L’avvocatura in caduta libera

Leggo sui social questo post che trascrivo «Ormai siamo in caduta libera in tutti i sensi, numerosità, redditi, guadagni, prestigio sociale, il tutto nel più profondo silenzio della rappresentanza che mai è riuscita a tutelare la categoria e a vedere oltre il proprio orticello Ormai è urgente una riforma vera e profonda partendo dall’abolizione di Albi, CNF, COA, Cassa ecc. Il fallimento è però dovuto anche alla base, sempre assente nei momenti decisivi, ricordo le ultime elezioni per Cassa Forense con pochissimi votanti!».

Il problema è annoso ed è stato ripetutamente affrontato ma mai risolto. Per esempio da Valentina Magri con il suo «5 buoni motivi per abolire gli ordini professionali in Italia» adviseonly.com «Immobilità sociale L’Italia è una delle patrie dell’immobilità sociale, in cui i redditi dei figli sono più legati a quelli dei padri uno degli 8 motivi della fuga dei cervelli, a nostro avviso . Parte di questa immobilità è legata all’ereditarietà delle professioni. Difficoltà di accesso per gli outsider L’immobilismo legato anche agli ordini professionali è una delle fonti di guai per il nostro mercato del lavoro, dove i lavoratori membri degli ordini sono ben tutelati e gli outsider che vogliono entrarci devono affrontare un vero e proprio percorso a ostacoli, fatto di - esami di Stato - corsi di specializzazione - praticantati obbligatori, pagati poco o nulla. Il tutto in palese conflitto d’interesse, a parere degli economisti Orsini e Pellizzari in “Dinastie d’Italia. Gli ordini tutelano davvero i consumatori?” Università Bocconi editore , che scrivono “L’accesso all’ordine è infatti regolato da chi esercita la professione e non ha alcuna intenzione di dare il via libera a chi è potenzialmente più bravo di lui”. Inutile dire che questo meccanismo è uno sberleffo alla meritocrazia. Peggiori servizi per i consumatori Gli autori notano anche che gli ordini sono deleteri per gli utenti, in quanto le restrizioni alla concorrenza non sono compensate da una maggiore qualità e trasparenza dei servizi per i consumatori. Migliore performance delle aziende L’abolizione degli ordini professionali porterebbe a una maggiore efficienza e a una migliore performance delle aziende vedi gli studi di Bandiera et al., 2009 e di Pèrez-Gonzàles, 2006 . Gli ordini professionali sono anche un freno all’innovazione se fossero aboliti, si eliminerebbe uno dei “brevetti generalizzati” dell’Italia. Il lavoro si impara sul campo Per essere giudicato un professionista esperto, non basta avere il proprio nome iscritto su un elenco, né aver superato un esame. Si diventa professionisti sul campo con impegno ed esperienza, non per merito di un registro. Non a caso, un giovane che ha appena conseguito un MBA o una laurea a pieni voti in Economia o Ingegneria, se assunto da un’impresa come lavoratore dipendente, non è promosso automaticamente a direttore d’azienda, ma parte da una posizione junior. Per tutti questi motivi, sarebbe ora di tornare a parlare di liberalizzazione delle professioni in Italia. Un tema vecchio quanto il mondo ne parlava già Luigi Einaudi nel lontano 1955. In un libro dal titolo tuttora azzeccato e attuale “Prediche inutili”». Si tratta di una edizione ridotta del famoso libro uscito, per i tipi “Einaudi” nel 1959, all’indomani della conclusione del settennato presidenziale. Contiene quattro saggi tra i più significativi. Piero Ostellino nella prefazione afferma che le «Prediche inutili» sono «una sorte di viaggio attraverso le incongruenze, le distorsioni e le contraddizioni della società corporativa e della natura napoleonica dello Stato unitario». Il primo saggio si intitola «Conoscere per deliberare». Questa frase è divenuta una “parola d’ordine” per chi si batte affinché l’informazione sia corretta perché è un presupposto indispensabile per l’esercizio del diritto di voto. Scriveva Einaudi «Non conosce chi cerca, bensì colui che sa cercare». Ebbene saper “cercare” oggi significa avere la consapevolezza che la “verità” che appare non sempre può essere una utile indicazione. Prendiamo la generale avversione nei confronti dei provvedimenti di amnistia ed indulto ritenendo quei provvedimenti incompatibili con il principio della “certezza della pena”. Di fronte alla tragedia della giustizia – oltre nove milioni di cause e di processi attualmente pendenti – l’amnistia e l’indulto potrebbero, invece, costituire i provvedimenti emergenziali propedeutici alla riforma radicale della giustizia per attuare concretamente il principio della “certezza della pena”. Infatti solo celebrando legalmente cause e processi la pena sarebbe certa. Costituisce altro tema di attualità la discussione su “il valore legale della laurea”. Scriveva Einaudi «Essere mera superstizione, lugubre farsa che il valore legale del titolo rilasciato dall’autorità pubblica al termine dei vari corsi di studio». E aggiungeva «Che cosa altro erano le ‘botteghe’ di pittori e scultori riconosciuti poi sommi, se non scuole private? V’era bisogno di un bollo statale per accreditare i giovani usciti dalla bottega di Giotto o di Michelangelo?». «Il mito del valore legale dei diplomi statali non è, dicevasi, fortunatamente siffatto da dover essere accettato per mancanza di concorrenti. Basta fare appello alla verità, la quale dice che la fonte dell'idoneità scientifica, tecnica, teorica o pratica, umanistica, professionale non è il sovrano o il popolo o il rettore o il preside o una qualsiasi specie di autorità pubblica non è la pergamena ufficiale dichiarativa del possesso del diploma. Ogni uomo ha diritto di insegnare e di affermare che il tale o tal altro suo scolaro ha profittato del suo insegnamento. Giudice della verità della dichiarazione è colui il quale intende giovarsi dei servizi di un altro uomo, sia questi fornito o non di dichiarazioni più o meno autorevoli di idoneità. Le persone o gli istituti i quali, rilasciando diplomi, fanno dichiarazioni in merito alla dottrina teorica od alla perizia pratica altrui godono di variabilissime reputazioni, hanno autorevolezze disformi l'uno dall'altro. Si va da chi ha aperto una scuola e si è acquistato reputazione di capace o valoroso insegnante in questo o quel ramo dello scibile ed un tempo, innanzi al 1860, fiorivano, particolarmente in Napoli, codeste scuole private ad opera di uomini, che furono poi segnalati nelle arti, nelle lettere e nelle scienze. Che cosa altro erano le «botteghe» di pittori e scultori riconosciuti poi sommi, se non scuole private? V'era bisogno di un bollo statale per accreditare i giovani usciti dalla bottega di Giotto o di Michelangelo?». Il discorso va molto al di là della mera questione se la libertà della cultura sia compatibile con la scuola pubblica. Anzi è lo stesso Einaudi che esclude che voglia richiedere l’abolizione della scuola pubblica. E’ il monopolio, anche in campo culturale, che avversa. «Quello monopolistico consente i mutamenti solo quando sono consacrati da un’autorità pubblica laddove il metodo di libertà riconosce sin dal principio di poter versare nell’errore ed auspica che altri tenti di dimostrare l’errore e di scoprire la via buona della verità. – e cosi concludeva – Questa è tutta la differenza fra il totalitarismo e la libertà. Il totalitarismo vive con il monopolio la libertà vive perché vuole la discussione fra la libertà e l’errore sa che, solo attraverso all’errore, si giunge, per tentativi sempre ripresi e mai conchiusi, alla verità». Altra denuncia della sussistenza di una vecchia convinzione dura a morire è contenuta nel saggio “In lode del profitto” sembra un eresia anche oggigiorno, il che ci fa riflettere sul cambiamento apparente dei tempi «Il profitto è il prezzo che si deve pagare perché il pensiero possa liberamente avanzare alla conquista della verità, perché gli innovatori mettano alla prova le loro scoperte, perché gli uomini intraprendenti possano continuamente rompere la frontiera del noto, del già sperimentato, e muovere verso l’ignoto, verso il mondo ancora aperto all’avanzamento materiale e morale dell’umanità». «Non fa d’uopo confutare ancora una volta la grossolana fola che il liberalismo sia sinonimo di assenza dallo stato o di assoluto lasciar fare e lasciar passare e che il socialismo sia la stessa cosa dello stato proprietario e gestore dei mezzi di produzione». Rapporto Censis sull’avvocatura in difficoltà 7 professionisti su 10 Mi pare ovvio che con questi numeri si deve con urgenza riprogettare lo schema previdenziale prima di andare a sbattere nello iceberg che già si vede allo orizzonte. Non serve essere populisti o demagoghi per vedere l’iceberg salvo dire, come si continua a dire, che sui social vi sono solo populisti e demagoghi. Non credo si possa cadere più in basso di così e quindi è venuto il tempo del rinascimento della professione forense previo smaltimento di tutte le incrostazioni e superfetazioni che la compongono. I numeri dell’avvocatura 2020, che guardano al 2019, sono impietosi per chi li sa leggere. Il numero iscritti albi, ogni 1.000 abitanti, nel 1985 era lo 0,9% con 48.327 iscritti agli albi, nel 2020 è salito al 4,1% con 245.478 iscritti albi. Da tempo le colleghe avvocato hanno superato i colleghi se teniamo conto dei pensionati contribuenti che sono 1.835 donne e 11.900 uomini. Il reddito medio IRPEF rivalutato nel 2019 segna un piccolo aumento da € 39.670,00 ad € 40.180,00. Le classi di età dai 55 ai 64 anni sono quelle, sia per donne che uomini, che dichiarano il reddito IRPEF maggiore. I Modelli 5 non pervenuti sono in aumento rispetto al 2018 e sono ben 23.616. 93.099 avvocati, ivi compresi i fantasmi, dichiarano meno di € 10.300,00 all’anno. 136.725 avvocati dichiarano meno di € 19.828,00 all’anno. 205.866 avvocati dichiarano meno di € 50.050,00 all’anno. Si guadagna di più rispettivamente in Lombardia, in Trentino Alto Adige, in Valle d’Aosta, nel Lazio, in Liguria, nel Veneto, peggio si sta in Calabria. Il confronto reddito medio avvocati e PIL pro capite conferma che il reddito medio IRPEF avvocati è nettamente superiore al PIL pro capite tranne che in Basilicata il che, evidentemente, giustifica le iscrizioni alla facoltà di giurisprudenza. Il reddito medio dell’avvocatura italiana è di € 40.180,00 mentre l’importo medio della pensione di vecchiaia è di € 39.263,00. Nel 2005 le pensioni di vecchiaia erano 11.882 e nel 2020 sono 14.488. Le pensioni contributive, che sono previste in Cassa Forense, al 31.12.2020 sono 1.741 per un importo medio di € 5.202,00 all’anno.