L’avvocato negligente non risarcisce la società per la causa persa contro il lavoratore licenziato illegittimamente

È stata confermata la pronuncia con cui è stata rigettata la domanda di risarcimento dei danni da responsabilità professionale proposta contro l’avvocato ritenuto negligente nella causa persa dalla società contro il lavoratore licenziato illegittimamente.

Così la Cassazione con ordinanza n. 18064/20 depositata il 31 agosto. La società ricorre per cassazione avverso la sentenza con cui la Corte d’Appello ha confermato il rigetto della domanda di risarcimento danni da responsabilità professionale proposta contro l’ avvocato e fondata sulla prospettata dipendenza dell’esito negativo di una controversia avente ad oggetto il licenziamento ritenuto illegittimo di un dipendente dalla sua negligenza professionale. Ebbene, posto che la corte territoriale ha confermato il rigetto della domanda risarcitoria sulla base del fatto che, se anche l’avvocato avesse prodotto gli atti della fase cautelare , indicando i mezzi processuali e le richieste istruttorie utili a provare le condotte poste in essere dal dipendente, il licenziamento sarebbe stato comunque illegittimo e, dunque, la relativa declaratoria non è dipesa dalle prospettate carenze dell’attività processuale, ma dal difetto dei presupposti di legittimità del licenziamento, la Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato relativamente al primo motivo proposto dalla società. In particolare, la Suprema Corte ha affermato che non vi è vera contraddizione tra la preliminare valutazione di inammissibilità - per difetto di specifica impugnazione della ratio di primo grado sul carattere dirimente della sussistenza dell’illegittimità del licenziamento anche a prescindere dalle rilevate omissioni defensionali - e la disamina nel merito con valutazione di infondatezza, siccome entrambe incentrate sul carattere non decisivo del fatto indicato come generatore del danno . Pertanto, la motivazione della gravata sentenza è stata ritenuta pienamente intelligibile, congruente in fatto e in diritto e priva di gravissimi vizi rilevanti, in quanto univoca e certa nell’esclusione del nesso causale tra le negligenze - pure riscontrate come sussistenti - e il danno esposto, per una valutazione di ininfluenza di quelle sull’esito, pure infausto, della lite con il dipendente licenziato .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 16 giugno – 31 agosto 2020, n. 18064 Presidente Amendola – Relatore De Stefano Rilevato che la TLC.COM srl ricorre, affidandosi ad atto articolato su tre motivi e notificato a mezzo p.e.c. il 13/05/2019, per la cassazione della sentenza del 13/11/2018 della Corte di appello di Firenze, di rigetto del suo appello avverso la reiezione della domanda di risarcimento danni da responsabilità professionale, proposta contro l’avv. D.D.A. , che aveva chiamato in causa la sua assicuratrice r.c. UnipolSAI ass.ni, fondata sulla prospettata dipendenza dalla sua negligenza professionale dell’esito infausto di una controversia per il licenziamento di un dipendente degli intimati resiste con controricorso il solo avv. D.D.A. è stata formulata proposta di definizione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1, come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. e , conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197. Considerato che la corte territoriale ha confermato il rigetto della domanda risarcitoria per avere apprezzato che, anche se il professionista avesse prodotto gli atti della fase cautelare, indicando i mezzi processuali e le richieste istruttorie utili a provare le condotte poste in essere dal dipendente, il licenziamento sarebbe stato comunque illegittimo, sicché la relativa declaratoria non è dipesa dalle prospettate carenze dell’attività processuale, ma dal difetto dei presupposti di legittimità del licenziamento e tanto in base alle univoche affermazioni in tal senso della sentenza del giudice del lavoro a definizione della controversia in cui il D. aveva svolto il suo incarico in modo prospettato dalla cliente come inadeguato la ricorrente formula tre motivi un primo, di nullità della sentenza per violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4 , in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 un secondo, di violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 116 c.p.c. un terzo, di omessa valutazione di un fatto storico decisivo risultante dagli atti di causa ex art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione all’art. 1176 c.c., comma 2 il primo motivo è manifestamente infondato, poiché non vi è vera contraddizione tra la preliminare valutazione di inammissibilità - per difetto di specifica impugnazione della ratio di primo grado sul carattere dirimente della sussistenza dell’illegittimità del licenziamento anche a prescindere dalle rilevate omissioni defensionali - e la disamina nel merito con valutazione di infondatezza, siccome entrambe incentrate sul carattere non decisivo del fatto indicato come generatore del danno in tal modo, la motivazione della gravata sentenza sussiste, pienamente intelligibile, congruente in fatto e in diritto, priva di quei soli gravissimi vizi ormai rilevanti ai sensi di Cass. Sez. U. n. 8053/14, in quanto univoca e certa nell’esclusione del nesso causale tra le negligenze - pure riscontrate come sussistenti - e il danno esposto, per una valutazione di ininfluenza di quelle sull’esito, pure infausto, della lite con il dipendente licenziato tale conclusione implica che la valutazione di inammissibilità del gravame per carenza del requisito di specificità ai sensi dell’art. 342 c.p.c., non resa oggetto in sé sola considerata di una censura specifica, rende irrilevante ogni ulteriore argomentazione nel merito fin da Cass. Sez. U. 20/02/2007, n. 3840 e tanto elide in radice l’interesse ad impugnare le ragioni di merito, oggetto degli altri motivi i quali sono pertanto inammissibili il ricorso, infondato il primo motivo ed inammissibili gli altri, va quindi rigettato e la soccombente ricorrente condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità va infine dato atto - mancando ogni discrezionalità al riguardo tra le prime Cass. 14/03/2014, n. 5955 tra moltissime altre Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245 - della sussistenza dei presupposti processuali a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315 per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato eventualmente dovuto per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito. P.Q.M. rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.