Negli ultimi 40 anni il rapporto tra ricchezza e reddito disponibile delle famiglie è aumentato nella gran parte dei paesi avanzati. La crisi finanziaria globale e la “Grande recessione” hanno temporaneamente interrotto la lunga fase di crescita. Successivamente, la ricchezza è tornata a crescere nella gran parte dei paesi ma con andamenti differenziati, dipendenti dall’intensità delle crisi nazionali e dalle caratteristiche dei sistemi finanziari e delle economie reali.
La ricchezza finanziaria delle famiglie italiane – detenuta sotto forma di depositi, titoli, azioni quotate e non quotate, fondi comuni, strumenti assicurativi e pensionistici privati – è pari a circa 4.400 miliardi di euro le attività reali, in gran parte immobili, sono 6.300 miliardi le passività superano i 900 miliardi tratto da La ricchezza delle famiglie italiane in sintesi, Banca d’Italia n.470 novembre 2018 . Il Presidente francese Macron recentemente ha scritto «il capitalismo che si è finanziarizzato, che si è eccessivamente concentrato, non consente più di gestire le disuguaglianze nella nostra società e a livello internazionale, a ciò possiamo rispondere solo ricostruendolo». L’economista Ann Pettifor, Direttrice di Prime, un pensatoio di macroeconomisti Keynesiani che sostengono un ritorno ad un ruolo positivo del pubblico rispetto allo strapotere attuale del privato, si esprime «contro la pazzia del capitalismo finanziarizzato». La previdenza dei professionisti, come quella dei fondi pensione che gestiscono la previdenza complementare, si è mossa nella stessa direzione impegnando il patrimonio di garanzia per le Casse e il patrimonio per i fondi pensione, sui mercati finanziari alla ricerca dell’extra rendimento in grado di contribuire, per le Casse con la contribuzione alla sostenibilità di lungo periodo, e per i fondi pensione ad arricchire i montanti individuali. «La crisi economico-finanziaria del 2007 ha dato enfasi al ruolo della dimensione individuale nei processi di finanziarizzazione dell’economia Hall, 2012 . Da un lato, la letteratura ha evidenziato la rilevanza di singoli soggetti nel definire gli attuali assetti del sistema finanziario internazionale da qui il nuovo vigore acquistato dagli studi sulle élites cfr. Barbera et al., 2016 . Dall’altro lato, un numero crescente di studi è stato dedicato ai “perdenti” della finanziarizzazione e ai suoi effetti inattesi per individui e famiglie» Shiller, 2012 . «Questo rinnovato interesse per il rapporto tra finanza e individui non nasce tuttavia dal nulla. Contributi precedenti avevano già messo in luce la pervasività di logiche e strumenti propri del capitalismo finanziario non solo nella sfera economico-produttiva, ma anche nella quotidianità dei singoli Erturk et al., 2007 Martin, 2002 . È precisamente questo che si intende con finanziarizzazione della vita quotidiana, una locuzione entrata in uso per definire la progressiva penetrazione di concezioni, strategie e dispositivi di natura finanziaria nella vita quotidiana di individui e famiglie e nella gestione delle risorse che questi hanno a disposizione» Langley, 2008 . «Il fenomeno prende forma concretamente attraverso l’impiego finanziario del risparmio privato – già accumulato o accumulabile in futuro – come assicurazione delle condizioni di benessere individuali e familiari e come canale per garantire la riproduzione sociale del nucleo. Il ricorso da parte dei singoli ai veicoli della finanziarizzazione della vita quotidiana – come gli schemi previdenziali e sanitari integrativi, i mutui ipotecari, il credito al consumo in tutte le sue forme – non avviene quindi tanto a fini speculativi, piuttosto è motivato dalla necessità di provvedere a bisogni di base e limitare l’incertezza futura Van Der Zwan 2014 Pellandini-Simányi et al., 2015 . Un compito, questo, che in passato era attribuito all’attore pubblico, ma che la crisi dello stato sociale ha contribuito a ricondurre alla sfera privata Cutler e Waine, 2001 , demandandone in misura crescente il soddisfacimento alla mediazione dei canali finanziari Martin, 2002 . In altri termini, sempre più spesso la garanzia di condizioni di vita dignitose, nel presente e/o nel futuro, è subordinata all’accesso a servizi e prodotti di natura finanziaria Dagnes e Salento, 2016 . Tale accesso non è però garantito per tutti e, anche quando avviene, le condizioni possono variare in misura sensibile per rapporto al profilo dei singoli, come vedremo nei prossimi paragrafi» Finanza e vita quotidiana la finanziarizzazione delle famiglie italiane, di Joselle Dagnes . «Se è impossibile discutere in dettaglio ogni fenomeno empirico presentato nel paragrafo precedente, così come formulare una teoria esaustiva sulla finanziarizzazione del welfare italiano, in questo paragrafo ci limitiamo a discutere alcune caratteristiche comuni dei processi in corso, mettendo l’accento su alcuni potenziali aspetti critici - con lo scopo di stimolare ulteriore ricerca e dibattito. Un primo elemento riguarda il ruolo centrale giocato dallo Stato. Non si tratta in alcun modo, infatti, di un processo di semplice de-regolazione da parte dello Stato ma piuttosto della sua selettiva mobilitazione al fine di aprire nuovi spazi all’azione dei mercati finanziari – un meccanismo che si articola tanto attraverso il ritiro dello Stato quanto attraverso incentivi politici ed economici agli attori privati e finanziari. Il ruolo dello Stato è decisivo anche nella misura in cui il bilancio pubblico resta il più importante finanziatore del welfare, attraverso la fornitura di servizi che sono la base fondamentale su cui possono svilupparsi i programmi sociali promossi dagli attori finanziari. Un secondo elemento è la crescente dipendenza del welfare dalla logica dell’investimento e della sostenibilità finanziaria, con il rischio che questa ridisegni le priorità del welfare escludendo interventi che, pure se non essendo remunerative, appaiono comunque necessarie. Di conseguenza, il concreto soddisfacimento di diritti fondamentali è demandato alla capacità degli specifici contesti di attrarre risorse attraverso la competizione con altri contesti e la contrattazione con gli investitori. In una fase di crisi economica, inoltre, gli attori finanziari possono anche ridurre il loro contributo in base all’andamento dei loro profitti, come l’andamento delle erogazioni delle Fob nell’ultimo decennio dimostra. Ciò ha anche implicazioni spaziali la diseguale distribuzione dei network finanziari può determinare la diseguale allocazione geografica degli investimenti. Un terzo elemento riguarda la crescente influenza degli attori finanziari nella programmazione delle politiche. Lo strumento del bando, largamente utilizzato dalle Fondazioni, rappresenta un potente mezzo per orientare le pratiche e dunque per esercitare potere di indirizzo sulle politiche pure senza una diretta responsabilità circa la loro implementazione [Acri 2016]. Lo stesso vale per la struttura del Sistema integrato dei fondi, che crea le condizioni per la partecipazione degli attori finanziari al processo di governance, dal fondo nazionale ai contesti territoriali. Ciò pone un problema in termini di democrazia, nella misura in cui gli attori finanziari sono soggetti privati che rispondono delle proprie scelte in primo luogo ai propri azionisti, e non alla cittadinanza. Un quarto elemento riguarda la funzione ricoperta dall’attivazione degli utenti nel welfare finanziarizzato. Retoriche focalizzate su empowerment, auto-aiuto e reti di comunità sono presenti in tutti i casi descritti. Nel caso dei progetti di edilizia sociale sostenuti da fondi di investimento, per esempio, forme di attivazione degli inquilini sono incentivate per aumentare gli standard abitativi del progetto, contribuendo così al suo successo finanziario. Un altro esempio è quello della diversificazione delle forme locative inteso come mix di nuclei famigliari con diverse capacità di solvenza. Una sorta di “mutualismo indotto” tra nuclei di reddito più e meno basso che punta a garantire la sostenibilità finanziaria del progetto. In generale, l’efficacia di questi e altri strumenti di welfare è legata in modo significativo alla capacità dei destinatari di generare valore, così come di assumersi rischio e debito, come nel caso delle forme di “condivisione del rischio” introdotto con il riassetto delle del sistema lombardo di welfare abitativo. Questi orientamenti possono favorire l’attivazione individuale, ma rischiano anche di contraddire la concezione della diseguaglianza sociale come problema collettivo, scaricando parte dei costi del welfare sugli stessi destinatari, ovvero su una fascia di popolazione caratterizzata da tratti più o meno marcati di vulnerabililità socio-economica, e basandosi in misura crescente sulla loro performatività finanziaria e disponibilità come “coinvestitori poveri”. Infine, un quinto elemento ha a che fare con il terzo settore. In questo campo, le tendenze richiamate, sia con riferimento al sistema di credito che a riguardo dell’investimento, potrebbero privilegiare gli attori più adeguati ad attirare e gestire grossi investimenti e prestiti una dinamica che favorirebbe l’aumento della già considerevole polarizzazione economica e dimensionale all’interno del settore. Inoltre, significativi cambiamenti culturali e cognitivi potrebbero contribuire a conformare i criteri di giudizio e valutazione propri del lavoro sociale a quelli degli investitori finanziari, rafforzando la tendenza alla “finanziarizzazione della valutazione”» Chiappello, 2015 . «Se questo paper si propone di aprire una più vasta e sistematica ricerca e discussione sulla finanziarizzazione del welfare italiano, suggeriamo tre possibili ambiti che potrebbero essere di interesse per la futura ricerca sul tema 1 i differenti livelli e strumenti della finanziarizzazione del welfare 2 le interazioni tra settori e sottosettori di welfare più finanziarizzati e quelli meno o per nulla toccati dal fenomeno 3 le interazioni tra i canali del credito, della filantropia, dell’investimento e di altri canali attraverso cui prende forma la finanziarizzazione del welfare» La finanziarizzazione del welfare una esplorazione del caso italiano, di Emanuele Belotti e Davide Caselli . È venuto il tempo, anche per la previdenza dei professionisti e per i fondi pensione, di pensare a un ritorno a un ruolo positivo del pubblico rispetto allo strapotere attuale del privato perché il MEF che deve controllare e che, attraverso il Mefop spa che detiene al 100%, indirizza gli investimenti è un fuor d’opera se vogliamo dirla tutta! La delocalizzazione dei capitali, la finanziarizzazione dell’economia, l’attacco sempre più profondo alle condizioni dei lavoratori, la guerra permanente per il mantenimento degli equilibri finanziari e il controllo delle materie prime sono tutti fenomeni tipici di un capitalismo che crea soltanto disuguaglianze sociali. Per Papa Francesco il capitalismo ha fallito. Nell’ultima enciclica, Jorge Mario Bergoglio ha, infatti, evidenziato che la pandemia mostra, prima di tutto, il fallimento del modello capitalistico. Con riferimento alla cosiddetta “teoria economica a cascata”, ha notato come il coronavirus dimostri che le politiche di libero mercato «non possono risolvere tutti i bisogni più gravi dell’umanità». «Il mercato da solo non può risolvere ogni problema, per quanto ci venga chiesto di credere a questo dogma di fede neoliberista. Ma la teoria del libero mercato si riproduce facendo ricorso a teorie soprannaturali dello spillover o del trickle come unica soluzione ai problemi della società». Se si proietta nei prossimi due-tre decenni la situazione attuale del sistema economico italiano e dell’assetto del suo sistema pensionistico, la parte maggioritaria di coloro che sono entrati nel mercato del lavoro a partire dalla metà degli anni Novanta, oltre ad essere penalizzati da salari bassi e saltuari nella vita attiva, lo saranno in misura correlata anche da pensionati. Questa corrispondenza verosimilmente accentuerà la penosità e l’insofferenza generate dagli squilibri sociali che si prospettano. L’aumento dell’età di pensionamento – che solo in parte potrà essere attenuato da Quota 100 – favorirà tassi di sostituzione più elevati che, però, si applicheranno a retribuzioni finali già prossime o inferiori alla soglia del reddito di povertà. Le proiezioni macroeconomiche mostrano che nei prossimi tre decenni il rapporto tra pensione media e salario medio diminuirà continuativamente, così come il rapporto tra pensione media e PIL per occupato dunque crescerà il divario tra i redditi degli attivi e quelli da pensione con inevitabili effetti negativi sul patto sociale intergenerazionale e sulla coesione sociale. Poiché i sistemi pensionistici trasferiscono parte del reddito correntemente prodotto agli anziani, la loro situazione reddituale potrà migliorare rispetto alle attese se la dinamica del PIL sarà più accentuata e se ne saranno fatti compartecipi dalle future generazioni attive. Ma per interrompere la prospettiva dell’impoverimento relativo degli anziani, occorrerà modificare l’assetto attuale del sistema pensionistico, attenuando il collegamento rigido tra le prestazioni e i contributi versati. Poiché il suo bilancio è già in attivo, persistenti prelievi a suo carico implicano un’iniqua redistribuzione del reddito a danno dei lavoratori/pensionati che ha effetti negativi anche sulla domanda e sui tassi di crescita contribuendo a ridurre il reddito corrente che oggi e in futuro può e potrà essere diviso tra le varie generazioni. La dinamica della pensione media dovrebbe essere simile a quelle del salario medio e del PIL per occupato. Per procedere in questa direzione, una misura utile sarebbe riconoscere alle attuali generazioni attive e interamente aderenti al sistema contributivo – penalizzate da storie lavorative saltuarie e poco remunerative – un importo pensionistico garantito che tenga conto degli anni di attività individuale anziché del solo montante di contributi accumulato. Un aspetto non secondario è che questa misura non peserebbe affatto sui conti pubblici attuali e sui relativi vincoli europei. Nel futuro, le maggiori prestazioni che maturerebbero andrebbero rapportate ai valori contemporanei del PIL i quali dipenderanno anche dalle politiche attuali. Iniziare a disinnescare subito il disastro sociale in formazione, iniettando nei giovani ed ex giovani di oggi qualche rassicurazione per il loro futuro, favorirebbe non solo la loro stabilità di vita attesa, ma anche la generale propensione a consumare nell’immediato e, conseguentemente, le decisioni d’investimento delle imprese che non dipendono solo e tanto dal costo del lavoro, ma anche e soprattutto dalla presenza di una domanda effettiva adeguata a quanto possono produrre. Effetti positivi ne deriverebbero anche nel contrasto alla caduta delle nascite e all’invecchiamento della popolazione che incidono in modo strutturalmente negativo sullo sviluppo economico e sui suoi equilibri. Viceversa, ogni sostituzione del sistema pubblico a ripartizione con quello privato a capitalizzazione implica la necessità di risorse aggiuntive nell’immediato, cioè di ulteriore risparmio in una situazione economica che, invece, richiederebbe maggiori consumi e investimenti. In ogni caso, lo sviluppo della previdenza privata a capitalizzazione non potrà attenuare il peggioramento annunciato degli equilibri sociali come si è già notato, l’adesione ai fondi privati è accessibile per lo più a chi ha già una storia lavorativa in grado di generare una pensione pubblica adeguata, ma non a chi – non trovandosi in questa condizione – ne avrebbe maggiormente bisogno Rapporto sullo stato sociale 2019 . Chiudiamo con le parole del Premio Nobel James Stiglitz «Credo che debba essere data ampia libertà agli uomini di negoziare gli uni con gli altri, finché non rechino danno ai terzi. Ma le istituzioni finanziarie sono responsabili dei soldi di altri. Quando falliscono, anche il nostro sistema economico fallisce e vi è un gran numero di vittime innocenti. È per questo che il governo è intervenuto con i salvataggi, non soltanto in questa occasione ma ripetutamente. Il settore finanziario ha ripetutamente mostrato che, senza regolamentazione, semplicemente non è in grado di essere responsabile della gestione di soldi altrui in modo prudente, senza mettere a repentaglio l’intera economia. E i depositanti comuni, i piccoli investitori e coloro che risparmiano per la loro pensione semplicemente non sono in grado di esercitare autonomamente un’adeguata supervisione. Questa costituisce un bene essenzialmente pubblico. Tutti beneficiamo da istituzioni finanziarie ben regolate. Le nostre istituzioni finanziarie hanno fallito, ma in parte hanno semplicemente fatto quello che fanno le imprese del settore privato, hanno massimizzato il benessere dei loro manager. Oggi abbiamo bisogno di un sistema regolatore degno del ventunesimo secolo per essere sicuri che, in futuro, essi prendano in considerazione le conseguenze più ampie delle loro azioni».