Non vi è previdenza senza contribuzione

La previdenza è un insieme d’istituzioni e norme volte ad assicurare ai cittadini i mezzi di vita nella vecchiaia. I numeri dell’avvocatura, anno 2018, sono destabilizzanti per il sistema previdenziale forense.

Gli iscritti, al 2018, sono 243.488 su una popolazione residente di 60.395.921, pari a una percentuale di 4 avvocati ogni 1.000 abitanti. Mentre il tasso annuo di crescita della popolazione residente dal 1985 al 2018 ha avuto aumenti molto contenuti, il tasso annuo di crescita degli avvocati iscritti agli albi ha avuto progressioni geometriche se consideriamo che gli avvocati iscritti agli albi nel 1985 erano 48.327 a fronte di una popolazione residente di 56.597.823. L’attuale sistema della previdenza forense era stato quindi costruito e riformato poscia su realtà numeriche completamente diverse. Teniamo altresì presente che nel 1985, a fronte di 48.327 avvocati iscritti agli albi, solo 37.495 risultavano iscritti a Cassa Forense. Dal 1985 in poi si è assistito al fenomeno della femminilizzazione dell’avvocatura italiana. Nel 1985, a fronte di 48.327 avvocati iscritti agli albi, 43.881 erano uomini e le donne solo 4.446. Nel 2018, a fronte di 243.488 iscritti agli albi, gli uomini sono 126.914 e le donne 116.574, pari al 47,9% del totale. Com’è noto a tutti, l’avvocato donna guadagna meno della metà del collega uomo. Secondo i dati dell’anno 2017 il reddito medio dell’avvocatura italiana era pari a € 37.449,00 a fronte di un reddito medio dell’avvocato donna di € 23.357,00 e di € 51.827,00 per l’avvocato uomo. Al 31.12.2018 abbiamo 29.072 pensionati dei quali 12.462 donne e 16.610 uomini. L’importo medio della pensione è di € 27.503,00 dei quali € 18.947,00 per l’avvocato donna e € 33.922,00 per l’avvocato uomo. Le pensioni corrisposte in Trentino Alto Adige sono 291 della quali 111 ad avvocati donna e 180 ad avvocati uomini, ma in Trentino Alto Adige vengono erogate le pensioni più alte su scala nazionale, pari all’importo medio annuo di € 37.960,00 di cui € 22.315,00 per l’avvocato donna ed € 47.608,00 per l’avvocato uomo, il che sta a significare redditi vicini o superiori al tetto pensionabile e costanti nel tempo. Mi pare evidente che, se vorrà essere inclusivo e non esclusivo, il sistema della previdenza forense, a fronte dei numeri sovra indicati, dovrà essere integralmente riformato. Il 4 ottobre 2018, ad iniziativa della deputata Bruno Bossio, è stata presentata la proposta di legge di modifica alla legge 31.12.2012 n. 247, in materia di soppressione del requisito dell’esercizio effettivo, continuativo, abituale e prevalente della professione per l’iscrizione nell’albo degli avvocati. È una prima iniziativa legislativa che merita di essere apprezzata e opportunamente valutata. Si legge nella relazione di presentazione che l’art. 21 della legge 247/2012 costituisce una norma in bianco, in quanto demanda la determinazione di alcuni parametri per l’esercizio della professione forense ad una fonte di rango non legislativo, senza specificarne l’ambito, i criteri e i limiti dell’intervento regolamentare, che peraltro non spetta al Governo bensì al singolo dicastero insieme alle organizzazioni di vertice dell’ordinamento professionale e previdenziale. Secondo la relatrice, tale disciplina costituisce una palese violazione dei principi cardine della professione forense, richiamata dallo stesso codice deontologico forense che nel preambolo recita L’avvocato esercita la propria attività in piena libertà, autonomia ed indipendenza per tutelare i diritti e gli interessi della persona, assicurando la conformità delle leggi ai principi della costituzione nel rispetto della convenzione per la salvaguardia dei diritti umani e dell’ordinamento comunitario , ed ancora il medesimo codice all’art. 10 prevede che nell’esercizio dell’attività professionale l’avvocato ha il dovere di conservare la propria indipendenza e difendere la propria libertà da pressioni o condizionamenti esterni . La proposta di legge, tra l’altro, interviene sull’art. 21 della legge 247/2012 introducendo, nella determinazione dei contributi, i principi di proporzionalità e di progressività rispetto al reddito prodotto con la conseguenza di eliminare il contributo minimo. Sul contributo minimo bisogna però intendersi. Cassa Forense eroga molte pensioni minime e quindi, in allora, si è studiato il quantum della contribuzione minima dovuta che fosse in grado di finanziare, diciamo al 90 – 95%, la pensione minima. In dettaglio, con rifermento a pensione di vecchiaia e anzianità, abbiamo circa 1.420 pensioni minime su circa 15.500 pensionati. Naturalmente il numero aumenta per inabilità, invalidità e superstiti circa 6.200 su circa 13.600 pensioni in liquidazione . Ci sono poi 1.700 pensioni di vecchiaia contributiva in pagamento ma queste, come dovrebbe essere noto a tutti, non hanno minimi. Mi pare evidente che l’abolizione del contributo minimo con l’introduzione dei principi di proporzionalità e progressività rispetto al reddito prodotto implicano la riforma strutturale del sistema. Come ho scritto più sopra, senza contribuzione non c’è previdenza ma solo assistenza e l’assistenza la si fa nei limiti del budget disponibile, pari a circa 67,8 milioni di euro per il 2019. La strada quindi è quella giusta ma va accompagnata da una riforma strutturale della previdenza forense anche in considerazione dei numeri sopra indicati. Traccheggiare non è più possibile anche in considerazione del fatto che stanno per concludersi gli anni di prima agevolazione nel versamento dei contributi minimi e dei crediti di Cassa Forense verso gli iscritti, pari a circa 1,4 miliardi di euro, che significa un decimo del patrimonio accumulato.