Prescrizione dell’azione cambiaria e creditore a bocca asciutta: l’avvocato risponde dei danni cagionati al cliente

SI configura la responsabilità per inadempimento professionale dell’avvocato nei confronti del cliente in caso di incuria e di ignoranza delle disposizioni di legge, ma anche nei casi in cui per negligenza od imperizia il legale abbia compromesso il buon esito del giudizio.

Così la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 13875/20, depositata il 6 luglio. Un avvocato veniva convenuto dinanzi al Tribunale di Roma per il risarcimento dei danni da inadempimento professionale invocato dall’attore, suo ex cliente, che lamentava il fatto che il legale avesse fatto maturare la prescrizione dell’azione cambiaria con rifermento a diversi titoli per la quale gli aveva conferito mandato. La prescrizione aveva infatti impedito la possibilità di recuperare l’intero ammontare del credito vantato. Il Tribunale rigettava la domanda attorea ma la Corte d’Appello ribaltava la decisione. La questione è dunque giunta all’attenzione della Suprema Corte. Il Collegio precisa in primo luogo che l’ azione di risarcimento danni da inadempimento professionale, avendo carattere contrattuale , si prescrive nel termine ordinario decennale e pertanto alla data della notifica della citazione in primo grado non poteva dirsi prescritta. Viene così rigettato il primo motivo di doglianza, mentre la seconda doglianza, che lamenta la violazione degli artt. 1176 Diligenza nell’adempimento e 2236 Responsabilità del prestatore d’opera c.c. , non risulta formulata in modo idoneo in quanto omette l’indicazione dei problemi di speciale difficoltà che il legale avrebbe incontrato nel caso di specie al fine dell’esclusione della responsabilità. L’avvocato ricorrente si limita infatti ad invocare una diversa valutazione della diligenza professionale esigibile. Sul tema la Corte richiama inoltre il consolidato principio secondo cui, in applicazione degli artt. 2236 1176, comma 2, c.c. l’ avvocato si considera responsabile nei confronti del suo cliente in caso di incuria e di ignoranza delle disposizioni di legge, ma anche nei casi in cui per negligenza od imperizia abbia compromesso il buon esito del giudizio. Nei casi di interpretazioni di leggi o di risoluzione di questioni opinabili deve invece ritenersi esclusa la responsabilità dell’avvocato salvo dolo o colpa grave cfr. Cass.Civ. n. 11612/20 . In conclusione, la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 17 febbraio – 6 luglio 2020, n. 13875 Presidente Travaglino – Relatore Valle Fatti di causa 1. D.G.D. citò in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, nel 2014, l’avvocato L.C. , chiedendone la condanna al risarcimento dei danni per inadempimento professionale, consistente nell’avere consentito che, nell’ambito di una serie di azioni giudiziarie di condanna ed esecutive, affidategli in forza di rituale mandato professionale, maturasse la prescrizione dell’azione cambiaria con riferimento a ventisei titoli, avallati da La.St. , con conseguente depauperamento derivante dall’impossibilità di recuperare l’intero ammontare del credito vantato nei confronti del predetto, e comunque di società del quale questi era socio, a fronte di diverse opere e beni forniti. 1.1. Il Tribunale di Roma, nel contraddittorio delle parti, rigettò la domanda, ritenendo maturata la prescrizione decennale, in quanto il danno era già acclarato nel 2000 mentre l’azione giudiziaria era stata proposta dal D.G. nel 2014, ed era stata preceduta da altri atti interruttivi effettuati solo nello stesso anno. 1.2. La Corte di Appello di Roma, su impugnazione di D.G.D. , ha riformato la decisione del primo giudice, con sentenza n. 05973 del 26/09/2018, ed ha condannato il professionista legale al risarcimento dei danni, determinati in oltre Euro novantamila, gravandolo delle spese del doppio grado di giudizio. 1.3 Avverso la sentenza d’appello ricorre l’avvocato L.C. , con atto affidato a tre motivi. 1.4. Resiste con controricorso D.G.D. . 1.5. Il P.G. non ha presentato conclusioni. 1.6. Entrambe le parti hanno depositato ritualmente memorie. Ragioni della decisione 2. I tre motivi di ricorso censurano la sentenza d’appello il primo per violazione e o falsa applicazione degli artt. 2935 e 2946 c.c 2.1. Il motivo è infondato. L’azione risarcitoria deriva prende le mosse dall’asserito inadempimento professionale del legale. La difesa del ricorrente ne mette soltanto in dubbio l’ampiezza, ma non contesta che l’incarico venne ritualmente conferito, con plurime procure, in sede di condanna ed esecutiva, all’avvocato L.C. . La prescrizione nel caso di specie riguardante illecito rapporto contrattuale ha durata decennale. La sentenza in scrutinio ha, correttamente, individuato nel marzo dell’anno 2007, ossia nel mese in cui l’avvocato L.C. rinunciò all’azione cambiaria avente prescrizione triennale che avrebbe potuto proporre nei confronti del La.St. sulla base delle ventisei cambiali in forza delle quali era intervenuto nell’esecuzione immobiliare n. omissis . I detti effetti cambiari avevano scadenza tra il 31 agosto 1998 ed il 31 dicembre 1999 . L’azione di risarcimento danni da inadempimento professionale, avendo, come detto, carattere contrattuale, ha termine prescrizionale decennale ordinario, ai sensi dell’art. 2946 c.c. e, pertanto, alla data della notifica della citazione dinanzi al tribunale di Roma, risalente al 2014, l’azione nei confronti dell’avvocato L.C. non poteva ritenersi prescritta. La decisione della Corte territoriale è, pertanto, immune dalle censure mosse con il primo motivo di ricorso, mentre risulta inadeguato l’apparato censorio di cui al primo mezzo, che tende a retrodatare la consapevolezza del danno da parte del D.G. , rimettendo in gioco, con affermazioni del tutto prive di adeguati addentellati normativi e fattuali, l’affermazione del primo giudice, che aveva ritenuta maturata la prescrizione prima del 2004 e segnatamente nell’anno 2000 ma che in nessun caso aveva messo in dubbio che l’azione cambiaria fosse prescritta. 3. Il secondo motivo censura la sentenza impugnata per violazione e o falsa applicazione degli artt. 1176 e 2236 c.c 3.1. Il mezzo non è formulato in modo idoneo, in quanto, pur richiamando nell’indicazione delle norme asseritamente violate l’art. 2236 c.c., non indica in alcun modo quali sarebbero stati i problemi di speciale difficoltà che il professionista legale avrebbe dovuto risolvere nel caso di specie. In tal modo il motivo si appalesa inconsistente, in quanto si limita a indicare una diversa valutazione della diligenza professionale esigibile dall’avvocato L.C. . Il motivo, inoltre, è del tutto infondato non sono in alcun modo indicati, neppure per sommi capi, quali sarebbero i problemi tecnici di speciale difficoltà che l’art. 2236, configura quali presupposti ai fini della limitazione del professionista non solo di quello legale alla responsabilità nelle sole ipotesi di dolo e di colpa grave. L’accertamento sulla sussistenza o meno di problemi tecnici di speciale difficoltà è rimessa al giudice di merito Cass. 17 gennaio 2007, n. 00974 e comunque deve ribadire il risalente orientamento di questa Corte che afferma Cass. n. 11612 del 04/12/1990 Rv. 470017-01 In applicazione dei principi dettati dall’art. 2236 c.c. e art. 1176 c.c., comma 2, l’avvocato deve considerarsi responsabile verso il suo cliente in caso di incuria e di ignoranza di disposizioni di legge e in genere nei casi in cui per negligenza od imperizia compromette il buon esito del giudizio, mentre nei casi di interpretazione di leggi o di risoluzione di questioni opinabili, deve ritenersi esclusa la responsabilità dell’avvocato medesimo nei confronti del suo cliente a meno di dolo o colpa grave nella fattispecie, la corte suprema ha confermato la decisione con cui è stata ritenuta la responsabilità di un avvocato verso il cliente, per avere - tra l’altro - trattenuto immotivatamente la documentazione fornitagli dal cliente precludendo a questo ultimo la possibilità di ricorso all’autorità giudiziaria, senza - inoltre - alcun avviso circa l’eventualità di prescrizione del diritto da azionare . Nel caso in scrutinio all’avvocato L.C. è stato ascritto di non avere adeguatamente coltivato l’azione cambiaria nei confronti dell’avallante La.St. , ed anzi, di avere rinunciato ad azionare le cambiali, in numero di ventisei, in un’esecuzione immobiliare 4. Il terzo motivo, pure rubricato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 1218 e 1223 c.c., concerne piuttosto un vizio di omesso esame o quantomeno di omessa pronuncia sulla questione del mancato scomputo dalle poste risarcitorie di somme non addebitabili alla condotta del legale e comunque già riscosse dall’assistito D.G. . 4.1. Il motivo è infondato, pur leggendolo quale proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto la sentenza d’appello ha valutato la condotta dell’avvocato L.C. anche con riferimento al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, nel quale il D.G. risultò soccombente in due gradi tribunale ed appello ed è inoltre in parte inammissibile, non risultando dove e quando la questione fosse stata posta nel pregresso grado di giudizio. La Corte territoriale ha, invero, ritenuto imputabile alla condotta professionale dell’avvocato L.C. anche l’esito negativo del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo di cui alla sentenza della Corte di Appello di Roma n. 00542 del 2018, nel corso della quale, in primo grado, incarico professionale era stato revocato all’avvocato L.C. , ma il professionista nuovamente officiato aveva potuto predisporre soltanto difese successive alla scadenza dei termini di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, con la conseguenza che la decadenza dalle richieste istruttorie era imputabile, ed è stata effettivamente imputata, alla condotta processuale dell’avvocato L.C. . 5. Il ricorso è, conclusivamente, rigettato. 5.1. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. 5.2. Al rigetto dell’impugnazione consegue che deve darsi atto della sussistenza, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. P.Q.M. rigetta il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, che si liquidano in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario al 15%, oltre CA ed IVA per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.