Avvocato negligente? Il cliente deve dimostralo

Il cliente che assume una negligenza del suo difensore deve dimostrare non solo in cosa consista la negligenza, dunque la violazione dell’obbligo professionale, ma anche che essa ha influito sull’esito della lite, ossia che una diversa condotta avrebbe portato ad un risultato positivo.

Sul tema la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 11737/21, depositata il 5 maggio. Paolo – nome di fantasia – aveva incaricato il suo avvocato di instaurare una controversia nei confronti del figlio Filippo – nome di fantasia – originata da un rapporto di mandato intercorrente tra i due. Il suddetto avvocato notificava quindi un atto di citazione, in pendenza del quale effettuava poi due richieste di sequestro conservativo, entrambe disattese dal Tribunale. Avendo la cautela esito negativo, ne seguiva la revoca del mandato e la pretesa da parte del professionista del pagamento del compenso , non corrisposto da Paolo. Il difensore citava in giudizio il cliente per avere accertato e liquidato il compenso in questione e nel relativo giudizio Paolo formulava domanda riconvenzionale per poter far valere la responsabilità professionale dell’avvocato. Il Tribunale di Lodi riteneva non provata la domanda riconvenzionale di Paolo. Mentre riteneva provato lo svolgimento dell’incarico professionale, liquidando la somma richiesta come compenso, anche se in misura ridotta. Paolo ricorre quindi in Cassazione sostenendo che la Corte abbia statuito sulla sua domanda riconvenzionale negando, senza alcuna motivazione, che fosse stata data prova dell’ errore professionale e della sua incidenza sull’esito della causa . Il motivo è infondato in quanto il cliente che assume una negligenza del suo difensore deve dimostrare non solo in cosa consista la negligenza, dunque la violazione dell’obbligo professionale, ma anche che essa ha influito sull’esito della lite, ossia che una diversa condotta avrebbe portato ad un risultato positivo. E tale prova è mancata . Il ricorrente inoltre si lamenta del fatto che il Tribunale abbia liquidato al difensore compensi per attività svolta in modo negligente. Anche in questo caso il motivo di doglianza è inammissibile in quanto il Tribunale ha escluso una responsabilità professionale avendo ritenuto non provata una qualche colpa all’esito negativo della richiesta di sequestro, liquidando l’attività relativa e non considerando l’eccezione di inadempimento. Per questi motivi la Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 2 marzo – 5 maggio 2021, n. 11737 Presidente Amendola – Relatore Cricenti Ritenuto che 1.- Il ricorrente, M.C.M. , ha dato incarico all’avvocato B.S. di instaurare una controversia nei confronti del figlio S. , originata da un rapporto di mandato intercorrente tra i due. L’avvocato M. ha notificato un atto di citazione, in pendenza del quale ha poi effettuato due richieste di sequestro conservativo, entrambe disattese dal Tribunale. L’esito negativo della cautela avrebbe comportato la revoca del mandato, a seguito della quale il difensore ha preteso il pagamento del compenso, che il M. non ha corrisposto. Conseguentemente, il difensore ha citato in giudizio il cliente per avere accertato e liquidato il compenso professionale, e nel relativo giudizio, il M. ha formulato domanda riconvenzionale, al fine di far valere la responsabilità professionale dell’avvocato e vedersi riconosciuti i danni in un ammontare pari al compenso richiesto. 2.- Il Tribunale di Lodi ha, in primo luogo, ritenuto non provata la domanda riconvenzionale, che aveva ad oggetto la responsabilità professionale del difensore e conseguentemente ha ritenuto provato lo svolgimento dell’incarico professionale, liquidando la somma richiesta come compenso, anche se ridotta rispetto alla iniziale pretesa. 3.- il M. ricorre con mezzo straordinario ex art. 111 Cost., avverso tale decisione, basato su tre motivi. Si è costituito il B. con controricorso chiedendo il rigetto. Considerato che 4.- La ratio della decisione impugnata. Il Tribunale ha esaminato in primo luogo la domanda riconvenzionale, ritenendola logicamente un prius rispetto a quella di pagamento dei compensi, ed ha ritenuto che non era stata affatto provata la negligenza del difensore, e comunque un qualche nesso di causa tra l’asserita negligenza e l’esito negativo della lite. Conseguentemente, ha riscontrato l’attività difensiva svolta, ed ha liquidato il compenso in base al D.M. n. 55 del 2014. 5.- M.C.M. ricorre con tre motivi. 5.1.- Con il primo motivo denuncia violazione degli artt. 1176 e 2697 c.c., e del D.M. n. 55 del 2004. Il ricorrente sostiene che la corte ha statuito sulla sua domanda riconvenzionale - volta a far accertare la responsabilità professionale del difensore - in modo apodittico, negando, senza alcuna motivazione, che fosse stata data prova dell’errore professionale e della sua incidenza sull’esito della causa. Secondo il ricorrente, questo apodittico giudizio non tiene conto del fatto che a non è vero che sia stato depositato un secondo ricorso per sequestro, che in realtà non risulta b il difensore ha ipotizzato lui un valore della causa di 1 milione di Euro, ma erroneamente c la citazione ha contenuto la sola domanda basata sul mandato e non quella di arricchimento ingiustificato, che, a dire del ricorrente, sarebbe stata quella più appropriata. Non avendo tenuto conto di questi fatti, il Tribunale ha sbrigativamente escluso la responsabilità del difensore. Il motivo è infondato. Come è ovvio, il cliente che assume una negligenza del suo difensore deve dimostrare non solo in cosa consista la negligenza, dunque la violazione dell’obbligo professionale, ma anche che essa ha influito sull’esito della lite, ossia che una diversa condotta avrebbe portato ad un risultato positivo. Già dal motivo di ricorso appare evidente che tale prova, come rilevato dal giudice di merito, è mancata. Il fatto che non sia stato predisposto un secondo ricorso per sequestro, subito dopo il primo ma il controricorrente allega di averlo fatto non comporta, almeno se non si dice perché, una responsabilità professionale meno ancora lo comporta il fatto che il valore della causa sia stato dichiarato come errato, che è elemento che può incidere sul compenso, ma non certo sull’esito della lite, e cosi la circostanza di non avere formulato domanda di arricchimento ingiustificato che il controricorrente invece allega di aver fatto in subordine se non si dice perché tale omissione è stata decisiva. In sostanza, il ricorso non riesce a contestare la ratio della decisione impugnata, in quanto non dimostra che elementi rilevanti per supportare l’asserita negligenza del difensore erano stati addotti e sono stati in vece trascurati. 6.- Il secondo motivo denuncia violazione del D.M. n. 55 del 2004. Il ricorrente contesta al Tribunale di avere liquidato al difensore compensi per attività svolta in modo imperito o negligente, ed in particolare quanto alle due richieste di sequestro, l’una delle due rigettata per difetto di periculum. Allo stesso modo gli contesta di non aver tenuto in conto alcuno la sua eccezione di inadempimento che era cosa diversa dalla riconvenzionale. Il motivo è inammissibile. Non coglie la ratio della decisione impugnata. Avendo il Tribunale escluso una responsabilità professionale, e dunque avendo ritenuto non provata una qualche colpa nell’esito negativo della richiesta di sequestro, ha liquidato l’attività relativa, e conseguentemente non ha considerato l’eccezione di inadempimento. Nè ha liquidato l’attività del secondo sequestro, come chiaramente risulta dalla motivazione. 7.- Il terzo motivo denuncia anche esso violazione dell’art. 2697 c.c., e del D.M. n. 55 del 2004. Secondo il ricorrente il Tribunale nel calcolare quanto è stato comunque da lui versato al difensore non ha tenuto conto del versamento operato da terzi, ma sempre a pagamento della prestazione professionale per quella causa, con ciò errando nel valutare la natura e l’efficacia solutoria dell’adempimento del terzo. Anche questo motivo è inammissibile perché non coglie la ratio della decisione impugnata. Il Tribunale ha esaminato il pagamento, effettuato mediante assegni, ed ha ritenuto che non vi fosse intanto la causale, e che chiaramente quel pagamento risultava riferito ad attività professionali diverse da quella di cui è causa, ed in particolare ad attività professionali svolte dal difensore non a favore del ricorrente bensì di terzi. Questo accertamento qui non è contestato, mentre ci si limita a dire che l’imputazione dei suddetti pagamenti era stata contestata nel giudizio di merito, ma non si dice in che termini, e se era diretta a smentire la tesi del Tribunale secondo cui il pagamento è imputabile ad attività professionali diverse da quella oggetto di causa. Il ricorso va rigettato. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, nella misura di 3000,00 Euro, oltre 200,00 Euro di spese generali. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.