Negare l’Olocausto significa abusare del diritto di espressione

L’Autore e l’Editore hanno deciso – nella Giornata della Memoria – di riproporre all’attenzione dei lettori la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 24 giugno 2003 la quale ha ritenuto irricevibile il ricorso di un cittadino che lamentava la lesione del proprio diritto di espressione a causa della condanna penale inflittagli dalle autorità nazionali francesi per aver manifestato opinioni negazioniste dell’Olocausto.

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha stabilito che la contestazione di crimini contro l’umanità si mostra come una delle forme più sottili di diffamazione razziale e di incitazione all'odio nei confronti degli ebrei. La negazione o la rivisitazione di simili fatti storici rimette in discussione i valori che fondano la lotta contro il razzismo e l’antisemitismo e sono tali da turbare gravemente l’ordine pubblico. Tali atti, pertanto, in quanto pregiudizievoli dei diritti altrui, sono incompatibili con la democrazia ed i diritti dell’uomo. Il caso. Uno scrittore francese pubblicava, nel dicembre 1995, un libro con il quale tentava di dimostrare che gli ebrei non erano stati sistematicamente uccisi nei lager, che sarebbero stati campi di lavoro forzato e non di sterminio e che pertanto non vi era mai stata una volontà di genocidio da parte dei nazisti. Tra il febbraio e il luglio 1996 numerose associazioni della comunità ebraica e organizzazioni per la difesa dei diritti umani depositavano cinque denunce penali con costituzione di parte civile nei confronti dello scrittore per contestazione di crimini contro l'umanità, istigazione alla discriminazione, all'odio, alla violenza e diffamazione razziale. I cinque procedimenti penali si concludevano con altrettante sentenze di condanna a reclusione e ammenda a carico dello scrittore. Nonostante le impugnazioni, le Corti superiori confermavano dette sentenze. Lo scrittore proponeva ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo CEDU lamentando la violazione del proprio diritto alla libertà di espressione come garantito dall’articolo 10 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo la “Convenzione” , nonché l’abusiva applicazione dell’articolo 17 della Convenzione medesima. Gli articoli 10 e 17 della Convenzione. La CEDU ha precisato, in primo luogo, di non doversi pronunciare sugli elementi costitutivi dei reati di contestazione di crimini contro l'umanità, di diffamazione pubblica razziale o di istigazione all'odio razziale in diritto francese, spettando alle autorità nazionali interpretare ed applicare il diritto di riferimento. Compito della CEDU è infatti quello di verificare se, in punto di libertà di espressione di cui all’articolo 10 della Convenzione, i tribunali nazionali competenti abbiano, in base al loro potere discrezionale, assunto decisioni fondate su una valutazione accettabile dei fatti pertinenti. La CEDU ha ricordato al riguardo che la propria giurisprudenza ha sancito il carattere eminente ed essenziale della libertà di espressione in una società democratica, puntualizzando che I al pari di ogni altra affermazione diretta contro i valori sottesi alla Convenzione, la giustificazione di una politica filo-nazista non può beneficiare della protezione dell'articolo 10 della Convenzione II esiste una categoria di fatti storici chiaramente accertati − quali l'Olocausto − la cui negazione o rivisitazione si vedrebbe sottrarre per effetto dell'articolo 17, in punto di divieto di abuso di diritti, alla protezione dell'articolo 10. In merito a quest’ultimo profilo, la CEDU ricorda che l’articolo 17 della Convenzione ha lo scopo di impedire a qualsiasi soggetto di avvalersi delle disposizioni della Convenzione medesima per porre in essere atti tendenti a distruggere diritti e libertà ivi riconosciuti. La disamina del contenuto dell’opera del ricorrente. Muovendo dai richiamati presupposti, la CEDU ha osservato che l’opera, all'origine delle condanne del ricorrente scrittore, analizzava in maniera puntuale numerosi avvenimenti storici relativi alla seconda guerra mondiale, quali la persecuzione degli ebrei da parte del regime nazista, l'Olocausto, il processo di Norimberga. Fondandosi su numerose citazioni e riferimenti, il ricorrente aveva rimesso in discussione la veridicità, la portata e la gravità di tali fatti storici, i quali tuttavia non potevano essere oggetto di dispute tra storici poiché, al contrario, chiaramente accertati. Ad avviso della CEDU, risultava chiaro come il ricorrente avesse rimesso in discussione sistematica i crimini contro l'umanità commessi dai nazisti nei confronti della comunità ebraica. La decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Osserva la CEDU che contestare la veridicità di fatti storici palesemente accertati, quali l'Olocausto, come ha fatto il ricorrente nella sua opera, non poteva in nessun modo essere ritenuto un lavoro di ricerca storica assimilabile ad una ricerca della verità. L'obiettivo e il risultato di un simile metodo sono totalmente diversi, perché si tratta in realtà di riabilitare il regime nazionalsocialista e, per conseguenza, accusare di falsificazione della storia le stesse vittime. Così, la contestazione di crimini contro l'umanità appare come una delle forme più sottili di diffamazione razziale nei confronti degli ebrei e di incitazione all'odio nei loro confronti. La negazione o la rivisitazione di simili fatti storici rimette in discussione i valori che fondano la lotta contro il razzismo e l'antisemitismo e sono tali da turbare gravemente l'ordine pubblico. Arrecando pregiudizio ai diritti altrui, tali atti sono incompatibili con la democrazia e i diritti dell'uomo e i loro autori mirano incontestabilmente ad obiettivi quali quelli proibiti dall'articolo 17 della Convenzione. La CEDU ha altresì rilevato che la maggior parte del contenuto e il tono generale dell'opera del ricorrente, e dunque il suo scopo, aveva una marcata natura negazionista contrastando quindi con i valori fondamentali della Convenzione, ossia la giustizia e la pace. In conclusione, la CEDU ha ritenuto che ai sensi dell’17 della Convenzione il ricorrente non potesse avvalersi delle disposizioni dell'articolo 10 della stessa utilizzando strumentalmente il suo diritto alla libertà di espressione per fini contrari alla lettera ed allo spirito della Convenzione medesima poiché attinenti alla contestazione di crimini contro l’umanità i predetti fini, se tollerati, contribuirebbero infatti alla distruzione dei diritti e delle libertà garantiti dalla Convenzione. Cenni conclusivi i delitti contro gli ebrei e la parola “razza”. La decisione annotata, sebbene risalente nel tempo, si eleva a presidio della tutela della memoria dell’Olocausto affrontando la delicata questione del c.d. negazionismo storico. Come ricordato da Robert H. Jackson, nella sua veste di Rappresentante principale degli Stati Uniti d’America nel Collegio d’accusa del processo di Norimberga «i delitti più feroci e numerosi che nazisti abbiano preparato e commesso furono quelli contro gli ebrei [ ] La politica di persecuzione antisemita cominciò con misure non violente, come la privazione dei diritti politici, le restrizioni al culto e al commercio. Ben presto però passò allo stadio delle violente dimostrazioni di massa contro gli ebrei, dell’isolamento nei ghetti, della deportazione, del lavoro forzato, dell’affamamento e dello sterminio. Alla persecuzione parteciparono il governo, le organizzazioni del Partito, l’esercito, varie associazioni private o semi-pubbliche e masse di dimostranti “spontanei” che erano stati accuratamente istruiti e organizzati [ ] Il programma di sterminio degli ebrei fu preparato con tanta cura che, nonostante la sconfitta della Germania, esso è stato in gran parte realizzato [ ] La storia non ha mai registrato un delitto che abbia numerato tante vittime, e che sia stato commesso con così calcolata crudeltà» JACKSON, Il Processo di Norimberga, Garzanti, 1948, pp. 99 e 100 . I principi scolpiti nella decisione CEDU in discorso si confermano quantomai attuali in un contesto sociale minato da numerosi episodi intollerabili ove anche l’utilizzo del linguaggio si mostra fuori controllo. In argomento è intervenuto di recente anche il Presidente Emerito della Corte Costituzionale Prof. Paolo Grossi evidenziando, nella sua lectio magistralis agli studenti fiorentini, che «la razza è un disvalore, è qualcosa contrario a un valore della società civile». Tuttavia, la parola razza non va cancellata dall’articolo 3 della Costituzione «perché sono sicuro, e lo dimostrano i fatti che viviamo attualmente, che il razzismo non è finito, è ancora un vizio maledetto all'interno di parecchie comunità della Repubblica italiana allora il termine, osceno e aberrante, deve essere lì come un lume acceso, perché in futuro non si debba incorrere in quelle vergogne in cui siamo incorso negli anni '30 del secolo scorso» cfr. ZULIANI, Il Tricolore? Un vessillo anti razzista, ne Il Corriere fiorentino, 8 gennaio 2020 .

Corte di Giustizia UE, sentenza 24 giugno 2003, causa C-72/02 Sentenza 1 Con atto depositato nella cancelleria della Corte il 4 marzo 2002, la Commissione delle Comunità europee ha proposto, ai sensi dell'articolo 226 CE, un ricorso diretto a far dichiarare che la Repubblica portoghese, non avendo trasposto nel suo ordinamento giuridico - gli articolo 3, numero 3, 10, 11 e 12, numero 4, della direttiva del Consiglio 21 maggio 1992, 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche GU L 206, pag. 7 , e - gli articolo 7, 8 e 12 della direttiva del Consiglio 2 aprile 1979, 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici GU L 103, pag. 1 , e non avendo trasposto correttamente - gli articolo 1, 6, nnumero 1-4, e 12, numero 1, lett. d , della direttiva 92/43 e - gli articolo 2, 4, nnumero 1 e 4, e 6 della direttiva 79/409, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli articolo 23 della direttiva 92/43 e 18 della direttiva 79/409. Contesto normativo Direttiva 79/409 2 L'articolo 2 della direttiva 79/409 stabilisce che «[g]li Stati membri adottano le misure necessarie per mantenere o adeguare la popolazione di tutte le specie di uccelli [viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri al quale si applica il Trattato] ad un livello che corrisponde in particolare alle esigenze ecologiche, scientifiche e culturali, pur tenendo conto delle esigenze economiche e ricreative». 3 L'articolo 4, numero 1, della direttiva 79/409 obbliga gli Stati membri ad adottare misure speciali di conservazione per le specie di uccelli menzionate all'allegato I di tale direttiva e, in particolare, a classificare come zone di protezione speciale i territori più idonei alla loro conservazione. Il numero 4 della stessa disposizione impone agli Stati membri di adottare misure idonee a prevenire pregiudizi alle zone di protezione speciale. 4 L'articolo 6 della direttiva 79/409 vieta, fatte salve talune deroghe, la commercializzazione delle specie di uccelli protette da questa direttiva. L'articolo 7 della stessa definisce il regime applicabile alla caccia dall'avifauna selvatica. L'articolo 8 della detta direttiva vieta il ricorso a tutti i mezzi di cattura non selettiva di uccelli selvatici. 5 L'articolo 12 della detta direttiva prevede che «1. Gli Stati membri trasmettono alla Commissione ogni tre anni, a decorrere dalla scadenza del termine di cui all'articolo 18, paragrafo 1, una relazione sull'applicazione delle disposizioni nazionali adottate in virtù della presente direttiva. 2. La Commissione elabora ogni tre anni una relazione riassuntiva basata sulle informazioni di cui al paragrafo 1. La parte del progetto di relazione relativa alle informazioni fornite da uno Stato membro viene trasmessa per la verifica alle autorità dello Stato membro in questione. La versione definitiva della relazione verrà comunicata agli Stati membri». 6 Ai sensi dell'articolo 18 della direttiva 79/409, gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi a tale direttiva entro due anni dalla sua notifica e comunicano alla Commissione il testo delle disposizioni essenziali di diritto interno che essi adottano nel settore disciplinato dalla detta direttiva. Questa è stata notificata agli Stati membri il 6 aprile 1979. 7 Per quanto riguarda la Repubblica portoghese, la notifica della direttiva 79/409 è considerata come avvenuta al momento dell'adesione, ai sensi dell'articolo 392 dell'atto relativo alle condizioni di adesione del Regno di Spagna e della Repubblica portoghese e agli adattamenti dei trattati GU 1985, L 302, pag. 23 . Infatti, ai sensi dell'articolo 395 del detto atto di adesione, in combinato disposto con l'allegato XXXVI di questo stesso atto, la Repubblica portoghese doveva mettere in vigore le misure necessarie per conformarsi alla detta direttiva a partire dal momento dell'adesione di questo Stato membro alle Comunità europee. Direttiva 92/43 8 L'articolo 1 della direttiva 92/43 definisce le principali nozioni utilizzate nella stessa. 9 L'articolo 3, nnumero 1 e 3, della direttiva 92/43 dispone quanto segue «1. E' costituita una rete ecologica europea coerente di zone speciali di conservazione, denominata Natura 2000. Questa rete, formata dai siti in cui si trovano tipi di habitat naturali elencati nell'allegato I e habitat delle specie di cui all'allegato II, deve garantire il mantenimento ovvero, all'occorrenza, il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, dei tipi di habitat naturali e degli habitat delle specie interessati nella loro area di ripartizione naturale. 3. Laddove lo ritengano necessario, gli Stati membri si sforzano di migliorare la coerenza ecologica di Natura 2000 grazie al mantenimento e, all'occorrenza, allo sviluppo degli elementi del paesaggio che rivestono primaria importanza per la fauna e la flora selvatiche, citati all'articolo 10». 10 L'articolo 6 della direttiva 92/43 fa riferimento alle misure necessarie per garantire la protezione delle zone speciali di conservazione. L'articolo 10 di tale direttiva riguarda le misure idonee a rendere ecologicamente più coerente la rete Natura 2000. L'articolo 11 della detta direttiva si riferisce alla sorveglianza dello stato di conservazione delle specie e degli habitat di interesse comunitario. Quanto all'articolo 12, nnumero 1, lett. d , e 4, della stessa direttiva, esso disciplina la protezione di talune specie animali. 11 Ai sensi dell'articolo 23, numero 1, della direttiva 92/43, gli Stati membri avrebbero dovuto adottare le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla detta direttiva entro due anni a decorrere dalla sua notifica e informarne immediatamente la Commissione. La detta direttiva è stata notificata agli Stati membri il 10 giugno 1992. Procedimento precontenzioso 12 Con lettera 4 aprile 2000, la Commissione inviava alla Repubblica portoghese le sue osservazioni relative al decreto legge 24 aprile 1999, numero 140/99 in prosieguo il «decreto legge» , che le era stato notificato da quest'ultima a titolo di trasposizione nel diritto nazionale delle direttive 79/409 e 92/43. In tale lettera essa osservava che questo decreto legge non effettuava la trasposizione degli articolo 3, numero 3, 10, 11 e 12, numero 4, della direttiva 92/43, nonché degli articolo 7, 8 e 12 della direttiva 79/409, e che effettuava un'inadeguata trasposizione degli articolo 1, 6, nnumero 1-4, e 12, numero 1, lett. d , della direttiva 92/43, nonché degli articolo 2, 4, nnumero 1 e 4, e 6 della direttiva 79/409. Di conseguenza, la Commissione invitava la Repubblica portoghese a presentare le proprie osservazioni a tal riguardo entro il termine di due mesi a decorrere dal ricevimento della detta lettera. 13 Il 14 giugno 2000 il governo portoghese informava la Commissione che era stato creato un gruppo di lavoro composto da tecnici dell'Instituto da ConservaÇ ão da Natureza Istituto di conservazione della natura per esaminare le diverse questioni sollevate dalla Commissione a proposito del decreto legge e per preparare un progetto di modifica di tale testo legislativo. 14 Il 30 gennaio 2001 la Commissione inviava alla Repubblica portoghese, conformemente all'articolo 226 CE, un parere motivato in cui riproponeva gli inadempimenti e le insufficienze esposte nella lettera di diffida, invitando tale Stato membro ad adottare i provvedimenti necessari per conformarsi al detto parere entro due mesi dalla sua notifica. 15 Il 31 maggio 2001 le autorità portoghesi rispondevano con una lettera con cui informavano la Commissione che il nuovo testo legislativo che effettuava la trasposizione delle dette direttive nell'ordinamento giuridico nazionale si trovava in fase finale di esame e che la sua approvazione da parte del Consiglio dei Ministri era prevista nel corso del detto mese di maggio. 16 Ritenendo che la Repubblica portoghese non avesse adottato, entro il termine stabilito dal parere motivato, le misure richieste per conformarvisi, la Commissione ha proposto il presente ricorso. Sul ricorso 17 Quanto alle censure fatte valere dalla Commissione, ad esclusione di quella relativa alla mancata trasposizione dell'articolo 12 della direttiva 79/409, è pacifico che gli articolo 3, numero 3, 10, 11 e 12, numero 4, della direttiva 92/43, nonché gli articolo 7 e 8 della direttiva 79/409, non sono stati trasposti nel diritto portoghese. E' anche pacifico che gli articolo 1, 6, numero 1-4, e 12, numero 1, lett. d , della direttiva 92/43, nonché gli articolo 2, 4, nnumero 1 e 4, e 6 della direttiva 79/409, non sono stati trasposti correttamente nel diritto nazionale dalle autorità portoghesi. Pertanto, il ricorso proposto dalla Commissione dev'essere considerato fondato per quanto riguarda le dette disposizioni. Sull'asserita mancata trasposizione dell'articolo 21 della direttiva 79/409 18 Occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, ciascuno degli Stati membri destinatari di una direttiva ha l'obbligo di adottare, nell'ambito del proprio ordinamento giuridico, tutti i provvedimenti necessari a garantire la piena efficacia della direttiva, conformemente allo scopo che essa persegue v., in particolare, sentenze 17 giugno 1999, causa C-336/97, Commissione/Italia, Racc. pag. I-3771, punto 19 8 marzo 2001, causa C-97/00, Commissione/Francia, Racc. pag. I-2053, punto 9, e 7 maggio 2002, causa C-478/99, Commissione/Svezia, Racc. pag. I-4147, punto 15 . 19 Quanto all'articolo 12, numero 1, della direttiva 79/409, esso impone agli Stati membri di redigere, ogni tre anni, una relazione sull'applicazione delle disposizioni nazionali adottate in virtù di tale direttiva e di inviarla alla Commissione affinché questa possa controllare il rispetto della detta direttiva da parte degli Stati membri. Questa disposizione riguarda quindi solo i rapporti tra questi ultimi e la Commissione. 20 Nella fattispecie la Commissione non ha per nulla dimostrato che il rispetto di questo obbligo rende necessaria l'adozione di misure di trasposizione specifiche nell'ordinamento giuridico nazionale. 21 Peraltro, occorre ricordare che, nella sua risposta ad un quesito scritto posto dalla Corte, la Commissione ha osservato che, in passato, la Repubblica portoghese ha redatto e trasmesso le relazioni sull'applicazione delle disposizioni nazionali adottate in virtù della direttiva 79/409 previste all'articolo 12, numero 1, della stessa. 22 Va quindi respinta la censura relativa alla mancata trasposizione dell'articolo 12 della direttiva 79/409. 23 Occorre, di conseguenza, dichiarare che la Repubblica portoghese, non avendo trasposto nel suo ordinamento giuridico - gli articolo 3, numero 3, 10, 11 e 12, numero 4, della direttiva 92/43 e - gli articolo 7 e 8 della direttiva 79/409, e non avendo trasposto correttamente - gli articolo 1, 6, nnumero 1-4, e 12, numero 1, lett. d , della direttiva 92/43 e - gli articolo 2, 4, nnumero 1 e 4, e 6 della direttiva 79/409, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del Trattato CE. 24 Occorre respingere il ricorso per il resto. Sulle spese 25 A norma dell'articolo 69, numero 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica portoghese, rimasta soccombente, dev'essere condannata alle spese. Per questi motivi, La Corte dichiara e statuisce 1 La Repubblica portoghese, non avendo trasposto nel suo ordinamento giuridico - gli articolo 3, numero 3, 10, 11 e 12, numero 4, della direttiva del Consiglio 21 maggio 1992, 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, e - gli articolo 7 e 8 della direttiva del Consiglio 2 aprile 1979, 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, e non avendo trasposto correttamente - gli articolo 1, 6, nnumero 1-4, e 12, numero 1, lett. d , della direttiva 92/43 e - gli articolo 2, 4, nnumero 1 e 4, e 6 della direttiva 79/409, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del Trattato CE. 2 Il ricorso è respinto per il resto. 3 La Repubblica portoghese è condannata alle spese.