Parole nette pronunciate dal presidente della Cassazione, alla presenza, tra gli altri, del Capo dello Stato, Mattarella, e del Ministro della Giustizia. Concordi anche Ermini CSM , Bonafede, Salvi Procura Generale , Sandulli Avvocatura dello Stato e Masi CNF sulla necessità di un cambio di passo, che anche attraverso la digitalizzazione dia certezze a cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni.
Pandemia e riforme. Questi i concetti principali che hanno caratterizzato la cerimonia – in tono minore a causa dell’emergenza sanitaria – che ha ufficializzato, questa mattina, l’apertura dell’anno giudiziario in Cassazione. Concetti connessi perché, come ha spiegato il presidente Pietro Curzio, rivolgendosi, tra gli altri, al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al dimissionario presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e al ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, proprio il ‘Covid-19’ ha fatto emergere in modo ancora più netto i problemi cronici del sistema giudiziario italiano. Detto in poche parole «La pandemia ha ulteriormente mostrato l’inadeguatezza del sistema, la gracilità e la vetustà di determinati gangli» e ha reso impellente «la necessità di un cambiamento profondo», ha spiegato Curzio. Ripensare. Inevitabile, quindi, il riferimento alla pandemia che «ha comportato un blocco sostanziale dell’attività per un certo periodo, con una successiva faticosa ripresa. Oggi, però, c’è la necessità di ripensare il sistema», ha detto Curzio, respingendo l’idea dell’ennesima riforma inutile e auspicando, invece, la concretizzazione di «un sistema giustizia adeguato» capace essere «fattore insostituibile per la garanzia dei diritti e dei doveri dei cittadini, per la vita delle imprese e delle amministrazioni, per la ragionevole certezza nei rapporti economici, civili e sociali». Per raggiungere questo obiettivo, però, non può bastare, come detto, l’ennesima riforma, ma, secondo Curzio, serve un «cambiamento profondo», affrontando e risolvendo «tre problemi quantità del contenzioso, qualità delle decisioni, tempi di giudizio». E in questa ottica una strada percorribile è «la semplificazione dei riti», ha spiegato il presidente della Cassazione. In particolare, può essere una soluzione rivedere l’appello tributario «consentendo a quei giudici di svolgere il loro lavoro a tempo pieno e in via esclusiva, al pari di altri giudici specializzati, perché il diritto tributario è ormai uno dei settori più complessi e impegnativi dell’esperienza giuridica e il relativo contenzioso pone problemi di rilevante peso economico e di particolare delicatezza per cittadini, imprese ed erario», ha osservato Curzio. Per quanto concerne invece il problema cruciale delle modalità e dell’organizzazione del giudizio in Cassazione, per Curzio bisogna rendere «più semplice il giudizio, che negli ultimi anni è stato appesantito con regole e passaggi complicati, con la disordinata moltiplicazione di riti processuali che ha allungato i tempi e reso incerte le regole». In questa ottica la via d’uscita, secondo Curzio, è «ridurre a due percorsi processuali in Corte rito camerale unificato e udienza pubblica«», riservata alle questioni di maggiore rilievo. In questo quadro, infine, non può essere ignorato il fatto che la non operatività del processo telematico in Cassazione ha rappresentato «un freno enorme per il giudizio di legittimità, un freno che va rimosso», ha detto Curzio, ricordando come segnale positivo «il protocollo col Ministero della Giustizia per l’introduzione del processo telematico sul Civile in Cassazione». Ma questo percorso «va completato nel 2021, includendo il Penale», ha chiarito Curzio. Digitalizzazione. Nella prospettiva tracciata dal presidente della Cassazione si è inserito poi David Ermini, che, in rappresentanza del Consiglio Superiore della Magistratura, ha ricordato che «il cittadino invoca certezza del diritto e prevedibilità delle decisioni giudiziarie» e ha aggiunto che per questa ragione «la funzione del giudice di legittimità deve essere incoraggiata, tutelata e rafforzata» anche attraverso «l’individuazione dei magistrati più idonei all’esercizio della peculiare funzione di legittimità». Allo stesso tempo, Ermini ha anche sottolineato la necessità di provvedere al «doveroso accertamento delle responsabilità di singoli magistrati» e ad «una vera e propria rifondazione morale che coinvolga tutta la magistratura», puntando alla «tutela della trasparenza e della meritocrazia» e «salvaguardando le giuste ragioni di quei magistrati che, senza spudoratezza di rapporti o appoggio di cordate correntizie e del tutto alieni da una pratica indecente quale la ‘coltivazione della domanda’, aspirano legittimamente al riconoscimento delle loro capacità e delle loro attitudini». Subito dopo l’intervento di Ermini, è toccato a Bonafede, che ha prima ricordato come la giustizia in Italia non si è fermata neanche di fronte alla pandemia, «grazie a magistrati togati e onorari, avvocati, personale amministrativo, polizia penitenziaria», e poi ha snocciolato una raffica di numeri in merito agli investimenti e alle assunzioni per il mondo giudiziario. Il Guardasigilli ha anche sottolineato «l’accelerazione delle politiche di digitalizzazione in particolare, sono stati sperimentati nuovi modelli organizzativi, sia per il deposito degli atti che per l’accesso ai sistemi da remoto. E proprio ieri è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il provvedimento con il quale si consentirà, dal 31 marzo prossimo, il deposito telematico facoltativo con valore legale degli atti processuali e dei documenti presso le Sezioni Civili della Corte di Cassazione». L’obiettivo è avere «una giustizia rinnovata e più celere» che, ha concluso Bonafede, «possa concorrere all’indispensabile rilancio del Paese». E, non a caso, il Procuratore Generale della Cassazione, Giovanni Salvi, ha ammesso «abbiamo avvertito il peso della nostra arretratezza, soprattutto nella diffusione del processo telematico», facendo riferimento, ovviamente, alle limitazioni subite a causa dell’emergenza sanitaria. Ancora più impellente, quindi, è «il perseguimento dell’obiettivo della ragionevole durata del processo, in ogni sua fase» e «operare per la nomofilachia in Cassazione, rendere cioè prevedibili le decisioni sin dagli altri gradi di giudizio», ha spiegato Salvi. Anche perché «i troppi contrasti» giurisprudenziali «sono anch’essi all’origine di un contenzioso abnorme ed impediscono la celere definizione dei processi sulla base del precedente consolidato e determinano sin dal giudizio di primo grado intollerabili disparità di trattamento di posizioni eguali». Certezze e tutele. A rappresentare l’Avvocatura Generale dello Stato ha provveduto Gabriella Palmieri Sandulli, che ha anch’ella rimarcato la necessità dell’«efficienza della giustizia» e di «risposte celeri alle istanze dei cittadini, delle imprese e anche della pubblica amministrazione». E questi obiettivi sono raggiungibili, ha spiegato l’avvocato Sandulli «attraverso una stabilità degli orientamenti giurisprudenziali quale espressione evidente del principio di certezza del diritto». E in questa ottica può essere un fattore fondamentale «l’accelerazione della digitalizzazione e della dematerializzazione», riducendo in modo significativo «l’utilizzo del cartaceo» e incremendando «l'attività telematica». A chiusura della cerimonia in Cassazione, infine, l’intervento dell’avvocato Maria Masi, in qualità di presidente del Consiglio Nazionale Forense, intervento caratterizzato da forti critiche. Secondo Masi, difatti, «è evidente quanto e come la giustizia stia pagando il prezzo di approcci semplicistici finalizzati al rimedio e mai alla soluzione, della mancata visione d’insieme, necessaria e funzionale a qualsiasi proposta di riforma, e del mancato o comunque non adeguato investimento in risorse umane, strutturali e infrastrutturali, il cui rafforzamento, al contrario, è passaggio necessario a garantire l’effettività della tutela giurisdizionale. Garanzia, questa, che, mai come nel corso dell’anno appena compiuto e, purtroppo si teme, anche per quello in corso, si rende necessaria, oltre che urgente, in conseguenza della situazione di emergenza generata dalla diffusione dell’epidemia». In questa ottica, secondo il presidente del Consiglio Nazionale Forense, però «bisognerebbe riuscire ad ammettere che la prevedibilità della durata dei procedimenti civili e penali, anche nei termini dell’auspicata ragionevolezza, è condizionata dalle risorse poche e dall’inadeguatezza degli strumenti a disposizione, non certo dalle indefettibili garanzie difensive che non vanno e non possono essere sacrificate in nome di altri interessi pubblici o privati. Essenziale, nell’esercizio della giurisdizione, il pieno svolgimento del confronto processuale». Ecco spiegata «la preoccupazione dell’avvocatura nel constatare che i progetti di riforma del processo civile e del processo penale sono orientati a spostare il baricentro delle garanzie proprie del giusto processo in un’ottica non condivisibile di mero efficientismo». E peraltro «nel corso di questi lunghi e difficili mesi l’avvocatura ha dovuto resistere al rischio di una paralisi dell’attività giudiziaria che ha fortemente inciso sull’irrinunciabile aspettativa di tutela dei cittadini, e ha dovuto subire le conseguenze di provvedimenti che non hanno ritenuto di dovere considerare, in adeguata misura, la necessità per gli avvocati di accedere, in sicurezza, agli uffici giudiziari», ha ricordato Masi. Per questo, «qualsiasi proposta di riforma della giustizia deve valorizzare la prospettiva della tutela della persona e non può limitarsi a quella prettamente economica», ha chiosato il presidente del Consiglio Nazionale Forense. Per i testi integrali delle relazioni del del Primo Presidente della Corte di Cassazione, del Procuratore Generale della Corte di Cassazione, del CNF, nonchè per l’intervento del Ministro della Giustizia, l’intervento dell’Avvocato Generale dello Stato, l’intervento del Vice Presidente del CSM, si rinvia al sito della Suprema Corte.