessa come quella de qua , data cioè da più comportamenti, uno tipizzato nell’art. 72 cit. e gli altri no, ancorchè alcuni riconducibili all’ipotesi dell’interruzione di pubblico servizio e sostituzione di persona la sanzione doveva essere grave e dunque ablativa”, posto anche che per la più lieve ipotesi di chi fa pervenire testi agli esaminandi senza artifici e raggiri è prevista la sanzione di tre anni. E, benchè ravvisasse i presupposti per una sanzione più grave, il CNF riteneva congruo applicare la sanzione della sospensione per due anni in sostituzione della cancellazione. La durata – che, ove si considerassero gli ulteriori comportamenti, costituenti illeciti autonomi che potrebbero concorrere alla determinazione della sanzione, dovrebbe raggiungere il massimo - veniva ridotta a due, in considerazione della invocata esimente della situazione di carattere personale e familiare . Il motivo di ricorso il principio di reformatio in pejus non può comportare una sanzione più grave. Il motivo di ricorso su cui si sofferma la decisione, ritenendolo fondato, è il primo. In particolare, il ricorrente contesta la sentenza impugnata per errata individuazione e applicazione della disciplina più favorevole e dunque l’errata applicazione del principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione, con violazione del principio di reformatio in pejus nonché dei principi di cui all’art. 394 c.p.c. e 360 numero 4 c.p.c. La decisione sarebbe in contrasto sia con quando prescritto dalla Corte di Cassazione nel disporre il rinvio, sia con il principio di reformatio in pejus e con disposto di cui al cit. art. 65 cit., secondo cui le nuove norme vanno applicate ai procedimenti in corso alla loro entrata in vigore solo se più favorevoli verso l’incolpato. Inoltre, la decisione sarebbe contraddittoria, perché pur richiamando in teoria al principio di reformatio in pejus , in concreto produce un effetto peggiorativo, con l’inflizione di una condanna più grave di quella disposta in precedenza. Il principio del reformatio in pejus va applicato tenendo conto del caso concreto. Come anticipato, i Giudici di Legittimità ritengono fondato il motivo il CNF non ha applicato alla decisione il principio fissato dalla Corte, avendo compiuto un esame difettoso o incompleto ai fini della individuazione della disciplina applicabile alla luce del principio del favor rei introdotto nella materia . La Corte ricorda di avere affermato nella sentenza numero 3023/2015 che le norme del Codice deontologico approvato il 31 gennaio 2014 si applicano anche ai procedimenti disciplinari in corso, come quello de quo , al momento della sua entrata in vigore, qualora più favorevoli all’incolpato, per il recepimento, a mezzo dell’art. 65, comma 5, l. numero 247/2012, del criterio del favor rei in sostituzione del criterio del tempus regit actum utilizzato in precedenza nell’incertezza interpretativa, v. Cass. numero 3023/2015 . Aggiunge la Corte, entrando nel cuore della decisione, che il principio di reformatio in pejus va applicato nel caso concreto cioè, l’individuazione del regime giuridico più favorevole deve essere effettuata non in astratto, ma con riguardo alla concreta vicenda disciplinare, tenendo conto di tutte le conseguenze che potrebbero derivare dall’integrale applicazione di ciascuna delle due normative nella specifica fattispecie e che alla fine la sanzione prescelta deve essere applicata per intero, senza possibilità di operare una combinazione” le due discipline, la vecchia e la nuova se ne ricaverebbe arbitrariamente una terza sul punto la Corte richiama tra i vari precedenti, quelli di Cass. SS.UU. numero 9546/2021 e numero 30993/2017 . Dunque, correttamente il ricorrente afferma che il CNF, per valutare se la nuova sanzione inflitta davvero fosse più favorevole per l’incolpato, avrebbe dovuto confrontare i trattamenti sanzionatori nel concreto, tenendo conto del fatto che la cancellazione dall’albo, prevista dalla precedente disciplina nell’ambito del Consiglio dell’ordine degli avvocati di Roma si richiama l’adunanza del 18 febbraio 1993, Reiscrizione del professionista forense negli albi da cui si a stato cancellato per misura disciplinare , consentiva la reiscrizione nell’albo dopo un periodo minimo di due anni. Alla presenza di determinate condizioni, le norme prevedevano un aumento di tale periodo, ma così non potrebbe essere nel caso concreto come, osserva la Corte, sembra affermare il Procuratore Generale nelle conclusioni, in base alle condizioni per la reiscrizione per lo specifico illecito. IL CNF avrebbe dovuto quindi valutare in concreto la possibilità per il sanzionato di chiedere la reiscrizione ed il periodo che avrebbe dovuto attendere per depositare l’istanza, onde concludere se la sospensione triennale, sebbene ridotta a due anni con la concessione delle attenuanti, fosse nel concreto un trattamento sanzionatorio più mite, per poter rettamente applicare il principio del favor rei. Dunque, conclude la Corte, gli atti vanno rimessi al CNF perché proceda alla definizione della condotta e alla determinazione della sanzione anche alla luce della disciplina sopravvenuta.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 4 – 10 giugno 2021, n. 16296 Presidente Spirito – Relatore Greco Cenni del fatto L’avvocato F.S. impugna, sulla base di tre motivi illustrati con successiva memoria, la sentenza del Consiglio Nazionale Forense che, in sede di rinvio disposto dalla sentenza di queste Sezioni Unite 16 febbraio 2015, n. 3023, ha rideterminato la sanzione inflittagli nella sospensione dall’esercizio dall’attività professionale per due anni, in sostituzione della cancellazione originariamente applicatagli, per essersi abusivamente introdotto, munito di appunti e trasmettitori, esibendo un tesserino simile a quello in dotazione ai commissari di esame e qualificandosi delegato del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Roma, nelle aule dove si svolgeva la sessione di esami di abilitazione all’esercizio della professione di avvocato per l’anno 2010, ed aver tentato di favorire partecipanti all’esame. Nella decisione ora impugnata il CNF premetteva che secondo le Sezioni unite, alla luce della L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 65, comma 5, il quale detta la disciplina transitoria delle norme deontologiche forensi, la successione nel tempo delle norme dell’allora vigente e di quelle dell’ allora emanando nuovo codice deontologico e delle ipotesi di illecito e delle sanzioni da essi rispettivamente contemplati doveva essere improntata al criterio del favor rei e premetteva ancora che, nel quadro di una tendenziale tipizzazione degli illeciti disciplinari e delle relative sanzioni, venivano richiamati dalla Cassazione, in relazione al caso di specie, i principi generali rilevanti del nuovo codice deontologico forense l’art. 9, comma 2, in tema di doveri di probità, dignità, decoro e indipendenza, e l’art. 20 sulla responsabilità disciplinare , nonché l’art. 72 esame di abilitazione , che sembrerebbe aver tipizzato l’illecito contestato all’avvocato ricorrente. E rilevava quindi che, una volta scomparsa dal catalogo delle sanzioni la cancellazione dall’albo per effetto della lex mitior, non restava che applicare al caso di specie integralmente lo ius superveniens, il quale in luogo della cancellazione prevede la sanzione meno afflittiva della sospensione, attualmente consistente nell’esclusione temporanea, aumentata sino a cinque anni, dall’esercizio della professione, sanzione che si applica per infrazioni consistenti in comportamenti e in responsabilità gravi quando non sussistono le condizioni per irrogare la sola sanzione della censura. Il Consiglio nazionale forense osservava che in presenza di una fattispecie illecita complessa come quella in esame, costituente il risultato di una pluralità di comportamenti, uno tipizzato l’art. 72 menzionato e gli altri non tipizzati, ancorché alcuni riconducibili alle fattispecie dell’interruzione di pubblico servizio e sostituzione di persona, la sanzione non poteva che essere grave e dunque ablativa , essendo del resto prevista la sospensione fino a tre anni nella più lieve ipotesi di colui che si limiti senza artifizi e raggiri a far pervenire testi agli esaminandi. E benché sussistessero in linea teorica i presupposti per una sanzione più grave, il CNF riteneva congruo infliggere, in sostituzione della cancellazione, la diversa pena della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per il periodo di due anni. Dalla valutazione - tra l’altro - della situazione di carattere personale e familiare invocata come esimente derivava poi un siffatto contenimento della sanzione, che potrebbe assurgere ai massimi previsti dal richiamato art. 72, vale a dire tre anni, se solo si valutassero gli ulteriori comportamenti, supra evidenziati, costituenti illeciti autonomi suscettibili di concorrere a determinare la sanzione incrementandola. Il ricorrente ha depositato memoria ed il Procuratore generale conclusioni scritte. Ragioni della decisione Col primo motivo il ricorrente denuncia errata individuazione ed applicazione della disciplina più favorevole e conseguente errata applicazione del principio di diritto fissato dalla Corte di cassazione e violazione del principio di reformatio in peius e dei principi fissati dall’art. 394 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 . Il giudice del rinvio avrebbe disatteso non solo quanto espressamente richiesto dalla stessa Cass. n. 3023 del 2015, ma al contempo il principio di reformatio in pejus e quanto disposto dalla L. n. 247 del 2012, art. 65, comma 5, secondo la quale le norme contenute nel codice deontologico si applicano anche ai procedimenti disciplinari in corso al momento della sua entrata in vigore, ma solo se più favorevoli all’incolpato la decisione sarebbe inoltre contraddittoria, perché è lo stesso CNF a dare atto di dover scegliere la disciplina più favorevole all’incolpato, il quale però poi finirebbe per subire una condanna più grave di quella ricevuta in forza della disciplina pregressa. Con il secondo motivo, denunciando errata considerazione di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5 , contesta la sentenza impugnata per aver considerato diversi fatti ritenuti decisivi per il giudizio per i quali non vi è prova in atti della loro sussistenza, ed anzi ne è esclusa la veridicità . Col terzo motivo, intestato errata applicazione della sanzione nella misura massima, prevista per una fattispecie tipizzata, ad un comportamento non tipizzato violazione di legge - applicazione della sanzione massima ex art. 72, comma 2, del codice deontologico forense approvato dal CNF il 31 gennaio 2014 e pubblicato nella G.U. n. 241 del 16 ottobre 2014 per un comportamento non attribuibile all’incolpato e non provato, in violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 , il ricorrente si duole che il CNF abbia ritenuto di poter sanzionare l’incolpato sia per comportamenti tipizzati, che per comportamenti non tipizzati, in applicazione dell’art. 72 del codice deontologico, in violazione della sentenza di questa Corte che ha chiaramente definito l’ambito della responsabilità rinviando all’applicazione degli artt. 9 e 72 e non altri, e si duole per avere il CNF omesso di considerare diversi fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, ed adeguatamente evidenziati negli atti difensivi e nelle decisioni di merito, applicando la sanzione di tre anni prevista però per chi riveste la qualità di commissario d’esame e non per il singolo avvocato. Il secondo ed il terzo motivo, dal cui esame conviene muovere per segnare i confini del presente contenzioso, si rivelano inammissibili, perché il CNF è il giudice del rinvio, cui queste Sezioni unite Cass. 16 febbraio 2015, n. 3023 , - disattesi gli altri motivi -, hanno rimesso gli atti il quarto motivo di ricorso, incidente sulla misura della sanzione, induce, viceversa, a cassare, sul punto, la sentenza impugnata ed a rinviare corrispondentemente gli atti al Consiglio nazionale forense per un nuovo esame . Il primo motivo è fondato, per non avere il Consiglio nazionale forense, giudice del rinvio, applicato al giudizio in corso il principio fissato da questa Corte, avendo condotto un esame difettoso o incompleto ai fini dell’individuazione della disciplina applicabile alla luce del principio del favor rei introdotto nella materia, Questa Corte ha infatti affermato, in tema di giudizi disciplinari nei confronti degli avvocati, che le norme del codice deontologico forense approvato il 31 gennaio 2014 si applicano anche ai procedimenti in corso - come nella specie - al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l’incolpato, avendo la L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 65, comma 5, recepito il criterio del favor rei, in luogo del criterio del tempus regit actum Cass. n. 3023 del 2015, cit. . Si è inoltre precisato che, ai sensi della L. n. 247 del 2012, art. 65, comma 5, che ha recepito il criterio del favor rei in luogo di quello del tempus regit actum , le norme contenute nel nuovo codice deontologico forense, approvato il 31 gennaio 2014, si applicano ai procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l’incolpato ne consegue che l’individuazione del regime giuridico più favorevole deve essere effettuata non in astratto, ma con riguardo alla concreta vicenda disciplinare, tenendo conto di tutte le conseguenze che potrebbero derivare dall’integrale applicazione di ciascuna delle due normative nella specifica fattispecie tuttavia, all’esito dell’individuazione, quella ritenuta più favorevole deve essere applicata per intero, dovendo escludersi la possibilità di operare una combinazione tra la vecchia e la nuova normativa ricavandone arbitrariamente una terza attraverso l’utilizzo e l’applicazione di parti dell’una e parti dell’altra Cass. sez. un. 12 aprile 2021, n. 9546 vedi inoltre Cass., sez. un., 27 dicembre 2017, n. 30993 . È quindi corretto l’assunto del ricorrente, secondo il quale per stabilire se la sanzione della sospensione inflitta in concreto risulti più o meno afflittiva di quella della cancellazione originariamente inflitta dal COA, il Consiglio nazionale forense avrebbe dovuto procedere a comparare i trattamenti sanzionatori in concreto, tenendo conto del fatto che la cancellazione dall’albo, tacitamente abrogata con la vecchia disciplina, consentiva comunque all’avvocato, nell’ambito del Consiglio dell’ordine degli avvocati di Roma COA Roma, adunanza del 18 febbraio 1993, Reiscrizione di professionista forense negli albi da cui sia stato cancellato per misura disciplinare di chiedere la reiscrizione dopo un periodo minimo di due anni, termine suscettibile di aumento per quel che in appresso verrà chiarito . Una siffatta clausola termine suscettibile di aumento non potrebbe venire in gioco nel caso di specie, come sembra osservare il Procuratore generale nelle conclusioni rassegnate, in base ai criteri fissati nella disciplina della reiscrizione, che per lo specifico illecito in esame non avrebbe richiesto l’allegazione di alcuna avvenuta restituzione o risarcimento, non essendovi stato maneggio di danaro , nè alcuna certificazione di riabilitazione, i non essendo intervenuta condanna penale, e senza dover dimostrare di aver risarcito danni a terzi, non sussistendo, nel caso in esame, alcun pregiudizio per i terzi. Nella comparazione fra previgente e nuova disciplina il CNF avrebbe dovuto valutare le possibilità del sanzionato di chiedere la reiscrizione e chiarire il periodo occorrente per la presentazione dell’istanza, per poter stabilire - osserva il Procuratore generale che un periodo di sospensione triennale, ancorché ridotto ad anni due per la concessione di attenuanti, doveva considerarsi, nel caso concreto, trattamento sanzionatorio più mite rispetto alla disposta cancellazione, al fine della corretta applicazione del principio del favor rei. Ai fini dell’osservanza della previsione di cui alla L. n. 247 del 2012, art. 65, comma 5, gli atti vanno rimessi al giudice della deontologia, affinché proceda, oltre che alla definitiva qualificazione della condotta ascritta, alla determinazione della sanzione anche alla luce della disciplina sopravvenuta. Vanno pertanto disattesi il secondo ed il terzo motivo del ricorso, mentre, decidendo sul primo motivo, la sentenza impugnata va cassata, con corrispondente rinvio della causa, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità, al Consiglio nazionale forense in diversa composizione. P.Q.M. La Corte, a sezioni unite, accoglie il primo motivo e dichiara l’inammissibilità del secondo e terzo motivo, cassa la sentenza impugnata in ordine al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, al Consiglio nazionale forense.