Conoscere per riformare e non riformare senza conoscere

Il problema principale che hanno le Casse di previdenza dei professionisti, associazioni e fondazioni che rientrano nella Pubblica Amministrazione Gazzetta Ufficiale numero 242 del 30.09.2020, pag. 45-52 , è la sostenibilità di lungo periodo e questo perché non possono fruire di finanziamenti, diretti o indiretti, da parte della fiscalità generale avendovi, consapevolmente o inconsapevolmente, rinunciato al momento della cd. privatizzazione.

Questo avviene perché sono transitate dal sistema mutualistico a quello solidaristico. Com’è noto il sistema mutualistico si caratterizza per la rigorosa proporzionalità tra contributi e prestazioni previdenziali, quello solidaristico si caratterizza invece per l’irrilevanza della proporzionalità tra contributi e prestazioni professionali. Le Casse di previdenza dei professionisti promettono prestazioni troppo elevate rispetto ai contributi richiesti agli iscritti con ciò ingenerando un debito previdenziale che è un multiplo degli accantonamenti. Per rendersene conto basta fare un semplice raffronto con la gestione più vicina che è la GS dell’INPS, dove le aliquote sono le seguenti - 25,98% dal 01.01.2021 - 26,49% dal 01.01.2022 - 27% dal 01.01.2023. E quindi almeno 10 punti in più rispetto alla media delle Casse dei professionisti, notai esclusivi ovviamente. C’è quindi un GAP notevole tra le diverse aliquote con indubbio vantaggio per i professionisti ma finché le cose vanno bene. Ora le cose non vanno tanto bene nel senso che alcune Casse si trovano in difficoltà e altre sono costrette a ricercare sui mercati finanziari rendimenti più elevati per far quadrare i conti accettando così un rischio maggiore il che significa più rischio per le pensioni future. Ricordo che il principio della automaticità delle prestazioni, per giurisprudenza ormai consolidata, non si applica alle Casse di previdenza dei professionisti con la necessità, invece, del versamento integrale della contribuzione per aver diritto alle prestazioni. Per dirla in breve le Casse di previdenza dei professionisti, in quanto estranee per libera scelta al sistema della finanza pubblica, operano in regime di autofinanziamento e l’autosufficienza finanziaria è perseguita rigorosamente dalla legge. Nella logica del finanziamento a ripartizione è proprio la contribuzione di tutti gli iscritti che realizza il vincolo solidaristico. Siamo in tempo di bilanci consuntivi del 2020 e tutte le Casse, secondo lo storytelling usuale, decantano i rendimenti e la patrimonializzazione senza informare gli iscritti sull’entità dei crediti inesigibili in bilancio, dell’entità del debito previdenziale maturato e del funding ratio, che è il rapporto appunto tra la patrimonializzazione e il debito latente. Articolo 6 dello emanando regolamento che le Casse dicono di sollecitare « Prospetto informativo a valori correnti 1. L’Ente approva annualmente, secondo gli stessi termini relativi al bilancio di esercizio, un prospetto recante l’esposizione delle attività detenute determinate a valori correnti. Il prospetto riporta anche indicazioni sul valore attuale netto delle passività connesse alle prestazioni istituzionali dell’Ente, calcolato secondo criteri coerenti con quelli posti a fondamento della valutazione a valori correnti delle attività detenute e comunque precisando tutte le ipotesi di lavoro utilizzate in detto computo. 2. Il prospetto è trasmesso ai Ministeri Vigilanti e alla Covip entro venti giorni dalla sua approvazione. Entro lo stesso termine, l’Ente provvede alla pubblicazione del prospetto sul proprio sito internet». Perché le Casse che dicono di sollecitare la pubblicazione del regolamento non vi adempiono spontaneamente? Come scrivo sempre, in previdenza il problema non sono i lupi ma le pecore mentre i Vigilanti guardano e l’industria finanziaria suggerisce nuove strategie di mercato. Per fortuna il nuovo Presidente della Bicamerale di controllo sugli enti previdenziali ha avviato una indagine a campione proprio sui temi esiziali per le Casse di previdenza dei professionisti. A me pare che l’aumento delle aliquote, rimodulate per scaglioni, così da coniugare la proporzionalità alla progressività, sia inevitabile alla luce del monito, non mio, grillo parlante della periferia dell’impero, ma della Corte dei Conti per la quale le prestazioni previdenziali devono dipendere più dalla contribuzione che dal rendimento del patrimonio accumulato. De hoc satis.