Incarico per la difesa di un ente pubblico: sono applicabili gli artt. 1341 e 1342 c.c.?

Quando i contraenti fanno riferimento alla disciplina fissata in un distinto documento al fine dell’integrazione della regolamentazione negoziale, le previsioni di quella disciplina si intendono conosciute ed approvate per relationem, assumendo pertanto il valore di clausole concordate senza necessità di una specifica approvazione per iscritto ai sensi dell’art. 1341 c.c

Sul tema la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 23194/20, depositata il 23 ottobre. Un legale aveva assistito un ente pubblico in una causa ordinaria, conclusasi positivamente per il cliente assumendo di non aver ricevuto il pagamento di alcun acconto, conveniva in giudizio l’ente ex art. 702- bis c.p.c. chiedendo la condanna del convenuto al pagamento dei compensi , ammontanti ad euro 142.465,00 per l’attività giudiziale e ad euro 28.334,00 per l’attività stragiudiziale. Si costituiva in giudizio l’ente, eccependo che a l’avvocato in data 27.10.2011 aveva chiesto di essere inserito nell’elenco dei difensori, dichiarando espressamente di aver preso visione della delibera con cui era stato approvato il regolamento per l’affidamento di incarichi ad avvocati esterni b in data 13.01.2012 il legale aveva concluso apposita convenzione c l’incarico per la difesa dell’ente era stato conferito con delibera del 22.12.2014 e con richiamo ad un decreto commissariale che prevedeva che il compenso complessivamente dovuto al professionista esterno, non poteva superare il tetto massimo di euro 3.000,00. Il Tribunale adito accoglieva parzialmente la domanda , liquidando al legale la complessiva somma di euro 6.000,00 oltre spese generali e interessi moratori. Il legale ha proposto ricorso in Cassazione avverso l’ordinanza. Il ricorso viene dichiarato in parte inammissibile e, per il resto, infondato. Uno dei motivi principali del ricorso aveva ad oggetto la violazione ed errata applicazione degli artt. 1341 e 1342 c.c Secondo la Corte la motivazione non poteva ritenersi affetta da illogicità manifesta o evidente contraddittorietà il Tribunale aveva correttamente deciso, in quanto deve ritenersi che quando i contraenti fanno riferimento alla disciplina fissata in un distinto documento al fine dell’integrazione della regolamentazione negoziale , le previsioni di quella disciplina si intendono conosciute ed approvate per relationem , assumendo pertanto il valore di clausole concordate senza necessità di una specifica approvazione per iscritto ai sensi dell’art. 1341 c.c Nel caso di specie risultava che l’ente aveva conferito un singolo incarico professionale, senza quindi la conclusione di un contratto di convenzionamento, e che la relativa delibera conteneva un esplicito richiamo alle precedenti delibere commissariali volte a contenere i costi, con la conseguenza che il contenuto del contratto d’opera professionale doveva reputarsi integrato per relationem tramite il richiamo al contenuto delle predette delibere. Non era quindi possibile contestare che il corrispettivo pattuito fosse stato determinato in misura inferiore ai minimi tariffari come consentito dalla normativa vigente ratione temporis e alla fattispecie non risultava applicabile la disciplina di cui agli artt. 1341 e 1342 c.c. in considerazione non della natura professionale del ricorrente bensì delle concrete modalità di fissazione del contenuto negoziale.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 8 – 23 ottobre 2020, n. 23194 Presidente Lombardo – Relatore Criscuolo Motivi in fatto ed in diritto della decisione L’avvocato M.L.O. conveniva in giudizio ex art. 702 bis c.p.c., dinanzi al Tribunale di Napoli l’Istituto Autonomo Case Popolari di Napoli in liquidazione d’ora in poi IACP deducendo che aveva difeso il convenuto in un giudizio svoltosi dinanzi al medesimo Tribunale, avente ad oggetto la rivendica di ben 141 appartamenti del valore complessivo di Euro 28.000.000,00, giudizio conclusosi favorevolmente per il cliente. Assumeva che, sebbene avesse agito in autotutela proponendo ricorso al Comune di Napoli ed all’Agenzia del Demanio, non aveva percepito alcun acconto e concludeva per la condanna del convenuto al pagamento dei compensi dovuti, ammontanti ad Euro 142.465 per l’attività giudiziale ed ad Euro 28.334,00 per quella stragiudiziale. Si costituiva lo IACP che evidenziava che l’attore in data 27/10/2011 aveva chiesto di essere inserito nell’elenco dei difensori dell’ente di cui al regolamento per l’affidamento di incarichi ad avvocati esterni, approvato con delibera del CdA n. 98/1012 del 4/12/2008 e successiva specificazione di cui alla delibera n. 101/1022 del 19/12/2008. Nella richiesta il M.L. aveva specificato di aver preso visione della detta Delibera e del regolamento alla stessa allegato, approvandone senza alcuna condizione o riserva il contenuto e le singole clausole. L’art. 6 del regolamento, in particolare, disponeva che gli incarichi dovevano essere regolati da apposite convenzioni e che il riconoscimento degli onorari sarebbe avvenuto in misura inferiore ai minimi tariffari e con riduzione del 30% in caso di soccombenza, abbandono o estinzione del giudizio. Si deduceva che l’attore aveva concluso apposita convenzione in data 13/01/2012 e che l’incarico per la causa in relazione alla quale erano richiesti i compensi, era stato conferito con delibera commissariale n. 1444/448 del 22/12/2014, con il richiamo ai decreti aventi ad oggetto le misure di contenimento degli oneri per il conferimento di incarichi a legali esterni. In particolare, il decreto commissariale n. 32/97, espressamente richiamato, prevedeva che il compenso complessivo dovuto al professionista esterno, escluso il rimborso delle spese vive, non poteva superare il tetto massimo di Euro 3.000,00 per i giudizi di primo grado, civili, amministrativi e tributari, con la conseguenza che il ricorrente non poteva esigere una somma superiore ad Euro 3.000,00. Il Tribunale con ordinanza del 14/3/2019 ha accolto in parte la domanda attorea, liquidando al M.L. la complessiva somma di Euro 6.000,00, oltre spese generali ed interessi al tasso di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002. Dopo avere richiamato il contenuto del regolamento per il conferimento di incarichi a legali esterni all’ente, al quale il ricorrente aveva aderito presentando domanda di inserimento nell’apposito elenco, rilevava che la delibera di conferimento dello specifico incarico prevedeva che il compenso sarebbe stato commisurato a quanto previsto nell’apposito decreto commissariale, che appunto fissava in Euro 3.000,00 il compenso massimo. Trattasi di una determinazione del corrispettivo avvenuta per relationem e con un grado di sufficiente specificità, e ciò anche avuto riguardo alla qualità professionale di avvocato del contraente. Il contratto non è affetto da nullità ed il suo contenuto era sicuramente comprensibile dal ricorrente, posto che gli atti ai quali faceva rinvio erano nella potenziale disponibilità del M.L. . Doveva poi escludersi che il bando per il convenzionamento fosse un contratto per adesione, rispetto al quale il ricorrente rivestisse la qualità di consumatore ovvero di contraente debole, atteso che non era stato concluso un rapporto di convenzionamento, ma era stato conferito un incarico professionale, che il ricorrente era libero di accettare o meno. All’epoca dei fatti era poi consentita la deroga ai minimi tariffari, nè la normativa successiva, che ha reintrodotto l’obbligatorietà dei minimi in questione, ha reso illecita la pattuizione intervenuta, posto che non si verte in materia di contratto di durata. Non incideva poi la circostanza che non fosse stata conclusa un’apposita convezione, trattandosi di una facoltà concessa all’ente che in ogni caso poteva conferire ai difensori singoli incarichi, pattuendo il compenso in base alle tariffe prestabilite. Avuto riguardo quindi alle tariffe concordate, al ricorrente andavano attribuiti i compensi in misura pari al massimo, atteso il rilievo delle questioni trattate e per un importo complessivo di Euro 6.000,00. M.L.O. ha proposto ricorso avverso tale ordinanza sulla base di quattro motivi. Lo IACP ha resistito con controricorso. Preliminarmente si rileva che il ricorrente ha depositato memorie oltre il termine prescritto dalla legge sicché le stesse non possono essere prese in esame. Il primo motivo di ricorso denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo per la controversia nonché la decisione di una questione di diritto in modo difforme dalla giurisprudenza della Corte. Ricorda il ricorrente che aveva articolato molteplici difese a contrasto delle eccezioni dello IACP, come riportate in ricorso, a fronte delle quali il Tribunale ha opposto una motivazione fondata essenzialmente sulla qualità professionale del ricorrente, che faceva presumere la conoscibilità del contenuto degli atti richiamati in occasione del conferimento dell’incarico. Inoltre, si deduce la violazione dell’art. 1340 c.c., in quanto il provvedimento gravato è carente della descrizione del percorso logico-giuridico seguito. Il motivo è inammissibile. In primo luogo, denuncia la violazione di un vizio di motivazione facendo riferimento alla formula non più applicabile ratione temporis dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come del pari risulta del tutto generica la deduzione della violazione di legge, in particolare dell’art. 1340 c.c., norma che non risulta richiamata dal giudice di merito, e di cui il ricorrente non chiarisce come risulti essere stata erratamente applicata dal Tribunale. Nè la censura risulta sussumibile nella nuova previsione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, atteso che secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia . Pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053 . Costituisce, pertanto, un fatto , agli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non una questione o un punto , ma un vero e proprio fatto , in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante Cass. Sez. 1, 04/04/2014, n. 7983 Cass. Sez. 1, 08/09/2016, n. 17761 Cass. Sez. 5, 13/12/2017, n. 29883 Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152 Cass. Sez. U., 23/03/2015, n. 5745 Cass. Sez. 1, 05/03/2014, n. 5133. Non costituiscono, viceversa, fatti , il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 le argomentazioni o deduzioni difensive Cass. Sez. 2, 14/06/2017, n. 14802 Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152 gli elementi istruttori una moltitudine di fatti e circostanze, o il vario insieme dei materiali di causa Cass. Sez. L, 21/10/2015, n. 21439 le domande o le eccezioni formulate nella causa di merito, ovvero i motivi di appello, i quali rappresentano, piuttosto, i fatti costitutivi della domanda in sede di gravame, e la cui mancata considerazione perciò integra la violazione dell’art. 112 c.p.c., il che rende ravvisabile la fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e quindi impone un univoco riferimento del ricorrente alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge Cass. Sez. 2, 22/01/2018, n. 1539 Cass. Sez. 6 - 3, 08/10/2014, n. 21257 Cass. Sez. 3, 29/09/2017, n. 22799 Cass. Sez. 6 - 3, 16/03/2017, n. 6835 . La doglianza del ricorrente si limita a denunciare la mancata considerazione di alcune delle argomentazioni difensive spese dinanzi al Tribunale, ma omette di individuare il fatto storico di cui sarebbe stata omessa la disamina, risolvendosi la censura in un’insoddisfazione per la motivazione del giudice di merito, che però non legittima la ricorribilità dinanzi a questa Corte. Il secondo motivo di ricorso denuncia l’illogicità manifesta della motivazione e la contraddittorietà del provvedimento laddove si nega l’esistenza di un rapporto di convenzionamento. Il Tribunale ha negato, infatti, che fosse stato instaurato un rapporto di convenzionamento, affermazione questa che contraddice l’affermazione secondo cui tra le parti erano vincolanti le determinazioni del contenuto contrattuale di cui alle delibere del CdA, in merito al contenimento dei costi. Il terzo motivo denuncia la violazione ed errata applicazione dell’art. 3 Cost., e degli artt. 1341 e 1342 c.c., in quanto è stata negata l’applicazione delle suddette norme del codice sol perché il ricorrente rivestiva la qualità di avvocato. I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono infondati. Questa Corte ha, infatti, affermato che cfr. Cass. n. 18041/2012 quando i contraenti fanno riferimento alla disciplina fissata in un distinto documento al fine dell’integrazione della regolamentazione negoziale, le previsioni di quella disciplina si intendono conosciute e approvate per relationem , assumendo pertanto il valore di clausole concordate senza necessità di una specifica approvazione per iscritto ai sensi dell’art. 1341 c.c. conf. Cass. n. 5578/2000 . L’ordinanza impugnata ha ritenuto che l’avv. M.L. , già al momento della richiesta di inserimento nell’elenco dei legali esterni dello IACP fosse stato reso edotto delle limitazioni di carattere generale che l’ente aveva adottato al fine del contenimento dei costi per l’assistenza in giudizio, aggiungendo poi che al momento del conferimento dell’incarico, sebbene intervenuto senza la conclusione di un apposto contratto di convenzionamento, ma facendo riferimento ad uno specifico incarico, la relativa delibera conteneva un esplicito richiamo alle precedenti delibere commissariali volte a contenere i costi, di guisa che, attesa anche la competenza professionale del ricorrente, il contenuto del contratto d’opera professionale doveva reputarsi integrato per relationem tramite il richiamo al contenuto delle delibere, così che non poteva contestarsi che il corrispettivo pattuito fosse stato determinato in misura inferiore ai minimi tariffari come appunto consentito dalla normativa vigente ratione temporis . Una volta escluso, quindi, alla luce del principio di diritto sopra richiamato, che alla fattispecie fosse applicabile la disciplina di cui agli artt. 1341 e 1342 c.c. e ciò, non in ragione della natura professionale del ricorrente, ma in considerazione delle concrete modalità di fissazione del contenuto negoziale , il richiamo alla mancanza di un rapporto di convenzionamento, al quale pur faceva riferimento l’art. 6 del regolamento allegato alla Delibera del CdA del 4 dicembre 2008 n. 98/1012, mira piuttosto a ribadire che alla fine il rapporto si era esaurito nel conferimento di un singolo incarico professionale, ma con modalità tali da assicurare che in ogni caso la disciplina delle condizioni contrattuali fosse conforme al contenuto delle delibere finalizzate a contenere al minimo gli onorari professionali dei legali esterni. Deve escludersi quindi che la motivazione sia affetta da illogicità manifesta o evidente contraddittorietà e che quindi possa incorrere nella nullità di cui all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Il quarto motivo denuncia la violazione ed errata applicazione della L. n. 247 del 2012, art. 13, avendo errato il giudice di merito nel ritenere che la richiesta di iscrizione all’elenco degli avvocati esterni avesse valore contrattuale. Nella fattispecie si è verificata una nullità parziale del contratto, cui si supplisce mediante la sostituzione automatica della clausola relativa al compenso, affetta da nullità, con la previsione di cui alla stessa L. n. 247 del 2012, art. 13, con applicazione quindi delle disposizioni di cui al D.M. n. 55 del 2014. Si sostiene che la condotta dell’ente sarebbe contraria all’art. 1337 c.c., e che la dichiarazione di inserimento nell’elenco di cui sopra equivarrebbe alla predisposizione unilaterale di una condizione contrattuale cui risulta applicabile il disposto dell’art. 1341 c.c Anche tale motivo deve essere disatteso. Richiamato quanto sopra esposto in merito all’inapplicabilità dell’art. 1341 c.c., nel caso di richiamo per relationem al contenuto di atti esterni, ed esclusa la ricorrenza di una violazione dell’art. 1337 c.c., alla luce dell’accertamento compiuto dal giudice di merito che ha sostenuto che le modalità di rinvio al contenuto delle delibere commissariali, pienamente disponibili per il ricorrente, consentisse a quest’ultimo di avvedersi dell’effettivo contenuto del contratto concluso, senza che sia stata violata la regola della buona fede nella fase delle trattative, l’ordinanza ha ritenuto che fosse intervenuta una deroga convenzionale alle previsioni tariffarie, come consentito dalla normativa vigente, risultando quindi priva di fondamento la deduzione secondo cui la previsione negoziale in parte qua sarebbe affetta da nullità. Il ricorso deve pertanto essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013 , che ha aggiunto l’art. 13, comma 1 quater, del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi ed accessori di legge Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.