Trovate il testo del Rapporto e le slide sul sito dell’ADEPP. Nel capitolo 7 – Il quadro normativo di riferimento del settore previdenziale – si afferma che le Casse, pur svolgendo una funzione pubblica, hanno personalità giuridica di diritto privato e conseguentemente una gestione di natura privatistica.
Come ho scritto più volte, dobbiamo uscire dagli equivoci in ordine alla natura giuridica delle Casse di previdenza dei professionisti italiani. Sulla questione sono recentemente intervento le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza 01/04/2020, numero 7645 la quale, a proposito dell’ENPAM che è la più grande Cassa dei professionisti, ha testualmente affermato che «La trasformazione dell'ENPAM operata dal D.Lgs. numero 509 del 1994, pur avendo inciso sulla forma giuridica dell'ente e sulle modalità organizzative delle sue funzioni, non ha modificato il carattere pubblicistico dell'attività istituzionale di previdenza ed assistenza, che mantiene una funzione strettamente correlata all'interesse pubblico di assicurare dette prestazioni sociali a particolari categorie di lavoratori Corte Cost., sentenza numero 7 del 2017 . Al riguardo, la giurisprudenza costituzionale ha avuto modo di affermare che dal quadro così tracciato dalla riforma emerge che la suddetta trasformazione ha lasciato immutato il carattere pubblicistico dell'attività istituzionale di previdenza ed assistenza svolta dagli enti, articolandosi invece sul diverso piano di una modifica degli strumenti di gestione e della differente qualificazione giuridica dei soggetti stessi l'obbligo contributivo costituisce un corollario, appunto, della rilevanza pubblicistica dell'inalterato fine previdenziale. L'esclusione di un intervento a carico della solidarietà generale consegue alla stessa scelta di trasformare gli enti, in quanto implicita nella premessa che nega il finanziamento pubblico o altri ausili pubblici di carattere finanziario Corte Cost., sentenza numero 248 del 1997 ». Le Casse quindi rientrano tra le pubbliche amministrazioni seppur con una gestione di natura privatistica. In tutto il Rapporto, che consta in 242 pagine, non ho trovato traccia del debito previdenziale latente, del funding ratio e del tasso di sostituzione, elementi questi utili per valutare la sostenibilità di lungo periodo. Sottolineo invece i passaggi che a me sembrano molto interessanti. In questi giorni l’ISTAT ha pubblicato il suo Report sull’invecchiamento della popolazione italiana dal quale emerge che ci sono 5 pensionati per ogni nato. La pandemia in corso avrà sicuramente ulteriori effetti negativi su questo rapporto. Questo significa che tra 20 anni avremo molto lavorativi attivi in meno, molti pensionati in più, molta contribuzione in meno e quindi rischio default per l’intero sistema previdenziale italiano. In previdenza 20 anni significa semplicemente oggi perché oggi andrebbero presi tutti i provvedimenti di politica economico – sociale per affrontare, e possibilmente risolvere, questi problemi, per esempio con un massiccio aiuto alle famiglie giovani per consentire loro di procreare in tutta tranquillità economica, salvo pensare di andare a sostituire la popolazione con i migranti che oggi già sono grosso modo il 10% dell’intera popolazione. Nei professionisti fatto 100, il numero degli iscritti al 2005, si nota come mentre gli iscritti attivi siano aumentati del 23% quello dei pensionati attivi che continuano ad esercitare la libera professione dopo il pensionamento è aumentato di più del 100% mentre il numero di iscritti under 40 è diminuito dal 41% del 2005 all’attuale 28,1% mentre, nello stesso arco temporale, è aumentato il numero degli over 60 che è cresciuto dal 10% al 19%. Negli ultimi 11 anni la percentuale di iscritti donne è cresciuta notevolmente. Le iscritte donne rappresentano, al 2019, il 41% del totale ma con grosse differenze per fasce di età. Il reddito nominale dei liberi professionisti è aumentato negli ultimi 14 anni del 2,4% ma il reddito reale, deflazionato con IPCA, è sceso di quasi il 14%. I liberi professionisti under 40 guadagno 1/3 dei loro colleghi over 50. Le libere professioniste donne dichiarano il 45% in meno dei loro colleghi uomini. La media dei redditi tra le donne è di circa € 24.000,00 mentre quella tra gli uomini di € 43.000,00. I professionisti nel Sud d’Italia dichiarano un reddito del 50% inferiore ai colleghi del Nord Italia mentre i professionisti del Centro Italia dichiarano il 20% in meno. Decisamente elevate sono le differenze di reddito dei professioni che si registrano nella diverse regioni italiane. I redditi più alti vengono dichiarati dai professionisti uomini in Lombardia e Trentino Alto Adige rispettivamente con circa € 65.000,00 annui e € 61.000,00 annui. Quelli più bassi in Calabria dove una professionista dichiara poco più di € 13.000,00. In relazione al reddito di ultima istanza il numero di liberi professionisti che ne ha fatto richiesta per almeno 1 dei 3 mesi è stato di 513.882, di questi 242.569 sono donne. La distribuzione per regioni mostra un’elevata predominanza delle percentuali di richieste provenienti dal Sud d’Italia. Le entrate contributive da parte dei professionisti in 15 anni sono aumentate del 100% passando dai 5,4 miliardi di Euro del 2005 ai 10,85 miliardi di Euro del 2019. Il numero di prestazioni è aumentato del 70% e gli importi erogati del 95%. Si è passati, infatti, da 339.000 prestazioni del 2005 per 3,5 miliardi di Euro a 573.000 prestazioni del 2019 per 7 miliardi di Euro con 500 milioni di prestazioni per welfare e 500 milioni di uscite fiscali. Ragionare su questi numeri non è certo facile ma bisogna farlo per affrontare, con lungimiranza, le scelte di oggi per il domani. Non sfuggirà al lettore più attento che nel periodo 2018/2019 il tasso di crescita degli iscritti risulta inferiore al tasso di crescita delle prestazioni - 3,80% e per l’area giuridico/economica addirittura del – 6,43%. Anche il rapporto tra contributi e prestazioni presenta una variazione negativa per il 2018/2019 del – 1,43%. Traduzione in termini comprensibili, eccezione fatta per Cassa Forense che con la legge 247/2012 ha avuto circa 50 mila iscritti in più, il tasso di crescita dei professionisti risulta inferiore al tasso di crescita delle prestazioni erogate mentre la contribuzione, rispetto alle prestazioni erogate, risulta in diminuzione.