Diritto e parole

La mucca non mangia la bistecca non ha bisogno di definirla non la mangia e basta il diritto, invece, ha bisogno di definizioni. Il diritto muove dal dato di realtà, idoneo a soverchiare – secondo la grammatica dell’ora et labora – il momento della definizione e della comunicazione. Primum vivere, deinde filosofari occorre rifuggire dalla pura astrazione.

Antitesi. Il dato di realtà non serve a nulla se non è cristallizzato per farlo servono le parole, che servono anche alla descrizione e alla comunicazione il lessico giuridico, poi, – ma le parole in legalese sono solo un vezzo – affranca dall’indistinto chiacchiericcio di una semantica generalista. Vale per il legislatore penale quando impiega termini tecnici e per il legislatore civile quando esclude l’interpretazione analogica a beneficio della tassatività, incappando nella fallacia che fa scrivere al legislatore penale «espressamente preveduto dalla legge come reato» come se avesse senso una cartina geografica grande quanto i luoghi che essa descrive . Sintesi. Talvolta le parole sono fatti, non solo nel linguaggio performativo non dimentico il re del Piccolo principe che vigorosamente lo congeda “Ti nomino mio ambasciatore”! L’esperienza comune si confronta con fatti e contenuti di verità la verità non si coglie e non si esprime per conduzione né per osmosi. Tutto si trasforma. Un bimbo ha strumenti rudimentali non conosce le cose nel loro significato comune – di certo non le conosce per l’attribuzione di senso riveniente dalle convenzioni linguistiche – e soprattutto non le conosce nella loro funzione ne percepisce alcuni elementi, i pochi elementi dei quali ha esperienza crescendo impara che a determinati fatti corrispondono determinate parole col tempo matura la capacità di astrazione. Nell’esperienza di un adulto il fatto si fa parola e torna ad essere fatto i non vedenti seguono spesso traiettorie di questo tipo. Faccio la prova di tenere assieme fatti e parole – ci sono tante strade, ne scelgo una – costringendoli a regole comuni i negli uni e nelle altre si dà l’uno e il molteplice il contratto uno è vero quanto i contratti molteplice vale sia per l’esperienza sensibile quanti contratti posso sperimentare che per la letteratura quanti contratti posso pensare ii negli uni e nelle altre si danno criteri di organizzazione ordine sensibile si pensi alla causalità naturalistica e ordine artificiale si pensi all’imputazione soggettiva . Ci sono, dunque, spazi fecondi per un “diritto delle parole” che faccia del lessico normativo un meccanismo di traduzione della realtà la semantica, in quest’ottica, pur non essendo oggetto è strumento che facilità l’oggettività intesa come anticorpo ai soggettivismi . Non possiamo parlare di qualcosa né conoscerla se non abbiamo un termine al quale associarla. Presente indicativo, articolo determinativo, interpolazioni, posso presidiare la lettura del fenomeno per quello che è, e per quello che il diritto vuole si prenda in esame, recuperando contenuto di verità attraverso l’artificio linguistico. Chiudo con l’allegoria della mucca immagine ben collaudata da Umberto Galimberti quale “zero assoluto” che viene scaldato dall’esperienza umana. Le parole, per un animale, non hanno senso nondimeno, se pensassi/visualizzassi una volpe con gli occhiali che consulta un codice, o un coniglio in toga che discute dinnanzi ad un collegio di tartarughe, a là Luis Carrol, potrei ben dire che fanno diritto se, nonostante tutto, li vedessi e li sentissi argomentare.