Assicurazione per la responsabilità civile dell’avvocato: la strategia processuale è decisiva

Con l’ordinanza n. 14481/20 del 9 luglio la III sezione Civile della Cassazione interviene su due profili delicati dell’assicurazione della responsabilità civile l’individuazione del fatto costitutivo della pretesa dell’assicurato e del momento dell’insorgenza della mora dell’assicurazione nonché il rapporto tra la sentenza di condanna dell’assicurato e gli obblighi dell’assicurazione quando questa non abbia preso parte al primo giudizio.

Come avremo modo di mettere in evidenza dopo la ricostruzione della Suprema Corte in sul momento e le condizioni in presenza delle quali nasce l’obbligo di indennizzo dell’assicurazione per la responsabilità civile, l’adozione di un’ efficace strategia processuale ma anche un cambiamento di indirizzo della giurisprudenza è condizione necessaria per limitare gli effetti pregiudizievoli da parte del cliente. Ebbene, per comprende meglio il portato della sentenza è bene muovere dalla ricostruzione del caso deciso. Era accaduto che un avvocato fosse stata condannata in primo grado a risarcire il danno subito dal cliente a causa di un inadempimento professionale . A quel punto l’avvocato – pur sottolineando che la pretesa del cliente fosse del tutto priva di fondamento come effettivamente confermerà poi il giudice di appello con sentenza passata in giudicato - chiese all’ Assicurazione che non aveva partecipato al giudizio di tenerla indenne dalla pretesa del cliente. Senonché, l’Assicurazione non aveva provveduto alla liquidazione della somma e, nelle more del giudizio di appello con il cliente, l’avvocato aveva agito in giudizio per sentir condannare l’assicurazione a a tenerla indenne dalle pretese del cliente vittorioso in primo grado e b a risarcirle il danno subito per effetto dell’inadempimento consistito b.1 nelle spese sostenute per contrastare l’azione esecutiva iniziata dal cliente in base alla sentenza di primo grado e b.2 negli interessi passivi pagati sul mutuo contratto per evitare la prosecuzione dell’espropriazione saldando il dovuto. Mentre la prima domanda fu oggetto di rinuncia in ragione della riforma della sentenza che aveva condannato l’avvocato, la domanda risarcitoria è quella poi giunta all’attenzione della Suprema Corte dopo che il giudice di primo grado rigettò la domanda dell’avvocato mentre la Corte di appello l’aveva accolta. Inadempimento e mora dell’assicurazione. Orbene, il primo profilo attiene all’individuazione del momento a partire dal quale l’assicurazione può essere definita inadempiente al contratto con l’assicurato. Secondo la Corte di appello quel momento doveva essere individuato nella mancata liquidazione a seguito della richiesta del danneggiato di ottenere l’indennizzo senza che fosse rilevante la circostanza che l’obbligo dell’assicurato di versare le somme fosse consacrato in una sentenza provvisoriamente esecutiva. Senonché, per la Corte di Cassazione l’obbligo indennitario di cui agli artt. 1892-1917 c.c. scaturisce dall’avversarsi del rischio descritto nel contratto, e non dalla richiesta dell’assicurato . Inoltre – dando seguito ad un precedente orientamento espresso sempre dalla terza sezione con la sentenza n. 28811 dell’8 novembre 2019 – per la Suprema Corte l’insorgenza dell’obbligo dell’assicurazione di indennizzare il cliente id est il momento in cui il cliente ha causato il danno al terzo non comporta ipso iure l’insorgenza della mora . Ne deriva che l’ assicuratore può essere ritenuto in mora solo dopo che sia decorso il tempo ragionevolmente occorrente, ad un diligente assicuratore, per accertare la sussistenza della responsabilità dell’assicurato e per liquidare il danno e sempre che vi sia stata una efficace costituzione in mora da parte dell’assicurato stesso . Lasso di tempo rispetto a cui il cliente – precisava la Corte - potrà ricorrere agli strumenti sollecitatori come la diffida ad adempiere di cui all'articolo 1454 c.c. e l' actio interrogatoria. E la sentenza di condanna del cliente? Se questo è il quadro di riferimento e, cioè, che il fatto costitutivo della pretesa del cliente nei confronti dell’assicurazione è quello di aver effettivamente causato un danno a terzi con una condotta colposa, la Corte precisa anche quale ruolo gioca la condanna di primo grado dell’avvocato a risarcire il danno. La questione riguarda uno dei temi classici del diritto processuale civile dal momento che implica la soluzione al quesito degli effetti della sentenza resa tra assicurato e danneggiato nei confronti dell’assicurazione che non ha preso parte al giudizio. Quella sentenza costituisce rispetto all’assicuratore una res inter alios acta e non ha l’efficacia del giudicato né diretta, né riflessa . Tuttavia, la circostanza che l’assicurato sia stato condannato, con sentenza passata in giudicato al risarcimento del danno in favore di un terzo, può costituire un serio indizio della sussistenza d’una responsabilità civile dell’assicurato, ma non fa sorgere ipso iure l’obbligo indennitario in capo all’assicuratore, ove quest’ultimo non abbia partecipato al relativo giudizio . Sussisterà, quindi, inadempimento dell’assicurazione soltanto se il giudice con prognosi postuma, cioè, con riferimento al momento in cui l’assicuratore ha ricevuto la richiesta di indennizzo alla luce di tutte le circostanze ivi compresa la presenza di una sentenza di condanna di primo grado ancorché senza valenza decisiva non avendo l’assicurazione preso parte al primo giudizio abbia accertato che l’assicuratore abbia rifiutato il pagamento senza attivarsi per accertare la sussistenza di un fatto colposo addebitabile all’assicurato oppure nel caso in cui gli elementi in suo possesso evidenziavano la sussistenza d’una responsabilità dell’assicurato non seriamente contestabile . Nesso di causa tra inadempimento e danno. Una volta chiarito quest’aspetto la sentenza si pronuncia anche su un ulteriore profilo e, cioè, quello relativo al nesso di causa tra l’ipotetico ipotetico in quanto dovrà essere accertato dal giudice del merito in sede di rinvio inadempimento e il risarcimento del danno chiesto dal cliente. Per la Suprema Corte nel caso di specie le poste risarcitorie chieste dal cliente all’assicurazione non paiono risarcibili . Quanto ai costi della procedura esecutiva subita” sub specie di spese di soccombenza id est gli importi versati al creditore procedente tuttavia la scelta di mettere in esecuzione un provvedimento giudiziario non ancora passato in giudicato costituisce un atto umano cosciente e volontario idoneo ad interrompere il nesso causale tra inadempimento e danno sicché le relative spese sostenute dal cliente dell’assicurazione non costituiscono un effetto necessitato”. Quanto, poi, ai costi della procedura esecutiva subita” sub specie di spese di resistenza intese come le spese sostenute per opporsi all’esecuzione la Suprema Corte richiama l’attenzione su ciò che occorrerà senz’altro valutare – per non incorrere in una violazione dell’art. 1227 c.c. se il contrasto alla pretese esecutiva fosse stato oculato od avventato . Attenzione alla strategia processuale. Alla luce di quanto si qui affermato dalla Cassazione ancora una volta emerge con chiarezza che se l’assicurato vorrà limitare gli effetti pregiudizievoli in caso di soccombenza nei confronti del danneggiato dovrà necessariamente avere cura di chiamare in causa l’assicuratore per la responsabilità civile. Solo in questo caso, in linea con i principi processuali, infatti, a eviterà il rischio di incappare in giudicati contrastanti, ma, soprattutto, b otterrà la condanna dell’assicurazione a tenerlo indenne immediatamente esecutiva anch’essa. Soltanto in questo modo avrà coperte le spalle” in una fattispecie come quella in esame invero del tutto peculiare il cliente si è sempre professato non colpevole” e a ragione visto l’esito del giudizio , ma proprio questo e magari l’evidenza di questo sembra legittimare l’assicurazione a non pagare nelle more e l’esito del giudizio cliente-danneggiato conferma questo . Quel legittimo non pagare, però, determina che il cliente è tenuto – in forza della provvisoria esecutività – a sopportare costi poi magari risarcibili ex art. 96, comma 2 c.p.c. per ottemperare alla sentenza. Questa ipotesi può essere coperta” chiamando in giudizio l’assicurazione ed esercitando la domanda di garanzia nel medesimo processo e ciò a meno che il nuovo orientamento che la sentenza in commento intende seguire non avrà effetti processuali anche sul rapporto tra domanda principale e domanda di garanzia. La chiamata in causa del terzo, quindi, rappresenta una scelta strategica importante e delicata tanto che la giurisprudenza dovrebbe superare quell’orientamento potenzialmente restrittivo che non ritiene il giudice obbligato ad autorizzare la chiamata in causa del terzo di cui alla sentenza delle Sezioni Unite 23 febbraio 2010, n. 4309. Ed infatti, se l’ordinamento riconosce alla parte la possibilità di evitare contrasti di giudicati o, comunque, effetti pregiudizievoli tramite la chiamata in causa non posso limitare quella facoltà neppure per invero indimostrate esigenze di ragionevole durata del processo.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 20 febbraio – 9 luglio 2020, n. 14481 Presidente Scoditti – Relatore Rossetti Fatti di causa 1. Secondo quanto riferito nel ricorso M.S., di professione avvocato, nel 1998 chiese ed ottenne un decreto ingiuntivo nei confronti di B.M., avente ad oggetto il pagamento di compensi professionali. L'intimato propose opposizione al decreto e, in via riconvenzionale, dedusse che l'avv. M.S. aveva adempiuto negligentemente il proprio mandato, chiedendone in via riconvenzionale la condanna al risarcimento del danno. Introdusse poi un autonomo giudizio nei confronti dell'avv. M.S., avente ad oggetto la medesima causa petendi ma un minore petitum, che venne riunito al primo. 2. Le pretese del cliente vennero accolte all'esito del giudizio di primo grado, e l'avv. M.S. condannata al risarcimento del danno. La parte vittoriosa avviò l'esecuzione forzata della sentenza di primo grado, procedendo ad un pignoramento presso terzi in danno dell'avv. M.S La sentenza di condanna dell'avv. M.S. venne tuttavia riformata in appello, e la domanda del cliente rigettata. Tale statuizione passò in cosa giudicata nel 2011. 3. Pendente la suddetta controversia tra avvocato e cliente, nel 2005 M.S. convenne dinanzi al Tribunale di Modena il proprio assicuratore della responsabilità civile professionale, ovvero la società Assicuratrice Milanese s.p.a L'attrice dedusse che, essendo stata condannata sia pure con sentenza non definitiva a risarcire il proprio cliente, il proprio assicuratore della responsabilità civile avrebbe dovuto tenerla indenne da tale pretesa. Per contro, il rifiuto dell'assicuratore di versare l'indennizzo nelle mani del terzo danneggiato l'aveva costretta a contrarre un mutuo, per far fronte alle obbligazioni scaturenti dalla suddetta sentenza non definitiva, ed a sostenere ulteriori spese per contrastare la procedura di pignoramento presso terzi iniziata dalla controparte. In base a tali deduzioni l'attrice domandò la condanna della convenuta a a tenerla indenne dalle pretese del proprio cliente, per come accolte dalla sentenza pronunciata all'esito del primo grado del separato giudizio sulla responsabilità professionale b al risarcimento del danno patito in conseguenza dell'inadempimento dell'assicuratore, e consistito b' nelle spese sostenute per contrastare l'azione esecutiva iniziata dalla controparte in base alla sentenza di primo grado b negli interessi passivi pagati sul mutuo di cui si è detto. Nel corso del giudizio l'attrice rinunciò alla domanda sub a , in seguito alla riforma della sentenza che l'aveva condannata, ed al rigetto della pretesa risarcitoria avanzata dal proprio cliente. 4. Con sentenza 7 agosto 2012 n. 1352 il Tribunale di Modena rigettò la domanda. Il Tribunale ritenne che, poichè la sentenza di condanna del professionista al risarcimento del danno nei confronti del cliente era stata riformata in appello, il rischio coperto dall'assicurazione la responsabilità civile dell'avvocato non si era mai avverato, sicchè nessun inadempimento colposo poteva essere ascritto all'assicuratore. 5. La sentenza di primo grado venne appellata da M.S La Corte d'appello di Bologna, con sentenza 8 marzo 2018 n. 639 accolse il gravame, e condannò la Assicuratrice Milanese al pagamento in favore di M.S. della somma di Euro 29.307,33, oltre accessori, a titolo di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale. Tale importo venne determinata dalla Corte d'appello sommando due addendi a la somma di Euro 19.722,33, pari ai costi della procedura esecutiva subita dall'avvocato M.S. a motivo dell'inadempimento dell'assicuratore b la somma di Euro 9.585, a titolo di interessi sul prestito bancario corrisposti sino al momento della restituzione al mutuante della somma richiesta per eseguire la sentenza di condanna di primo grado . Ritenne la Corte d'appello che - l'assicuratore della responsabilità civile ha l'obbligo di tenere indenne l'assicurato delle conseguenze pregiudizievoli di un fatto da lui commesso, e tale obbligo sorge nel momento in cui l'assicurato richiede all'assicuratore il pagamento dell'indennizzo - nel caso di specie, l'assicuratore doveva ritenersi inadempiente perchè era rimasto inerte alla richiesta della assicurata di versare l'indennizzo direttamente nelle mani del terzo danneggiato, ai sensi dell'art. 1917 c.c., comma 2 - era irrilevante la circostanza che l'assicurata fosse stata condannata al risarcimento del danno nei confronti del terzo con una sentenza ancora impugnabile, giacchè il passaggio in giudicato della sentenza di condanna nei confronti dell'assicurato non è il presupposto per l'insorgenza della responsabilità dell'assicuratore per inadempimento. 5. La sentenza d'appello è stata impugnata per cassazione dalla Assicuratrice Milanese con ricorso fondato su tre motivi. Ha resistito M.S. con controricorso illustrato da memoria. Ragioni Della Decisione 1. Col primo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 1176,1917 e 2697 c.c., nonchè dell'art. 282 c.p.c Nella illustrazione del motivo la società ricorrente deduce che erroneamente la Corte d'appello ha ritenuto sussistere l'inadempimento dell'assicuratore agli obblighi scaturenti dal contratto che, infatti, l'assicuratore della responsabilità civile può dirsi inadempiente solo quando rifiuti il pagamento dell'indennizzo dinanzi ad una ipotesi di evidente responsabilità dell'assicurato che, nel caso di specie, non solo la responsabilità dell'assicurata non era affatto evidente, ma, al contrario, emergeva evidente la sua assenza di colpa che, del resto, era stata la stessa assicurata M.S., nell'inviare all'assicuratore la denuncia di sinistro, a dichiarare che la pretesa del proprio cliente era assolutamente priva del benchè minimo fondamento . 1.1. Il motivo è fondato. La Corte d'appello ha ritenuto sussistente l'inadempimento dell'assicuratore sulla base di due affermazioni in diritto a l'obbligo dell'assicuratore della responsabilità civile di tenere indenne l'assicurato sorge nel momento in cui l'assicurato richiede l'assicuratore il pagamento dell'indennizzo così la sentenza impugnata, pagina 7, secondo capoverso b nel caso di specie la responsabilità dell'assicuratore andava perciò affermata alla luce delle numerose intimazioni inoltrate dall'avvocato M. al proprio assicuratore dopo la sentenza di condanna di primo grado ibidem, ultimo capoverso . 1.2. Queste affermazioni non possono essere condivise. Quanto alla prima, basterà osservare che l'obbligo indennitario di cui agli artt. 1892-1917 c.c. scaturisce dall'avverarsi del rischio descritto nel contratto, e non dalla richiesta dell'assicurato. Quanto alla seconda questa Corte con recente decisione, cui va data in questa sede continuità, riesaminando funditus il problema della mora dell'assicuratore della responsabilità civile, ha stabilito che a nell'assicurazione della responsabilità civile l'obbligo dell'assicuratore di indennizzare l'assicurato sorge nel momento in cui quest'ultimo causi un danno a terzi b l'insorgenza dell'obbligo non comporta ipso iure l'insorgenza della mora c l'assicuratore può essere ritenuto in mora nel pagamento dell'indennizzo solo dopo che sia decorso il tempo ragionevolmente occorrente, ad un diligente assicuratore, per accertare la sussistenza della responsabilità dell'assicurato e per liquidare il danno, e sempre che vi sia stata una efficace costituzione in mora da parte dell'assicurato stesso Sez. 3 -, Sentenza n. 28811 del 08/11/2019, Rv. 655963 - 04 . 1.3. Ne consegue che la Corte d'appello, per poter ritenere sussistente l'inadempimento contrattuale da parte della Assicuratrice Milanese, non avrebbe potuto limitarsi a rilevare l'esistenza di una richiesta di indennizzo rivoltale dall'assicurata e rimasta inevasa. Avrebbe dovuto, per contro, stabilire se l'assicurata aveva effettivamente causato un danno a terzi con una condotta colposa e se alla luce degli atti disponibili per l'assicuratore al momento in cui ricevette la richiesta di pagamento dell'indennizzo ivi compresa la stessa denuncia di sinistro formulata dall'assicurata , potesse ritenersi o meno negligente, ai sensi dell'art. 1176 c.c., comma 2, la scelta dell'assicuratore di rifiutare il pagamento dell'indennizzo. 1.4. Deve ancora aggiungersi che la circostanza che l'assicurato sia stato condannato, con sentenza non passata in giudicato, al risarcimento del danno in favore di un terzo, può costituire un serio indizio della sussistenza d'una responsabilità civile dell'assicurato, ma non fa sorgere ipso iure l'obbligo indennitario in capo all'assicuratore, ove quest'ultimo non abbia partecipato al relativo giudizio. La sentenza pronunciata tra l'assicurato il terzo danneggiato, infatti, costituisce rispetto all'assicuratore una res inter alios acta, e non ha l'efficacia del giudicato nè diretta, nè riflessa Sez. 3 -, Sentenza n. 18325 del 09/07/2019, Rv. 654774 - 01 . Il giudizio sulla esistenza d'un inadempimento colpevole dell'assicuratore dovrà dunque certamente tenere conto del fatto che, al momento della richiesta di pagamento dell'indennizzo da parte dell'assicurato, quest'ultimo era già stato condannato al risarcimento, sia pure con una pronuncia non ancora definitiva quel giudizio, però, non potrà prescindere dalla considerazione dei contenuti di quella sentenza, della sua condivisibilità, e della condotta dell'assicurato, nel caso in cui questi abbia sempre negato, nel rapporto con l'assicuratore, di avere tenuto una condotta colposa e fonte di responsabilità. Tale giudizio, nella sentenza impugnata, è mancato. La sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio alla Corte d'appello di Bologna, la quale nel riesaminare l'appello applicherà il seguente principio di diritto l'assicuratore della responsabilità civile non può essere ritenuto inadempiente all'obbligo di pagamento dell'indennizzo per il solo fatto che, ricevuta la relativa richiesta dall'assicurato, abbia omesso di provvedervi. Il suddetto inadempimento può dirsi sussistente soltanto nel caso in cui l'assicuratore abbia rifiutato il pagamento senza attivarsi per accertare, alla stregua dell'ordinaria diligenza professionale di cui all'art. 1176 c.c., comma 2, la sussistenza di un fatto colposo addebitabile all'assicurato oppure nel caso in cui gli elementi in suo possesso evidenziavano la sussistenza d'una responsabilità dell'assicurato non seriamente contestabile. Il relativo accertamento deve essere compiuto dal giudice di merito con prognosi postuma, cioè con riferimento al momento in cui l'assicuratore ha ricevuto la richiesta di indennizzo, e valutando tutte le circostanze del caso concreto, ivi compresa la condotta dell'assicurato, ma senza limitarsi a dare rilievo esclusivo ed assorbente ad una sentenza di condanna non definitiva a carico dell'assicurato, quando l'assicuratore non abbia preso parte al relativo giudizio . 2. Col secondo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell'art. 40 c.p Deduce che erroneamente la Corte d'appello ha ritenuto sussistente un valido nesso di causa tra l'inadempimento ascrittole, e il danno lamentato da M.S Espone che le spese da sostenute dall'assicurata per contrastare la pretesa esecutiva dei propri clienti dovevano essere addossate a questi ultimi, i quali avevano accettato il rischio di mettere in esecuzione una sentenza non ancora passata in giudicato e che in ogni caso il danno non era risarcibile ai sensi dell'art. 1227 c.c., poichè l'assicurata avrebbe dovuto pretendere la restituzione di quanto pagato dai suoi clienti, e non dal suo assicuratore. 2.1. Il motivo è fondato. La Corte d'appello ha accordato a M.S., a titolo di risarcimento del danno causato dall'inadempimento colpevole dell'assicuratore, la somma di Euro 19.722,33, derivante dai costi della procedura esecutiva subita dall'avvocato M.S. . La sentenza impugnata non chiarisce se con la suddetta espressione abbia inteso designare gli importi versati da M.S. ai creditori procedenti spese di soccombenza , oppure le spese sostenute da M.S. in proprio per contrastare la loro iniziativa spese di resistenza . Tuttavia nell'uno, come nell'altro caso, nell'accogliere la relativa domanda la Corte d'appello ha violato le regole sulla causalità materiale. 2.1. Se con l'espressione costi della procedura esecutiva subita la Corte d'appello avesse inteso designare le spese sostenute dai creditori procedenti, ed a loro pagate dalla debitrice esecutata, tale valutazione violerebbe l'art. 40 c.p Infatti la scelta di mettere in esecuzione un provvedimento giudiziario non ancora passato in giudicato costituisce un atto umano cosciente e volontario. L'atto umano cosciente e volontario di un terzo è di per sè idoneo ad interrompere il nesso causale tra inadempimento e danno. Ed infatti, poichè è facoltà del creditore mettere o non mettere in esecuzione la sentenza non definitiva a lui favorevole, quella esecuzione e le conseguenti spese non costituirono un effetto necessitato rispetto all'inadempimento dell'assicuratore. Sicchè, mancando la necessità della conseguenza, mancava la riferibilità di questa all'inadempimento. 2.2. Se con l'espressione costi della procedura esecutiva subita la Corte d'appello avesse inteso designare le spese sostenute da M.S. per contrastare la pretesa esecutiva dei creditori procedenti, tale valutazione violerebbe l'art. 1227 c.c Ed infatti la Corte d'appello avrebbe dovuto accertare ed indicare in motivazione innanzitutto su quali argomenti l'opponente avesse fondato la propria eventuale opposizione all'esecuzione, e se quegli argomenti avessero una qualche probabilità di essere accolti. Avrebbe dovuto, in definitiva, valutare se il contrasto alla pretesa esecutiva fosse stato oculato od avventato. 3. Col terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione del principio di non contestazione. Deduce che gli importi pretesi dall'attrice a titolo di risarcimento del danno, ed accordati dalla Corte d'appello, sono stati da quest'ultima ritenuti non contestati dalla società odierna ricorrente. Espone tuttavia l'Assicuratrice Milanese che il quantum debeatur preteso dall'attrice era stato contestato con la memoria di replica depositata ai sensi dell'art. 184 c.p.c., nel testo vigente ratione temporis. 3.1. Il motivo è fondato, dal momento che, nel depositare la seconda memoria di cui all'art. 184 c.p.c. nel giudizio di primo grado, la società Assicuratrice Milanese aveva effettivamente dichiarato di contestare espressamente i documenti prodotti dalla parte attrice con la prima memoria di cui all'art. 184 c.p.c., ovvero i documenti dimostrativi dell'ammontare del danno. 4. Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio. P.Q.M. - accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d'appello di Bologna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.