Compenso dell’avvocato: quando ad essere restituiti sono anche gli interessi

Condannato il difensore al pagamento degli interessi sulle somme da restituire e percepite a titolo di compenso professionale, qualora il cliente chiede la restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado oltre interessi dai singoli esborsi al saldo o, in subordine, dalla domanda .

Sul tema la Corte di Cassazione con ordinanza n. 24475/19, depositata il 1° ottobre. Il fatto. La Corte d’Appello di Milano, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda proposta da un avvocato con cui chiedeva la condanna del saldo del corrispettivo dovuto per l’incarico svolto in particolare il rigetto della domanda era dovuto al fatto che nella stessa data erano stati conclusi due contratti tra le parti il primo aveva ad oggetto il conferimento dell’incarico all’avvocato e l’ambito del suo mandato in sede penale, il secondo invece aveva ad oggetto la determinazione del corrispettivo. La Corte riteneva che tale secondo contratto riguardasse il corrispettivo del professionista per il giudizio civile, aggiungendo al compenso un patto di quota lite aggiuntivo da calcolarsi sul risarcimento effettivamente ottenuto. L’avvocato propone così ricorso per cassazione avverso la suddetta decisione. Ha resistito con controricorso la cliente dell’avvocato. L’interpretazione dei contratti tra le parti. Per quanto riguarda il ricorso principale dell’avvocato, occorre sottolineare che questi non contesta la violazione dei canoni ermeneutici di interpretazione contrattuale ma propone una diversa interpretazione affidandosi a fatti che non hanno trovato riscontro in sede processuale ha infatti fornito un’interpretazione plausibile la Corte territoriale dei due contratti oggetto della controversia. Pertanto tale ricorso deve essere rigettato. La mancata decisione sugli interessi. Fondato è invece per i Giudici di legittimità il ricorso incidentale della cliente del professionista, la quale denuncia violazione di legge per aver i Giudici d’appello, pur avendo disposto la sua condanna alla restituzione delle somme pagate in esecuzione della sentenza di primo grado, riformata in secondo grado, avrebbe omesso di pronunciarsi sugli interessi dovuti sulle somme corrisposte da ella. Innanzitutto bisogna dire che la riforma o la cassazione di una sentenza estende i suoi effetti ai provvedimenti dipendenti dalla pronuncia riformata o cassata quanto alla decorrenza degli interessi legali, la S.C. ha più volte affermato che l’azione di ripetizione di somme pagate in esecuzione della sentenza d’appello successivamente cassata, o della sentenza di primo grado riformata in appello, non si inquadra nell’istituto della cosiddetta condictio indebiti ”, poiché si ricollega all’esigenza di restaurazione della situazione patrimoniale precedente alla sentenza ed inoltre perché il comportamento dell’accipiens non si presta ad una valutazione di buona o mala fede ai sensi dell’art. 2033 c.c A ciò consegue che gli interessi legali devono essere riconosciuti dal giorno del pagamento e non da quello della domanda. E la Corte territoriale aveva omesso di pronunciarsi sugli interessi che sulla somma di compenso professionale erano dovuti dal giorno del pagamento al soddisfo. Per tal ragione, in ordine a tale motivo di ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata e condannato l’avvocato al pagamento degli interessi sulle somme da restituire.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 22 marzo – 1 ottobre 2019, n. 24475 Presidente San Giorgio – Relatore Giannaccari Fatti di causa 1. La Corte di Appello di Milano, con sentenza n. 1431/2015 del 31.03.2015, in parziale accoglimento dell’appello proposto da B.L. , riformando la sentenza del Tribunale di Vigevano, sez. distaccata di Abbiategrasso, rigettava la domanda proposta dall’Avv. S.L. nei confronti di B.L. , con la quale aveva chiesto la condanna del saldo del corrispettivo dovuto per l’incarico avente ad oggetto il risarcimento del danno per il decesso del figlio a causa di un incidente stradale condannava, quindi, la S. a restituire la somma di denaro percepita a titolo di compenso in misura superiore a quello dovuto. 1.1 La corte territoriale rilevava che nella medesima data, il 9.10.2007, erano stati contestualmente conclusi due contratti tra le parti il primo aveva ad oggetto il conferimento dell’incarico all’Avv. S. e l’ambito del suo mandato in sede penale, secondo uno schema tipo utilizzato per tutti i clienti mentre il secondo aveva ad oggetto la determinazione del corrispettivo, individuato in una percentuale sull’eventuale risarcimento in favore della cliente o, in caso di soccombenza, secondo i minimi tariffari. Il giudice d’appello riteneva che il secondo contratto, integrativo del primo, attenesse al compenso del professionista per il giudizio civile, escludendo che le parti avessero pattuito un doppio corrispettivo, aggiungendo al compenso principale, determinato secondo le tariffe forensi, un patto di quota lite aggiuntivo da calcolarsi sull’effettivo risarcimento ottenuto. L’accordo per il compenso professionale nel giudizio civile prevedeva, quindi, solo un patto di quota lite semplice , in virtù del quale l’Avv. S. aveva diritto, in caso di esito positivo dell’incarico, al 10% del risarcimento ottenuto dalla cliente, mente, in caso di esito negativo, le spettasse come corrispettivo il minimo tariffario per l’attività svolta. 1.2 Per quel che ancora rileva nel presente giudizio, il giudice territoriale riteneva, altresì, priva di pregio giuridico la tesi interpretativa sostenuta dall’Avv. S. circa l’esistenza di un accordo tra le parti, sull’attribuzione di un compenso premiante, il c.d. palmario , in forza del quale l’avvocato avrebbe avuto diritto ad uno speciale compenso qualora la parte assistita avesse ottenuto il risarcimento del danno. L’importo percepito dall’Avv. S. dalla compagnia assicuratrice, corrispondente al 10% delle somme percepite dalla B. a seguito di transazione con la compagnia assicuratrice, era, quindi, secondo il giudice d’appello esaustivo del compenso dovuto a titolo di competenze professionali, nè la prova testimoniale aveva dimostrato che la S. avesse percepito ulteriori somme in relazione all’incarico svolto. 2. Per la cassazione della sentenza, ha proposto ricorso l’Avv. S. sulla base di due motivi. 2.1 Ha resistito con controricorso B.L. , la quale ha proposto ricorso incidentale. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in quanto la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto della circostanza, risultante dalla prova testimoniale, che la S. avesse ricevuto ulteriori somme in data successiva al rilascio dell’atto di quietanza da parte della compagnia assicuratrice e che dette somme rappresenterebbero tranches del maggior compenso dovuto per le prestazioni svolte in favore della B. . Da tale circostanza emergerebbe la prova che la cliente avesse la consapevolezza dell’obbligo di pagamento del c.d. palmario da corrispondere in suo favore. 1.1 Il motivo non è fondato. 1.2 A seguito della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, introdotto dalla L. n. 134 del 2012, il vizio motivazionale censurabile in sede di legittimità concerne l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione, che si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico , nella motivazione apparente , nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile Cassazione civile sez. un., 07/04/2014, n. 8053 . 1.3 Nella specie, la Corte territoriale ha esaminato il fatto storico relativo alla consegna di somme di denaro pag. 6 della sentenza , ma, sulla base dell’esame delle risultanze istruttorie, insindacabili in sede di legittimità, ha ritenuto che la prova fosse generica, in quanto la teste si era limitata a riferire di aver accompagnato la B. presso lo studio della S. , senza fornire ulteriori indicazioni sulla consegna del denaro. 2. Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché la Corte d’Appello avrebbe utilizzato, quale unico criterio interpretativo dell’accordo per il compenso professionale, l’interpretazione letterale del testo, senza tenere conto della comune intenzione delle parti, che costituirebbe il canone ermeneutico decisivo. 2.1 Il motivo non è fondato. 2.2 In tema di ermeneutica contrattuale, la norma di cui all’art. 1362 c.c., nel sancire, al comma 1, la necessità di indagare sulla comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso letterale delle parole usate, non svaluta l’elemento letterale del negozio, ma ribadisce, per converso, che, ove il dato letterale riveli con chiarezza e univocità la volontà dei contraenti senza che esso contrasti con lo spirito della convenzione negoziale , una diversa interpretazione non è ammessa. Ne consegue che, nella ricerca della comune intenzione dei contraenti, il primo e principale strumento dell’attività interpretativa del giudice è costituito dalle parole e dalle espressioni adottate dalle parti, la cui chiarezza ed univocità obbliga l’interprete ad attenervisi strettamente, senza sovrapporre la propria, soggettiva opinione all’effettiva volontà dei contraenti Cass. civ. Sez. III, 04/05/2005, n. 9284 . Inoltre, la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra Sez. 3, Sentenza n. 28319 del 28/11/2017 . 2.3 Nella specie, la corte territoriale ha fornito un’interpretazione plausibile dei due testi contrattuali, ritenendo che con il primo contratto vi fosse stato il conferimento dell’incarico, secondo uno schema tipo utilizzato per tutti i clienti, e che con il secondo fosse stato determinato il corrispettivo, individuato in una percentuale sul futuro risarcimento e, in caso di soccombenza, secondo i minimi tariffari. La ricorrente non contesta la violazione dei canoni ermeneutici ma propone una diversa interpretazione, in sostituzione di quella plausibile fornita dal giudice d’appello e, nella valutazione del comportamento delle parti, si affida a fatti, come la corresponsione di somme di denaro alla professionista in epoca successiva alla transazione, che non hanno trovato riscontro in sede processuale. 3. Il rigetto del ricorso principale assorbe il ricorso incidentale condizionato. 4. Va, quindi, esaminato il ricorso incidentale autonomo proposto da B.L. . Con l’unico motivo di ricorso, si deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la corte territoriale, pur avendo disposto la condanna della B. alla restituzione delle somme pagate in esecuzione della sentenza di primo grado, riformata in sede di appello, avrebbe omesso di pronunciarsi sugli interessi dovuti sulle somme corrisposte dalla B. . 4.1 n motivo è fondato. 4.2 La riforma o la cassazione di una sentenza estende i suo effetti ai provvedimenti ed agli atti dipendenti dalla pronuncia riformata o cassata, sicché vengono meno immediatamente sia l’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado, sia l’efficacia degli atti o provvedimenti di esecuzione spontanea o coattiva della stessa, rimasti privi di qualsiasi giustificazione con conseguente obbligo di restituzione delle somme pagate e di ripristino della situazione precedente Cassazione civile sez. I, 06/12/2006, n. 26171 . Quanto alla decorrenza degli interessi legali, questa Corte ha affermato che l’azione di ripetizione di somme pagate in esecuzione della sentenza d’appello successivamente cassata, ovvero della sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva riformata in appello, non si inquadra nell’istituto della condictio indebiti art. 2033 c.c. , sia perché si ricollega ad un’esigenza di restaurazione della situazione patrimoniale precedente alla sentenza, sia perché il comportamento dell’accipiens non si presta a valutazione di buona o mala fede ai sensi della suddetta norma di legge non potendo venire in rilievo stati soggettivi rispetto a prestazioni eseguite e ricevute nella comune consapevolezza della rescindibilità del titolo e della provvisorietà dei suoi effetti. Ne consegue che gli interessi legali devono essere riconosciuti dal giorno del pagamento e non da quello della domanda Cassazione civile sez. III, 19/10/2007, n. 21992 Cass. 5 agosto 2005 n. 16559 4.3 Nella specie, nell’atto d’appello, la B. aveva chiesto la restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado, oltre interessi dai singoli esborsi al saldo, o, in subordine, dalla domanda . 4.4. La corte territoriale, pur avendo correttamente disposto in favore della B. , la restituzione delle somme percepite a titolo di compenso in misura superiore a quanto riconosciuto dovuto al capo che precede , ovvero alla somma di Euro 2.000,00 oltre Iva e cap, ha omesso di pronunciarsi sugli interessi, che su tale somma sono dovuti dal di del pagamento al soddisfo. 4.5 La sentenza va, pertanto cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, va disposta la condanna della S. al pagamento degli interessi sulle somme da restituire, come individuate nella sentenza d’appello, dalla data del pagamento al soddisfo. 5. Vanno confermate le statuizioni sulle spese effettuate nei precedenti gradi di giudizio, considerato l’esito della lite. 5.1 Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo. 5.2 Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13. P.Q.M. Rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato, accoglie il ricorso incidentale autonomo, cassa la sentenza in relazione al motivo in esso contenuto e, decidendo nel merito, dichiara B.L. tenuta al pagamento degli interessi sulla somma da restituire dal di del pagamento al soddisfo. Conferma nel resto la sentenza impugnata. Conferma la statuizione sulle spese nei precedenti gradi e condanna la ricorrente principale alle spese del presente grado di giudizio, che liquida in Euro 2.200,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge ella misura del 15%, Iva e cap come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.