Concorso di illeciti deontologici: il CNF sull’inapplicabilità della continuazione

È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale relativa all’inapplicabilità in materia disciplinare dell’istituto della continuazione e del conseguente regime del cumulo giuridico previsto in caso di concorso formale.

Lo ha affermato il Consiglio Nazionale Forense con sentenza n. 161/19 depositata il 7 dicembre. Nell’ambito di un giudizio attivato dagli esponenti nei confronti dell’avvocato in relazione ai comportamenti contrari alle basilari norme di etica professionale da ella tenuti, il Consiglio Nazionale Forense si ha avuto occasione di pronunciarsi sul caso di concorso di illeciti deontologici . Ebbene, il CNF ha disatteso la questione di legittimità costituzionale relativa all’inapplicabilità in materia disciplinare dell’istituto penalistico della continuazione e del conseguente regime del cumulo giuridico previsto in caso di concorso formale , per asserito contrasto della legge professionale forense con le previsioni di cui agli artt. 3 e 27 Cost. In particolare, il Consiglio ha affermato che la questione posta dalla ricorrente oltre a non indicare una norma determinata e tassativa” della l. n. 247/2012 che si porrebbe in contrasto con i dettami della Costituzione e risultare dunque mal formulata, risulta manifestamente infondata alla luce del temperamento della sanzione che consegue al principio pacificamente applicato dal Consiglio Nazionale della valutazione unitaria del fatto, anche in presenza di più illeciti deontologici .

Consiglio Nazionale Forense, sentenza 17 gennaio – 7 dicembre 2019, numero 161 Presidente Logrieco – Relatore Secchieri Fatto Il procedimento in esame trae origine da un esposto con il quale il Sigg.ri [ESPONENTI] rappresentavano al COA di Palermo, che lo inoltrava per competenza territoriale al COA di Isernia, comportamenti dell'avv. [RICORRENTE] che ritenevano contrari alle basilari norme di etica professionale. Rappresentavano gli esponenti di avere conferito nel 2006 procura speciale all'avv. [RICORRENTE], affinché predisponesse ricorso per Cassazione avverso una sentenza della Corte di Appello di Palermo che, riformando una pronuncia del Giudice del Lavoro, aveva negato la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato con la società [ALFA], che aveva ceduto il ramo di azienda alla società [BETA], e, conseguentemente, aveva negato la prosecuzione del rapporto di lavoro in capo alla cessionaria. Nel marzo del 2009 l'avv. [RICORRENTE] comunicava loro che l'udienza di discussione si sarebbe tenuta il 22 aprile, data poi rinviata al 6 maggio ed infine al 13 maggio, senza comunicare quale fosse la sezione avanti la quale la causa era chiamata. Recatisi pertanto presso la Corte di Cassazione il giorno indicato, gli esponenti arrivavano in ritardo, e non riuscivano ad assistere all'udienza. Contattata telefonicamente, l'avv. [RICORRENTE] riferiva loro che tutto si era svolto tranquillamente e che entro 90 giorni avrebbero ricevuto l'esito del ricorso. Nel mese di dicembre 2009 l'avv. [RICORRENTE] li contattava, riferendo loro che la Corte di Cassazione aveva accolto il ricorso, disponendo il rinvio alla Corte di Appello di Reggio Calabria, per un nuovo approfondito esame. Gli esponenti si recavano quindi a Reggio Calabria nel giorno in cui, a detta del loro difensore, si sarebbe dovuta tenere l'udienza nel giudizio di rinvio, si era ormai nel maggio 2011 ma non riuscirono a reperire l'aula di udienza. Contattata telefonicamente, l'avv. [RICORRENTE] riferiva che l'udienza si era tenuta in anticipo, rispetto all'orario che era stato indicato, rassicurandoli che tutto era andato bene. Nell'ottobre del 2012 il legale comunicava che la causa era stata vinta, e che la Corte di Appello di Reggio Calabria aveva disposto il loro reinserimento al lavoro entro il 29 dicembre, mentre solo nel mese di gennaio 2013 sarebbe stata discussa la parte di causa relativa al quantum del risarcimento del danno. La professionista prometteva inoltre una imminente discesa a Palermo, ed in quell'occasione avrebbe portato con sé sia la sentenza della cassazione che quella della Corte di appello. L'incontro veniva però annullato il giorno prima, e per due mesi gli esponenti non ebbero più alcuna notizia, sino a che l'avv. [RICORRENTE] non comunicò loro di avere avuto un incontro presso l'aeroporto di Fiumicino con la controparte, affermando di essersi battuta strenuamente perché fossero riassegnati alla sede di Palermo, e che era riuscita a concordare tre date il 10, il 12 o il 15 gennaio in cui si sarebbe nuovamente incontrata con il datore di lavoro per la sottoscrizione dei contratti di riassunzione. Da quel momento si susseguirono una serie di appuntamenti puntualmente disdetti il giorno prima o il giorno stesso. Nel febbraio l'avv. [RICORRENTE] comunicava che era stato raggiunto un accordo per il risarcimento del danno, quantificato in € 540.000, da pagarsi in tre tranches, ciascuna di € 180.000, la prima delle quali, già prevista per giugno, era riuscita ad anticipare al mese di marzo. Anche successivamente e sino ad aprile, vi fu un ripetersi di promesse di appuntamento puntualmente disdette, sino al 3 aprile, data nella quale l'avv. [RICORRENTE] effettivamente scese a Palermo, ma in aeroporto ebbe un malore, di talchè preferì ritornarsene a Roma, assicurando i clienti che il giorno prima aveva provveduto ad inviare a mezzo posta un plico contenete gli atti delle cause. Poichè nulla arrivava, l'avv. [RICORRENTE] inviò loro la ricevuta di spedizione di una raccomandata, che ad un controllo si rivelava falsificata. A quel punto incaricarono un altro difensore, che solo nel maggio 2013 riuscì a reperire la sentenza della Corte di Cassazione che, contrariamente a quanto riferito, aveva dichiarato in parte qua inammissibile il ricorso, in quanto una sottoscrizione era illeggibile e non era consentito risalire all'autore della firma, e condannato per questo il difensore in proprio al pagamento delle spese, in quanto non osservavano il dovere di diligenza, ed infondato per il resto. Il COA di Isernia apriva il procedimento per indagini, invitando l'avv. [RICORRENTE] a prendere posizione sull'esposto. Ricevuti i chiarimenti, il COA deliberava in data 11.9.2014 l'archiviazione parziale dell'esposto, con riferimento alla violazione dell'obbligo informativo di cui all'art. 40 del codice deontologico in allora vigente , riservando ad ulteriore adunanza di esaminare l'ulteriore profilo e predisporre la relativa delibera. Trasmessi gli atti al CDD, divenuto nel frattempo competente, questi in ottemperanza all'obbligo di cui all'art. 15 del regolamento comunicava all'incolpata l'avvio della fase istruttoria del procedimento disciplinare, e successivamente provvedeva direttamente alla citazione in giudizio sui seguenti capi di incolpazione a art. 26 commi 2 e 3, in relazione all’art. 12 e 14 per aver accettato un incarico non essendo in grado di svolgerlo con adeguata competenza per non aver prospettato ai clienti la necessità di integrare l’assistenza con altro collega in possesso delle necessarie competenze e per aver operato con negligenza nella esecuzione del mandato a lei conferito dai signori [ESPONENTI] b art. 27 comma 6 per non aver informato i clienti sullo svolgimento del mandato conferitole e non aver fornito ai mandanti [ESPONENTI] copia degli atti del procedimento c art. 9 per non aver esercitato con correttezza, diligenza e competenza non salvaguardando la propria reputazione e l’immagine della professione forense, in relazione al mandato ricevuto dai signori [ESPONENTI]. fatti avvenuti in Venafro da maggio 2006 e fino al maggio 2013.”. In sede dibattimentale, il CDD raccoglieva le dichiarazioni scritte degli esponenti e dopo una serie di rinvii dovuto a impedimento dell'incolpata e/o all'impedimento a comparire dei testimoni indicati dall'avv. [RICORRENTE] ed ammessi dal Collegio, all'udienza del 6.6.2017 dichiarava non assoluto l'impedimento dell'incolpata e ritenuta inutile, revocava l'ordinanza ammissiva della prova per testi, in assenza della teste. All'esito del dibattimento, comminava all'incolpata la sanzione della sospensione per anni tre. Avverso il provvedimento ha proposto tempestiva impugnazione l'avv. [RICORRENTE], chiedendo a questo Consiglio In via principale 1. l'annullamento delle ordinanze di rigetto delle istanze difensive, disponendo l'audizione dei testi, ammessi e poi revocati il rinvio degli atti al CDD, ritenuto sussistente il legittimo impedimento a comparire in udienza dibattimentale dell'incolpata, disponendo altresì la riunione dei procedimenti la rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità sollevata e la conseguente sospensione del procedimento l'acquisizione della sentenza assolutoria resa in sede penale 2. la dichiarazione di nullità della decisione per la violazione del principio di immutabilità del Collegio decidente 3. la pronuncia di non irrogabilità della sanzione della sospensione per violazione ex art. 6 par. e 3 lett. d CEDU e 512 c.p.c. Nel merito 4. proscioglimento dell'incolpata stante l'insussistenza degli illeciti, con formula non esservi luogo a provvedimento disciplinare” 5. in rito ritenere esservi solamente una mera e scusabile infrazione con applicazione del richiamo verbale, ovvero dell'avvertimento, ovvero della censura 6. in via subordinata ridurre la misura della sospensione al limite minimo edittale dichiarare comunque la prescrizione degli illeciti Il ricorso si articola in numerosi motivi di ricorso, che possono sostanzialmente sintetizzarsi nella illegittima revoca della prova per testimoni già ammessa nella illegittima celebrazione dell'udienza dibattimentale in presenza di impedimento dell'incolpata nella mancata motivazione della sentenza fondata esclusivamente sulle dichiarazioni degli esponenti ciò che non ha consentito il controesame da parte dell'incolpata l'assenza di motivazione nella individuazione e quantificazione della pena. In data 18.11.208 l'incolpata depositava memoria con la quale reiterava l'istanza di riunione del presente procedimento ad altri pendenti avanti questo Consiglio e fissati per la medesima udienza. Diritto Ha ritenuto il Consiglio, nella sua discrezionalità, di non disporre la riunione dei procedimenti, che pertanto sono stati trattati separatamente. Il ricorso è fondato e deve trovare accoglimento, per quanto più sotto rilevato. Deve innanzitutto essere disattesa la questione di legittimità costituzionale relativa alla inapplicabilità in materia disciplinare dell’istituto penalistico della continuazione e del conseguente regime del cumulo giuridico previsto in caso di concorso formale. Tale non applicazione, a parere della ricorrente, renderebbe la legge forense” in contrasto con le previsioni di cui all’art. 3 e 27 della Carta fondamentale. La ricorrente, tuttavia non indica, come invece avrebbe dovuto, una norma determinata e tassativa” della L. 247/2012 che si porrebbe in contrasto con i dettami della Carta Costituzionale, ma fa esclusivo riferimento alla prassi giurisprudenziale sia di questo Consiglio che della Corte di cassazione , che avrebbe escluso l'applicabilità del concorso formale in materia disciplinare. La questione appare, oltre che mal formulata, anche manifestamente non fondata, alla luce del temperamento della sanzione che consegue al principio pacificamente applicato dal Consiglio Nazionale della valutazione unitaria del fatto, anche in presenza di più illeciti deontologici. Va poi esaminata l'eccezione di prescrizione dell'illecito, che, formulata nelle conclusioni del ricorso, non viene peraltro illustrata dalla ricorrente e' presumibile che l'invocato termine prescrizionale di sette anni e mezzo dal compimento del fatto venga riferito alle previsioni dell'art. 56 della L. 247/2012. L'eccezione è infondata in materia di sanzioni disciplinari a carico degli avvocati, l’art. 65, comma 5, della legge 31 dicembre 2012, numero 247, nel prevedere, con riferimento alla nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense, che le norme contenute nel nuovo codice deontologico si applicano anche ai procedimenti disciplinari in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli all’incolpato, riguarda esclusivamente la successione nel tempo delle norme del previgente e del nuovo codice deontologico. Ne consegue che per l’istituto della prescrizione, la cui fonte è legale e non deontologica, resta operante il criterio generale dell’irretroattività delle norme in tema di sanzioni amministrative, sicché è inapplicabile lo jus superveniens introdotto con l’art. 56, comma 3, della legge numero 247/12. in proposito, da ultimo, Cass. Civ. SS.UU 24.1.2019 numero 2084 Cons. Naz. Forense 44/2018 e altre . Parimenti infondata è l'eccezione di nullità della pronuncia per la violazione del principio di immutabilità del Collegio giudicante la giurisprudenza è costante nel ritenere che in tema di procedimento disciplinare a carico di avvocati, non integra nullità alcuna il mutamento della composizione del Consiglio territoriale, considerate la natura e la funzione amministrativa dell’attività svolta e del provvedimento adottato, essendo sufficiente che sia rispettato il quorum previsto per la validità delle deliberazione, tanto più che giacché la nomina o la sostituzione di componenti il collegio decidente è aspetto irrilevante persino in sede strettamente giurisdizionale per tutte Cass Civ. SS.UU. 8038/2018 e Cass. Civ. SS.UU. 19526/2018 . Ancora non fondata è l'eccezione di nullità del provvedimento per violazione del diritto di difesa, per rigetto dell'istanza recante il legittimo impedimento a comparire all'adunanza di trattazione del procedimento disciplinare. La decisione del CDD di disattendere la la richiesta di rinvio appare non censurabile dal momento che il certificato medico prodotto a corredo dell'istanza non attesta l'assoluto impedimento a comparire, limitandosi a dichiarare che la ricorrente non poteva viaggiare. Va invece accolta la censura di merito, relativa al mancato raggiungimento della prova dei fatti oggetto del capo di incolpazione e contestati dall'incolpata. La giurisprudenza costante di questo Consiglio afferma che il procedimento disciplinare è governato dal principio del favor per l’incolpato, che è stato mutuato dai principi di garanzia che il processo penale riserva all’imputato, per cui la sanzione disciplinare può essere irrogata, all’esito del relativo procedimento, solo quando sussista prova sufficiente dei fatti contrastanti la regola deontologica addebitati all’incolpato, dovendosi per converso assolversi in assenza di certezza nella ricostruzione del fatto e dei comportamenti. Conseguentemente, l’incolpato deve essere assolto in ordine all’illecito contestatogli, quando non è stata raggiunta la prova certa della colpevolezza. si veda, per tutte Cons. Naz. Forense numero 9/2018 . Invero la decisione impugnata fonda le proprie convinzioni sulle mere dichiarazioni degli esponenti, che neppure sono stati auditi in sede dibattimentale, essendosi gli stessi limitati ad inviare una comunicazione scritta con la quale confermavano il contenuto dell'esposto. Orbene, i fatti riportati nell'esposto che aveva dato luogo al procedimento disciplinare sono di tale gravità, sia sotto il profilo del leale comportamento professionale dell'Avvocato, che sotto il profilo umano, che avrebbero dovuto indurre il CDD ad una istruttoria particolarmente rigorosa, che certamente non avrebbe dovuto essere limitata alla mera raccolta di dichiarazioni scritte degli esponenti, addirittura senza la verifica, in contraddittorio con l'incolpata, di quanto da essi affermato. Non risulta inoltre l'acquisizione di documenti che possano un qualche modo confermare quanto addebitato all'avv. [RICORRENTE] al contrario, a corredo della memoria difensiva depositata avanti al COA di Isernia è prodotta una lettera in data 28.2.20111, non contestata, con la quale l'incolpata comunica che dopo la sentenza della Corte non sono previsti ulteriori gradi di giudizio, e che quindi ella non ha possibilità di depositare ulteriori atti, non essendo competente a presentare un ricorso alla Corte Europea, come presumibilmente avevano chiesto gli esponenti. Il ricorso deve dunque trovare accoglimento. P.Q.M. visti gli artt. 36 e 37 L. numero 247/2012 e gli artt. 59 e segg. del R.D. 22.1.1934, numero 37 il Consiglio Nazionale Forense accoglie il ricorso. 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