Opting out in Cassa Forense

Si tratta di consentire a una platea di almeno 100 mila avvocati di non versare i contributi minimi obbligatori che la riforma della mia presidenza aumentò, congelandoli nel tempo, per meglio finanziare le pensioni minime, che sono la stragrande maggioranza e contenere il debito previdenziale latente.

La super commissione in Cassa Forense dovrebbe quindi abolire i contributi minimi per renderli proporzionali al reddito così da intercettare le aspettative di almeno 100 mila avvocati. L’opting out è però difficile da realizzare perché comporta, proprio per i più giovani, la riduzione della tutela obbligatoria oltre al peggioramento del bilancio della fondazione. Come scrivevo nel 2014, nel mio articolo La infrazionabilità degli anni di iscrizioni ai fini pensionistici in Cassa Forense , la previdenza è un puzzle da maneggiare con cura e quindi richiede grande competenza e professionalità nel muovere i pezzi proprio per evitare l’effetto domino che può portare al crollo dell’intero sistema previdenziale. Oggi l’opting out è reso problematico, dal sistema di finanziamento a ripartizione, dall’esistenza di 30 mila pensioni in essere, quasi tutte retributive mediamente paghi 1 e prendi 4 senza possibilità di agire con contribuzione di solidarietà per il divieto ormai consolidatosi nella giurisprudenza di legittimità. Ovviamente all’interno di una stessa categoria di lavoratori non si possono creare delle gabbie previdenziali e quindi, a mio avviso, l’intero sistema previdenziale forense dovrà essere ridisegnato cercando di conciliare le opposte esigenze. Io capisco che i giovani avvocati di oggi, con i modestissimi redditi di cui dispongono, non possano pensare alla previdenza perché impegnati nella sopravvivenza, ma la fondazione dovrebbe introdurre, al posto del tanto discusso welfare attivo, una contribuzione figurativa proprio per garantire la continuità dello zainetto previdenziale e la garanzia del trattamento previdenziale alla fine del percorso lavorativo.