Resta a bocca asciutta l’avvocato d’ufficio rimasto inerte nel rintracciare il cliente

L’avvocato, che abbia difeso d’ufficio l’indagato o l’incolpato, resosi irreperibile, non ha diritto alla liquidazione dei compensi a carico dello Stato, ove consti che il medesimo professionista, incorso in colpevole inerzia e così venendo meno al dovere di diligenza qualificata homo eiusdem condicionis ac professionis , abbia fatto trascorrere, prima di attivarsi con le competenti autorità per il rintraccio dello stesso, specie nel caso in cui si tratti di straniero senza fissa dimora e di dubbia o non facile identificazione, un lasso di tempo ingiustificatamente irragionevole, tale da rendere vano il tentativo.

Sul tema la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 8942/21, depositata il 31 marzo. Un avvocato proponeva opposizione avverso il provvedimento di diniego di liquidazione dei compensi per la difesa d’ufficio svolta a favore di un cittadino straniero, divenuto irreperibile. Il Tribunale rigettava l’opposizione attribuendo alla colpevole inerzia del legale il ritardo nel rintracciare l’assistito circa 6 anni . L’avvocato ha proposto ricorso in Cassazione deducendo la violazione degli artt. 82, 116 e 117 d.P.R. n. 115/2002 nonché l’omesso esame di un fatto decisivo avendo il Tribunale posto a suo carico un incombente non previsto dalla legge e non esigibile. Il ricorso risulta privo di fondamento. Il Collegio richiama il principio secondo cui l’ irreperibilità dell’assistito, che impedisce al difensore di esperire la procedura di recupero credito nei confronti dell’assistito, non coincide solo con la formale dichiarazione di irreperibilità emessa dal giudice nel processo penale, potendo tale circostanza riscontrarsi anche in un momento successivo Cas.Civ. n. 13132715 . Ciò posto, il Collegio sottolinea che al ricorrente non si imputa il fatto che l’assistito si fosse reso irrintracciabile dopo la definizione del processo penale, ma la circostanza della colpevole inerzia , dimostrando di non aver rispettato la diligenza minima esigibile. Si tratta infatti della diligenza qualificata del professionista che avrebbe imposto, nel rispetto della regola della buona fede, che il difensore d’ufficio di persona straniera senza fissa dimora e connotata da vari alias, non facesse trascorrere un irragionevole lasso di tempo prima di attivarsi con le autorità competenti per il rintracciamento. In conclusione, la Corte cristallizza il principio di diritto secondo cui l’avvocato, che abbia difeso d’ufficio l’indagato o l’incolpato, resosi irreperibile, non ha diritto alla liquidazione dei compensi a carico dello Stato , ove consti che il medesimo professionista, incorso in colpevole inerzia e così venendo meno al dovere di diligenza qualificata homo eiusdem condicionis ac professionis , abbia fatto trascorrere, prima di attivarsi con le competenti autorità per il rintraccio dello stesso, specie nel caso in cui si tratti di straniero senza fissa dimora e di dubbia o non facile identificazione, un lasso di tempo ingiustificatamente irragionevole, tale da rendere vano il tentativo .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 17 febbraio – 31 marzo 2021, n. 8942 Presidente Lombardo – Relatore Grasso Ritenuto Che la vicenda può riassumersi nei termini seguenti - il Tribunale Civile di Torino rigettò l’opposizione proposta dall’avv. P.F. avverso il provvedimento diniego di liquidazione, emesso dal Tribunale Penale della stessa città, per la difesa d’ufficio che era stata assicurata dal medesimo professionista a un cittadino straniero, risultato irreperibile - la decisione attribuisce a colpevole inerzia” dell’avvocato per avere atteso circa sei anni prima di attivarsi per il rintraccio dell’assistito risultato vano , senza, inoltre, aver acquisito al fine utili informazioni nel corso del giudizio penale ritenuto che l’avv. P. ricorre avverso quest’ultima decisione sulla base di due motivi, ulteriormente illustrati da memoria, e che il Ministero della Giustizia è rimasto intimato ritenuto che con i due motivi, fra loro correlati, il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82, 116 e 117, artt. 1, 3 e 35 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonché l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, assumendo che - il Tribunale aveva posto a carico del ricorrente un incombente non previsto dalla legge e non esigibile e che, se esistente, avrebbe reso impossibile il recupero del credito nei confronti dell’Erario - solo con l’introduzione della legge di bilancio 2015 era stata introdotta la possibilità di portare in compensazione il credito professionale e, quindi, da quel momento era insorto l’interesse alla formazione del titolo di credito nei confronti dello Stato e, proprio per questa ragione, a distanza di anni, il ricorrente si era deciso ad avviare la procedura di riscossione - l’irreperibilità sostanziale, senza che occorra, quindi, la dichiarazione formale del giudice penale, è bastevole a porre a carico dello Stato le spese della difesa d’ufficio, poiché, in difetto, si penalizzerebbe il difensore nel caso di irreperibilità sopravvenuta - di conseguenza la motivazione del Tribunale, con la quale si imputava al ricorrente l’inerzia nell’avere avviato la procedura di recupero del credito e il mancato reperimento d’informazioni dall’imputato nel corso del processo penale, era da reputarsi errata. Considerato che il ricorso è infondato, valendo quanto segue - pienamente condivisibile è il principio, già enunciato da questa Corte Cass. n. 13132/2015 , secondo il quale la irreperibilità, che impedisce al difensore di esperire la procedura di recupero del credito nei confronti dell’assistito, per l’onorario, non deve farsi coincidere solo con la formale pronuncia d’irreperibilità emessa dal giudice nel processo penale, potendo, fra l’altro, una tale condizione di sostanziale impossibilità di rintracciare la persona assistita, potendo risalire anche ad epoca successiva alla definizione del processo penale - tuttavia un tal principio non soccorre la tesi del ricorrente, al quale non si imputa il mero fatto che l’assistito si fosse reso irrintracciabile dopo la definizione del processo penale a suo carico, bensì la circostanza che il ricorrente sia incorso in colpevole inerzia, mostrando così di non aver rispettato la diligenza minima esigibile - trattasi non della diligenza dell’uomo qualunque, ma di quella qualificata che ci si attende da un professionista che svolge attività legali homo eiusdem condicionis ac professionis diligenza che avrebbe imposto, nel rispetto della regola generale della buona fede regola, questa, che investe non solo le attività negoziali, ma anche gli affidamenti da contatto sociale qualificato - cfr. S.U. n. 8236/2020 per un’applicazione speculare ai danni della pubblica amministrazione - , che il difensore d’ufficio di persona straniera, senza fissa dimora e connotata da vari alias, di non fare trascorrere un irragionevole lasso di tempo prima di attivarsi con le autorità competenti cosa del resto puntualmente fatta, ma a distanza di vari anni al fine di tentarne il rintraccio, apparendo del tutto prevedibili le conseguenze di una tale inerzia - salvo il caso che qui non ricorre di determinazioni palesemente irragionevoli, cioè tali da minare in radice la qualità di giustificazione motivazionale della decisione, non può in questa sede censurarsi il giudizio di merito in ordine all’entità dell’inerzia e alla mancanza della diligenza esigibile dall’avvocato che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 , applicabile ratione temporis essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013 , si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto considerato che, pertanto, può enunciarsi il seguente principio di diritto l’avvocato, che abbia difeso d’ufficio l’indagato o l’imputato, resosi irreperibile, non ha diritto alla liquidazione dei compensi a carico dello Stato, ove consti che il medesimo professionista, incorso in colpevole inerzia e così venendo meno al dovere di diligenza qualificata homo eiusdem condicionis ac professioni , abbia fatto trascorrere, prima di attivarsi con le competenti autorità per il rintraccio dello stesso, specie nel caso in cui si tratti di straniero senza fissa dimora e di dubbia o non facile identificazione, un lasso di tempo ingiustificatamente irragionevole, tale da rendere vano il tentativo considerato che non deve farsi luogo a regolamento delle spese poiché il Ministero della Giustizia è rimasto intimato che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 , applicabile ratione temporis essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013 , si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto. P.Q.M. rigetta il ricorso ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 , si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.