Uso ed abuso, secondo una giustapposizione non solo retorica, fondano, per paradosso, un buon processo.
Come realizzare un buon processo è tema trasversale ne parlano tutti, anche se pochi, onestamente, ci credono. Cosa c’è e cosa ci può essere nel processo? Virtuosismi ce ne sono, causa l’alacre impegno di alcuni operatori, ma non fanno notizia. Le distorsioni più e meno croniche risuonano come cembali e vanno affrontate con razionalità ed economicità degli strumenti. Diritto penale o diritto civile? Sanzione penale o sanzione civile? O disciplinare? Linguaggio e comportamenti possono essere inappropriati a “la legge è uguale per tutti” – non sia un romanticismo evocare l’epigrafe delle aule di giustizia – al punto da sfociare nell’ennesima domanda è questo motivo di scandalo? Avvocati verbosi, a disincentivare giudici verbosi, sono il primo passo di un ritrovato stile nel senso di qualità che intende sublimare l’attitudine dei giuristi a parlare e soprattutto scrivere bene. Alcuni studi hanno descritto i laureati in giurisprudenza come i più ricchi di strumenti semantici una bella responsabilità! Nel volgere degli ultimi anni si è impressa una forte accelerazione all’esigenza di forme buone nel processo, veicolo di chiarezza e di rapidità, ormai irrinunciabili. Le memorie di straordinaria lunghezza, un tempo espressione di capacità, vengono oggi lette talvolta come sintomo di dispersione, di incapacità nella messa a fuoco, al punto da poter rilevare quale connotazione negativa dello scritto. Anche le motivazioni in forma sintetica, del resto, non intendono certo frustrare l’argomentazione giuridica, sempre necessaria, bensì economizzare le risorse della magistratura. Si va dunque verso il bello sintesi, chiarezza, eleganza espositiva e il buono correttezza, buona fede, onestà . Se è vero che il bello è in qualche misura anche buono – diciamo bello un paesaggio che ci riposa gli occhi e l’anima, un’opera d’arte, una musica – è anche vero che il buono è anche bello – la qualità non si nasconde a chi la cerca o è semplicemente disposto a vederla – il che vale anche al contrario il cattivo non è bello. Accettata questa libera semplificazione, si fa interessante riflettere su cosa possa rendere meno bello o non bello il giudizio. Poi c’è il fare il piacere di colloquiare con il magistrato, l’impegno di confrontarsi con i colleghi, il dispiacere dell’incomprensione e delle ostilità, gratuita. Non è facile, non è frequente, che il giudice arrivi a interferire con la dialettica processuale, anche la più inappropriata nondimeno il processo è luogo di correttezza nella conduzione della causa, che deve essere sempre ispirata ai canoni del c.d. giusto processo nel quale c’è un po’ tutto è sempre più frequente che le sentenze diano riscontro di scorrettezze negli scritti difensivi, sub specie defaillance concettuali – è il caso del grossolano errore di diritto – poco commendevoli, ma non mancano interventi sanzionatori su strategie processuali scorrette i comportamenti dilatori vengono riscontrati, finalmente, da risposte concrete . Gli imperativi. Secondo Kant, «tutti gli imperativi sono formule di determinazione dell'azione necessaria secondo il principio di una volontà in qualche modo buona. Ora se l'azione è buona esclusivamente come mezzo per qualcosa d'altro, l'imperativo è ipotetico se invece è pensata come buona in sé, quindi necessaria per una volontà in sé, conforme alla ragione, l'imperativo è categorico». In una sinossi giuridica, sono imperativi categorici numero 1 – non basta introdurre un giudizio per legittimare offese gratuite numero 2 – l’esercizio del diritto di cronaca, di pensiero, di espressione, di stampa, etc. non può violare la persona nella sua identità numero 3 – la difesa processuale non è strumento di conflitto si vis pacem para bellum? .