L’avvocatura invecchia, le iscrizioni diminuiscono, il PIL stagna: quale futuro per la previdenza forense?

Negli ultimi anni l’età media di coloro che svolgono la professione forense, e non sono ancora pensionati, è aumentata di circa 3 anni ed è passata da 42 anni del 2007 a 45 del 2017. Vedremo il trend in aumento anche negli anni successivi.

Secondo l’interpretazione economica del ciclo di vita, l’inizio del pensionamento dovrebbe coincidere con il massimo di ricchezza accumulata e con l’inizio della fase di decumulazione, ossia del risparmio negativo. A quel momento, molti rischi sono alle spalle o, come si dice, molti giochi sono fatti, in particolare per quanto riguarda il reddito da lavoro e la ricchezza accumulata con il risparmio. Il rischio di longevità è misurabile anche se, inevitabilmente, in modo impreciso. Le proiezioni della speranza di vita non sono tecnicamente difficili, ma non riescono, per esempio, a tenere in adeguato conto i progressi della medicina sotto forma della riduzione della mortalità a tutte le età. Il differenziale di mortalità tra gli individui di una stessa generazione rappresenta il rischio individuale di morire prima o dopo l’età media della generazione. Il rischio di longevità non è totalmente assicurabile. Elsa Fornero, Chi ha paura delle riforme, Università Bocconi Editore, maggio 2018 . La facoltà di giurisprudenza è in crisi, in dieci anni le matricole sono quasi dimezzate. Dal 2006 al 2018 fonte MIUR il numero totale degli iscritti a giurisprudenza è diminuito di ben 53.000 unità. È evidente che la progressione geometrica del numero degli iscritti, se ha inciso negativamente sulla qualità e sulla professionalità, ha rappresentato un vantaggio per l’Ente di previdenza. Da qualche anno il PIL dell’avvocatura ristagna e questo trend credo sia destinato a dilungarsi nel tempo stante la gravità della situazione economico finanziaria di questi anni e nella crisi sostanziale della domanda di giustizia nel suo complesso. Oggi però analizzando l’ultimo bilancio tecnico di Cassa Forense, chiuso al 31.12.2017, sappiamo con certezza statistico-matematica, che i saldi previdenziali, ovvero le differenze tra contributi in entrata e prestazioni in uscita, si mostrano negativi dal 2042 al 2062 e cioè per 20 anni. Per ovviare a questo saldo previdenziale negativo il management è costretto a ricercare sui mercati finanziari un rendimento maggiore confidando nello spread e nella generosità dei mercati. Di questi giorni, con le borse mondiali in forte ribasso, appare ancor più un azzardo perché si opera su una provvista costituita da contribuzione previdenziale obbligatoria di primo pilastro la cui finalità è quella di garantire pensioni. Questo il quadro che un legislatore previdenziale lungimirante dovrebbe avere ben chiaro per raddrizzare la barca prima che sia troppo tardi. A mio giudizio, a fronte di tutti i dati macroeconomici, le opzioni sono due e non tre. Confluire in un’unica Cassa di previdenza ed assistenza per tutti i professionisti italiani così da poter affrontare le crisi demografiche e reddituali, anche attraverso un ingente risparmio di spese, oppure rientrare in INPS il che significa recuperare la garanzia finale dello Stato alla quale, con la privatizzazione del 1994/95, si è volutamente rinunciato. Tertium non datur! Come scrive la prof. Elsa Fornero nell’opera citata, che tutti dovrebbero leggere, un buon sistema previdenziale deve avere la capacità di svolgere efficacemente un ruolo di riduzione delle diseguaglianze entro le generazioni. Sebbene la previdenza non abbia uno specifico mandato ad eliminare le diseguaglianze e sia preferibile affidare la redistribuzione alla tassazione progressiva dei redditi e delle ricchezze e non a un sistema finanziato con aliquote proporzionali, ragioni di equità sociale richiedono tuttavia che il sistema previdenziale svolga normalmente un ruolo di promozione dell’equità. E questo vale, a maggior ragione, se si pensa che il sistema previdenziale consente di redistribuire risorse riferite non già all’anno ma all’intero ciclo di vita. L’universalismo del sistema previdenziale e la sua vocazione equitativa permettono, in un contesto di giustizia sociale, di assicurare chi nasce con una limitata capacità di generare reddito, per disabilità o per condizioni sociali svantaggiose. Per favorire la giusta direzione della redistribuzione, è però molto importante - continua sempre la prof. Elsa Fornero - che il sistema possegga un’altra caratteristica la trasparenza perché l’opacità delle regole facilita la creazione di privilegi mentre la trasparenza è generalmente associata a criteri di equità. Nella stessa direzione della trasparenza opera anche l’uniformità delle regole la frammentazione dei regimi è in genere premessa per favoritismi e ingiustizie, oltre che causa di sprechi di risorse e duplicazioni di costi per contro, regole uniformi sono compatibili con eccezioni motivate da equità e non dall’obiettivo, squisitamente ma non nobilmente politico, di favorire alcune categorie perché considerate più vicine al potere oppure ritenute elettoralmente conquistabili. La segmentazione dei regimi pensionistici tende inoltre a generare rincorse sociali e comportamenti opportunistici, che mirano alla separazione e all’autonomia fino a che la gestione è in avanzo, per poi pretendere l’entrata nel regime generale quando si manifestano perdite strutturali, secondo la pratica, purtroppo diffusa in Italia, di tenersi i guadagni/privilegi per socializzare le perdite. Ogni uno ci faccia una attenta analisi con lungimiranza cercando di vedere nei numeri, e non nella palla di vetro che in previdenza non esiste, ciò che potrebbe ragionevolmente accadere in un futuro prossimo. Io vengo considerato un antisistema ma solo perché scoperchio i numeri, soprattutto quelli negativi, e li analizzo con lungimiranza. Agli stati generali della previdenza, slittati a maggio 2020, di cosa vogliamo parlare? Col cd. welfare attivo non si va da alcuna parte in previdenza.