La ricerca dell’extra rendimento e l’azzardo per gli iscritti alle Casse di previdenza

I protagonisti della vicenda sono tre le Casse dei professionisti, l’industria finanziaria e gli iscritti, obbligati a esserlo.

Le Casse di previdenza sono costantemente alla ricerca di nuovi rendimenti per accrescere i loro patrimoni al fine di poter mantenere nel tempo le promesse insite nelle prestazioni di welfare. L’industria finanziaria sponsorizza numerosi convegni, le Casse di previdenza vi partecipano, gli iscritti restano alla finestra. Nell’ormai lunga stagione di tassi d’interesse ai minimi e di alta volatilità dei mercati, le promesse di welfare rischiano di diventare sempre più liquide e, di conseguenza, soggette a continue revisioni. Occorrono quindi, come recita la locandina del XIII Convegno di Itinerari Previdenziali, che proprio in questi giorni si svolge in Sicilia, soluzioni solide che rendano queste promesse più robuste. Il 2018 è stato un anno difficile per i mercati finanziari e, di conseguenza, per moltissimi investitori, tra i quali le casse di previdenza dei professionisti. Quasi la totalità delle Asset Class, tradizionalmente detenute all’interno dei portafogli, ha segnato rendimenti negativi. Di contro il 2019 ha segnato un recupero generalizzato su tutti i listini. Le Casse di previdenza, come ormai noto a tutti, aspettano da anni il regolamento per gli investimenti finanziari e quindi sono prive di regole cogenti. Oggi le Casse di previdenza gestiscono un patrimonio di circa 85 miliardi dei quali l’80% viene gestito in forma diretta, senza regole cogenti come si diceva. Il Sole 24 Ore del 27.06.2019 scriveva che a fine 2017 erano 23 i miliardi investiti dalle casse di previdenza in Asset illiquidi, pari al 27% del totale dell’attivo. Attraverso gli Asset illiquidi, le Casse vanno alla ricerca appunto dell’extra rendimento ma questo comporta l’assunzione di un rischio molto elevato, incompatibile con la natura previdenziale delle risorse, rischio che viene scaricato tout court sugli iscritti. Il quotidiano economico finanziario, Investireoggi, il 25.09.2019 ha dato notizia dell’uscita sui mercati di una pioggia di obbligazioni subordinate a rendimenti appetibili, precluse ai risparmiatori individuali perché destinate agli investitori istituzionali, tra i quali anche le casse di previdenza. Si tratta di obbligazioni subordinate del tipo TIER 2. La saga delle obbligazioni subordinate dovrebbe essere nota a tutti i risparmiatori attraverso le vicende delle banche venete e non solo. Viviamo in tempi precari e quindi si tratta d’investimenti molto precari perché la precarietà ha invaso anche il mondo degli strumenti finanziari. Il debito subordinato si compone di strumenti che prevedono la clausola di postergazione, in virtù della quale tale debito è previsto, in caso di liquidazione, venga rimborsato solo dopo quello non subordinato o senior. Da questo punto di vista, il debito subordinato viene in qualche modo equiparato ai mezzi propri della banca, quindi all’equity azionario che, in caso di guai, è l’ultimo a essere restituito a chi l’ha versato nell’impresa bancaria. Le banche, per funzionare e quindi per fare prestiti, prendono a loro volta dei prestiti, sostanzialmente emettendo obbligazioni. Le obbligazioni normali hanno la caratteristica di essere titoli liquidi, quindi facilmente vendibili sui mercati secondari, e dotati di un buon livello di sicurezza, vista che si prevede che, in caso di problemi della banca, abbiano la priorità del rimborso rispetto alle azioni. Questo debito, quindi, a livello di garanzie offerte ai sottoscrittori, è sullo stesso livello dei depositi bancari, anche se questi ultimi, fino all’ammontare di € 103.000,00 godono anche di una protezione assicurativa. Il debito subordinato invece è una sorta di via di mezzo tra il debito senior, rappresentato appunto dalle obbligazioni senior, e le azioni, ordinarie o privilegiate, che stanno nel fondo della scala dei rimborsi. Non tutti i debiti subordinati, peraltro, sono eguali fra loro perché si distinguono a seconda del grado di subordinazione e quindi della rischiosità prevista. Né sono uguali le condizioni alle quali vengono onorati tali debiti. Molte obbligazioni subordinate prevedono la possibilità per la banca emittente di annullare le cedole TIER 1 o di sospenderle TIER 2 allorquando si verifichino le contingenze che danno alla banca il diritto di poterlo fare. In buona sostanza dietro a questi strumenti ci sono degli algoritmi molto spesso incomprensibili. Dopo le note vicende delle famose quattro banche, queste obbligazioni subordinate sono inibite ai risparmiatori privati ma dedicate agli investitori istituzionali. Mi pare ovvio che, laddove le casse di previdenza provvedano a sottoscrivere queste obbligazioni, il rischio viene semplicemente traslato sugli iscritti che null’altro sono che risparmiatori privati, obbligati per legge a versare la contribuzione previdenziale. Il rischio è la perdita non solo delle cedole ma anche del capitale e, dato che il capitale è funzionale a garantire la pensione, qui si arriva alla perdita della pensione. Gli investimenti illiquidi, a mio sommesso avviso, dovrebbero essere inibiti alle Casse di previdenza, comunque regolamentati e ridotti ai minimi termini, certamente non al 27% di cui parlavamo all’inizio di questa digressione. Mi rendo conto che è complicato conciliare la sostenibilità del sistema con l’adeguatezza delle prestazioni ma credo che la provvista di natura previdenziale vada maneggiata con il massimo del rigore possibile proprio per la sua destinazione, diversamente diventa un azzardo e il rischio è di privare intere generazioni della pensione, dato che non c’è la garanzia finale dello Stato. Vigilantibus non dormientibus iura succurrunt.