Sapiens nihil affirmat quod non probet

L’inizio della corruzione a Roma. La sete di denaro e di potere aumentò e con essa, si può dire, divamparono tutti i mali. Fu la cupidigia a spazzar via la buona fede, la rettitudine e tutte le norme del vivere onesto, indusse gli uomini all’arroganza, alla crudeltà, alla negligenza degli dèi, alla convinzione che non c’è cosa che non sia in vendita. L’ambizione indusse molti a fingere, a tener chiuso in cuore un pensiero e a manifestarne un altro, a considerare amici e nemici non per i loro meriti ma per il vantaggio che potevano ricavarne, a parere onesti più che ad esserlo.

Sulle prime, questi vizi aumentarono lentamente a volte furono anche puniti. Ma poi il contagio si diffuse a guisa di pestilenza, la città mutò volto e quel governo che era il più giusto, il migliore, divenne crudele e intollerabile. Nei primi tempi, peraltro, più della cupidigia turbava gli animi l’ambizione, un difetto sì ma non molto lontano da un pregio alla gloria, infatti, agli onori, al potere aspirano tutti allo stesso modo, i valenti e gli inetti ma i primi vi tendono percorrendo la retta via, i secondi, privi di qualità, cercano di raggiungere la mèta con la frode e il raggiro. L’avidità altro non è che l’amore del denaro e il saggio non ne ha desiderato mai. Essa, quasi fosse intrisa di veleni mortali, snerva il corpo e l’anima più virile non conosce limiti né sazietà, non l’attenuano né l’opulenza né il bisogno. Ora, quando Silla si fu impadronito del potere con le armi e ai suoi fausti inizi fecero seguito fatti atroci, tutti si misero a commettere stupri e rapine. Chi voleva una casa, chi un podere i vincitori non conoscevano freno né misura e si macchiavano di atti turpi e feroci a danno dei concittadini. Silla, inoltre, per attirarsi il favore delle truppe che aveva condotte in Asia, contrariamente al costume degli avi nostri le aveva trattate con indulgenza eccessiva. L’amenità dei luoghi, i piaceri, l’ozio ben presto fiaccarono lo spirito fiero di quei soldati. Laggiù per la prima volta un esercito del popolo romano sperimentò piaceri che non conosceva, l’amore e il vino imparò ad apprezzare opere d’arte, statue, quadri, vasellame cesellato, e incominciò a portarli via sia dalle case private sia dallo Stato, a spogliare templi, a profanare ciò che apparteneva agli dèi e agli uomini. Quei soldati, dopo la vittoria, non lasciarono nulla ai vinti. Sallustio, De coniuratione Catilinae, 10, 3-11, 7 Trad. di Lidia Storoni Mazzolani Ognuno tragga le sue conclusioni.