L’incarico professionale è conferito al singolo professionista? Può comunque fatturare lo studio associato e la parcella deve essere pagata

E’ irrilevante il fatto che il mandato sia stato conferito al singolo professionista, essendo elemento diverso dal rapporto obbligatorio instaurato tra le parti.

Questo è il principio ribadito dalla Seconda Sezione della Suprema Corte, con la sentenza n. 20185/2019 emessa nella Camera di Consiglio del 22 gennaio 2019 e depositata il successivo 25 luglio 2019, in un ricorso risalente al 2017, per la cassazione di una sentenza di Corte d’appello dello stesso anno, emessa dalla Corte d’Appello di Roma. Il caso. Il ricorrente, legale rappresentante di uno studio legale associato, citava in giudizio un assistito, al fine di ottenere il pagamento degli onorari maturati a seguito della corposa e proficua attività svolta in suo favore. A sostegno della sua domanda, deduceva e dimostrava l’affidamento di un incarico di assistenza in merito alla risoluzione di un importante contenzioso con noto istituto di credito, dichiarando che l’incarico era stato portato a termine, tramite la conclusione di un accordo transattivo, ma che il cliente, nonostante diversi solleciti, non aveva mai corrisposto il dovuto. Il Tribunale rigettava la domanda, accogliendo l’eccezione di difetto di legittimazione attiva proposta dal cliente, che sosteneva di aver dato incarico al singolo professionista e non allo studio associato, che quindi non era legittimato attivamente. La Corte d’Appello confermava la sentenza, condividendo la valutazione del Tribunale relativamente al fatto che l’incarico fosse stato conferito al singolo professionista e non collettivamente ai componenti dello studio. La Corte territoriale sosteneva che il carattere personale dell’incarico, che è contraddistinto dal carattere personale e fiduciario che caratterizza le prestazioni professionali protette, ne impediva l’estensione a tutti i professionisti dello studio, alla stregua di un mandato conferito agli stessi collettivamente e impersonalmente. Contro la sentenza della Corte d’Appello ha proposto ricorso affidato ad un unico motivo, il legale rappresentante dello studio associato, mentre l’allora assistito non ha svolto attività difensive. Il ricorrente poi ha depositato apposita memoria. Secondo l’unico motivo di ricorso, la Corte d’Appello era incorsa nella violazione e falsa applicazione dell’art. 75 c.p.c., nonché dei principi generali in materia di obbligazioni e contratti e infine degli artt. 18 e 36 della Costituzione. Il ricorso sostiene che la Corte di merito avrebbe errato nel negare la legittimazione attiva dello studio associato in base al rilievo che il cliente avrebbe conferito il mandato al singolo professionista e non collettivamente ai professionisti dello studio. Secondo il ricorrente la Corte d’Appello avrebbe confuso due aspetti che sono chiaramente distinti in particolare è naturale che il cliente abbia il diritto di chiedere che la prestazione sia resa dal Professionista a cui aveva reso l’incarico, ma ciò non toglie che questi possa avvalersi della propria struttura per lo svolgimento dell’attività e che quindi possa indicare lo studio come destinatario del pagamento in base alla decisione interna allo studio, insindacabile e discrezionale, di attribuire il compenso all’associazione professionale. Il ricorrente ricordava, peraltro, che la giurisprudenza ormai consolidata in materia, consente di riconoscere la legittimazione attiva dello studio associato al fine di ottenere il pagamento del compenso spettante al singolo associato, in base al principio in materia di associazioni non riconosciute, nel cui ambito rientrano anche le associazioni tra professionisti. In questo senso, secondo il ricorrente, i Giudici di merito non hanno considerato che l’avvocato non era solo il professionista indicato dal cliente ma era anche il fondatore e il rappresentante legale dello studio e inoltre, che l’avviso di fattura e messo a conclusione dell’incarico era intestato allo studio e quindi all’associazione. Sussiste la legittimazione attiva dello studio professionale associato rispetto ai crediti per le prestazioni svolte da singoli professionisti a favore dell’assistito che ha conferito l’incarico. La Cassazione, seguendo anche il parere del Procuratore Generale, ha accolto il ricorso. Infatti, secondo la sentenza in commento nel caso in cui sia conferito un incarico ad un singolo professionista, che naturalmente deve svolgere in prima persona e non a nome dell’associazione professionale, questa sarà comunque legittimata a richiedere i compensi all’assistito. Secondo la Suprema Corte, le associazioni non riconosciute sono regolate dagli accordi tra gli associati, e ne consegue che rispetto ai crediti per le prestazioni svolte dai singoli professionisti a favore del cliente conferente l’incarico, nel caso in cui detti accordi prevedano che l’associazione possa riscuotere i compensi, essa abbia legittimazione attiva in tal senso. Secondo la sentenza, in contrasto con questi principi la Corte di merito ha negato la legittimazione attiva dello studio senza aver approfondito detta circostanza e quindi escludendo la legittimazione dello studio associato in modo apri olistico e senza aver fatto riferimento alla specifica organizzazione interna. La Suprema Corte ha quindi accolto il ricorso, cassando la sentenza e rinviando ad altra sezione della corte d’appello di Roma anche per le spese.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 22 gennaio – 25 luglio 2019, n. 20185 Presidente Gorjan – Relatore Tedesco Fatti di causa G.S. , in qualità del legale rappresentante dello Studio Associato G. , U. & amp Associati, chiamava in giudizio davanti al Tribunale di Roma C.F. , al fine di ottenere la condanna del convenuto al pagamento della somma di Euro 10.167,99, a titolo di compenti maturati per l’attività svolta in suo favore. A sostegno della domanda deduceva che il convenuto gli aveva conferito, come socio dello studio G. U. & amp Associati, un incarico di assistenza in merito alla soluzione di un contenzioso con la banca Monte dei Paschi di Siena. Lamentava che l’incarico era stato portato a termine, tramite la conclusione di un accordo transattivo con l’istituto bancario, ma il cliente, nonostante vari solleciti, non aveva corrisposto quanto dovuto. Instauratosi il contraddittorio il tribunale rigettava la domanda, accogliendo la eccezione di difetto di legittimazione attiva proposta dal cliente. La Corte d’appello di Roma confermava la sentenza. Essa condivideva la valutazione del primo giudice in ordine al fatto che gli elementi acquisiti alla causa comprovavano che l’incarico era stato conferito al singolo professionista e non collettivamente ai componenti lo studio. Secondo la corte il carattere personale dell’incarico, contraddistinto dal carattere personale e fiduciario che caratterizza le prestazioni professionali protette, ne impediva l’estensione a tutti i professionisti dello studio associato, alla stregua di un mandato conferito agli stessi collettivamente e impersonalmente. Per la cassazione della sentenza G.S. , nella qualità di legale rappresentante dello Studio G. U. & amp Associati, ha proposto ricorso affidato a un unico motivo. C.F. è rimasto intimato. La causa, originariamente avviata per la trattazione dinanzi alla Sesta Sezione Civile della Corte, è stata da questa rimessa alla pubblica udienza con ordinanza del 5 ottobre 2018. Il ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’udienza pubblica. Ragioni della decisione L’unico motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 75 c.p.c., dei principi generali in materia di obbligazioni e contratti e degli art. 18 e 36 Cost La sentenza è censurata perché la corte di merito ha negato la legittimazione attiva dello studio associato in base al rilievo che il cliente aveva conferito il mandato al singolo professionista e non collettivamente a tutti i professionisti dello studio. Si sostiene che la corte d’appello ha confuso due aspetti che sono invece distinti. Il cliente ha certamente il diritto di pretendere che la prestazione sia resa dal professionista a cui aveva conferito l’incarico. Ciò non esclude, però, la facoltà del professionista di avvalersi della propria struttura per lo svolgimento dell’attività e quindi indicare lo studio quale destinatario del pagamento, in base alla decisione, insindacabile e discrezionale, di attribuire il compenso all’associazione professionale. Nel caso in esame, del resto, il cliente era ben consapevole che la complessità dell’incarico, coinvolgente questioni sia giuridiche e sia finanziarie, imponeva il coinvolgimento dei diversi professionisti dello studio associato. In ogni caso il ricorrente evidenzia che l’evoluzione giurisprudenziale in materia impone di riconoscere la legittimazione attiva dello studio associato al fine di ottenere il pagamento del compenso spettante al singolo associato, e ciò in base ai principi in materia di associazioni non riconosciute, nel cui ambito deve farsi rientrare anche il fenomeno delle associazioni fra professionisti. In questo senso i giudici di merito hanno trascurato che il Dott. G. , oltre ad essere il professionista incaricato dal cliente, era il fondatore e il rappresentante legale dello studio e, inoltre, che l’avviso di fattura emesso a conclusione dell’incarico era intestato a Studio G. U. & amp Associati. Il ricorso è fondato. L’art. 36 c.c., stabilisce che l’ordinamento interno e l’amministrazione delle associazioni non riconosciute sono regolati dagli accordi tra gli associati, che ben possono attribuire all’associazione la legittimazione a stipulare contratti e ad acquisire la titolarità di rapporti, poi delegati ai singoli aderenti e da essi personalmente curati. Ne consegue che, ove il giudice del merito accerti tale circostanza, sussiste la legittimazione attiva dello studio professionale associato - cui la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomo centro d’imputazione di rapporti giuridici - rispetto ai crediti per le prestazioni svolte dai singoli professionisti a favore del cliente conferente l’incarico, in quanto il fenomeno associativo tra professionisti può non essere univocamente finalizzato alla divisione delle spese ed alla gestione congiunta dei proventi Cass. n. 15694/2011 n. 15417/2016 n. 9927/2018 . In contrasto con tali principi la corte di merito ha negato la legittimazione attiva dello studio a priori e in linea di principio, in base al rilievo che l’incarico, riguardante una prestazione caratterizzata dall’intuitu personae, fu conferito al singolo professionista, mentre tale circostanza, come emerge dai principi di cui sopra, non contraddice, per ciò solo, la legittimazione dello studio ad agire per il pagamento. In altre parole la legittimazione dello studio associato non può essere esclusa in modo aprioristico, essendo invece necessario far riferimento alla specifica organizzazione interna, individuando in definitiva la volontà dell’associazione. In accoglimento del ricorso la sentenza va pertanto cassata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, che provvederà a nuovo esame attenendosi ai principi di cui sopra e regolerà le spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. accoglie il ricorso cassa la sentenza rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Roma anche per le spese.