Revoca del gratuito patrocinio: sufficiente aver resistito in mala fede o con colpa grave…

La sentenza della seconda sezione civile della Cassazione del 4 luglio 2019, n. 18034 chiarisce quando il giudice possa revocare l’ammissione al gratuito patrocinio già disposta provvisoriamente dal locale Consiglio dell’Ordine e quali siano gli effetti.

Il caso deciso. Nel caso di specie era accaduto che un avvocato, che aveva assistito una parte ammessa al gratuito patrocinio, avesse presentato, all’esito del giudizio che aveva visto la sua cliente soccombente, domanda di liquidazione del compenso condannando l’avvocato al pagamento delle spese processuali. All’esito del giudizio, il giudice di merito aveva disposto la revoca dell’ammissione al gratuito patrocinio e, stante anche la natura retroattiva della revoca, aveva rigettato la domanda di liquidazione del compenso al difensore condannandolo alle spese di lite. Ed infatti, per il giudice l’interessata aveva resistito in giudizio in mala fede o colpa grave dal momento che le pretese della parte erano risultate manifestamente infondate. E ciò perché, la parte aveva confermato in giudizio tutti i fatti posti a fondamento dell’atto di citazione per rilascio di immobile fondato sulla occupazione abusiva dell’immobile da parte della parte ammessa al gratuito patrocinio. A questo punto l’avvocato propone ricorso per cassazione avverso la decisione di rigetto della domanda di liquidazione del compenso che, però, la Cassazione ha ritenuto infondato. La revoca non necessita di una condanna ex art. 96 c.p.c Innanzitutto per la Cassazione la norma sulla revoca dell’ammissione al gratuito patrocinio e, cioè, l’art. 136 d.P.R. n. 115/2002 è chiara con decreto il magistrato revoca l'ammissione al patrocinio provvisoriamente disposta dal consiglio dell'ordine degli avvocati, se risulta l'insussistenza dei presupposti per l'ammissione ovvero se l'interessato ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave. Per la Suprema Corte, quindi, non occorre niente più che l’accertamento dell’aver agito o resistito con mala fede o colpa grave. In particolare, l’art. 136 d.P.R. n. 115/2002 non subordina il provvedimento [di revoca] a una sentenza di condanna ex art. 96 c.p.c.” questa conclusione sarebbe una conclusione del tutto creativa priva di riscontro nel testo di legge. Diritto al compenso nei confronti del cliente. Ed ancora la mancata liquidazione del compenso all’avvocato della parte provvisoriamente ammessa al gratuito patrocinio non si pone in contrasto né con l’art. 2 Cost. né con l’art. 36 Cost. laddove la revoca intervenga nel momento in cui l’attività professionale è stata già svolta. Ed infatti, resta sempre il diritto dell’avvocato a percepire e, quindi, di chiedere alla parte assistita il compenso previsto per l’attività prestata a suo favore. La condanna alle spese dell’avvocato soccombente. Inoltre, per la Cassazione non è possibile accogliere neppure il motivo di ricorso con il quale l’avvocato aveva lamentato di essere stato condannato alle spese di giudizio. Del resto, la ricorrente omette di considerare che la condanna alle spese di lite, in ragione della soccombenza, discende dal mancato accoglimento della domanda di liquidazione dei compensi professionali, che è azionata dal difensore in proprio, in conseguenza della riconosciuta carenza dei presupposti per l’ammissione al gratuito patrocinio e della revoca del beneficio. Procura alle liti e potere di nominare difensori. Da ultimo, merita di essere richiamato il passaggio della motivazione della sentenza con la quale la Cassazione rigetta l’eccezione di inammissibilità del controricorso di Poste Italiane il ricorrente aveva eccepito la mancanza di una valida procura alle liti per il giudizio di cassazione. Per la Cassazione, però, la procura alle liti era stata correttamente conferita alla luce del costante orientamento per cui in tema di rappresentanza processuale, il potere rappresentativo, con la correlativa facoltà di nomina dei difensori e conferimento della procura alla lite, può essere riconosciuto soltanto a colui che sia investito del potere rappresentativo di natura sostanziale in ordine al rapporto dedotto in giudizio”. Ebbene, nel caso di specie nella procura alle liti a margine del controricorso si leggeva l’avv. ha conferito procura agli avvocati indicati in epigrafe in qualità di responsabile della Direzione Affari Legali dell’ente in virtù dei poteri conferiti dal Legale rappresentante p.t. della Società giusta procura per atto notaio”. Si trattava, quindi, di una procura generali alle liti che conferiva al nominato tutti i poteri di rappresentanza sostanziale e processuale, sia come parte attrice che come parte convenuta” dinnanzi a ad ogni autorità giurisdizionale civile e amministrativa” nonché del potere di rappresentare e di difendere in qualsiasi controversia e nominare avvocati” come era stato fatto nel caso di specie.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 8 febbraio – 4 luglio 2019, n. 18034 Presidente Gorjan – Relatore Bellini Fatti di causa A seguito di deposito di istanza di gratuito patrocinio e conseguente ammissione provvisoria disposta dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli in data 8.6.2004, D.P.A. sceglieva l’Avv. C.S. quale difensore nell’ambito di un giudizio civile proposto da POSTE ITALIANE S.P.A. per l’occupazione abusiva di immobile. Assunta la difesa e conclusosi il procedimento con sentenza n. 3006/2006 depositata in data 20.3.2006, l’avv. C. depositava, in data 11.10.2007, istanza di liquidazione di compenso professionale a carico dello Stato. Con provvedimento depositato in data 21.1.2008 il G.U. revocava, con efficacia retroattiva, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, comma 2, l’ammissione al gratuito patrocinio della D.P. , provvisoriamente disposta dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli, ritenendo che l’interessata avesse resistito in giudizio in mala fede o con colpa grave, apparendo le pretese della parte manifestamente infondate ai sensi dell’art. 126 del citato D.P.R. e rigettava, di conseguenza, la richiesta di liquidazione dei compensi professionali. Contro tale decisione l’Avv. C. proponeva reclamo, dichiarato inammissibile dal Tribunale di Napoli, con provvedimento depositato il 10.6.2008, sul presupposto che avverso il decreto di revoca e rigetto dell’istanza di liquidazione non fosse ammesso reclamo. Contro tale provvedimento l’avv. C. proponeva ricorso per cassazione. Con sentenza n. 12235 del 2014, depositata in data 30.5.2014, la Suprema Corte cassava il provvedimento, ravvisando un difetto di contraddittorio nel giudizio svoltosi innanzi al Tribunale di Napoli per la mancata partecipazione necessaria del MINISTERO della GIUSTZIA, rimettendo gli atti al Tribunale di Napoli per l’integrazione del contraddittorio anche nei confronti del detto Ministero. L’Avv. C. riassumeva il giudizio, reiterando la propria richiesta di accoglimento dell’istanza di liquidazione di compensi professionali, previo annullamento del provvedimento di revoca dell’ammissione al gratuito patrocinio e di rigetto del ricorso per liquidazione dei compensi. Si costituiva tardivamente il Ministero della Giustizia nonché Poste Italiane s.p.a., chiedendo il rigetto della domanda, per la propria carenza di legittimazione passiva, e deducendo l’infondatezza della pretesa. Restava contumace D.P.A. . Con ordinanza depositata in data 26.3.2015, il Giudice monocratico rigettava la domanda attorea e, per l’effetto, confermava il provvedimento del 21.1.2008 di revoca dell’ammissione di D.P.A. al gratuito patrocinio e di rigetto dell’istanza di liquidazione dei compensi professionali avanzata dall’Avv. C. , con condanna alle spese del giudizio in favore del Ministero della Giustizia e di Poste Italiane. Avverso detta ordinanza propone ricorso per cassazione l’avv. C. sulla base di quattro motivi resiste Poste Italiane con controricorso il Ministero della Giustizia si è costituito tardivamente al solo fine dell’eventuale partecipazione alla udienza di discussione della causa l’intimata D.P.A. non ha svolto difese. La ricorrente e la controricorrente hanno depositato rispettive memorie. Ragioni della decisione 1. - La ricorrente ha eccepito, in via preliminare, l’inammissibilità del controricorso di Poste Italiane s.p.a., a causa della dedotta invalidità della procura speciale ad litem, in quanto rilasciata da parte di soggetto Avv. Andrea Sandulli, Responsabile della Direzione Affari Legali di Poste Italiane s.p.a. asseritamente non abilitato a conferirla. 1.1. - L’eccezione non è fondata. 1.2. - Le Sezioni Unite di questa Corte Cass. sez. un. 24179 del 2009 hanno affermato che in tema di rappresentanza processuale, il potere rappresentativo, con la correlativa facoltà di nomina dei difensori e conferimento di procura alla lite, può essere riconosciuto soltanto a colui che sia investito di potere rappresentativo di natura sostanziale in ordine al rapporto dedotto in giudizio conf. Cass. n. 16274 del 2015 , con la conseguenza che il difetto di poteri siffatti si pone come causa di esclusione anche della legitimatio ad processum del rappresentante. Tale accertamento, trattandosi di presupposto attinente alla regolare costituzione del rapporto processuale, può essere compiuto in ogni stato e grado del giudizio e quindi anche in sede di legittimità, con il solo limite del giudicato sul punto, e con possibilità di diretta valutazione degli atti attributivi del potere del potere rappresentativo conf. Cass. n. 4924 del 2017 Cass. n. 4248 del 2013 . 1.2. - Nella delega posta a margine del controricorso di Poste Italiane risulta che l’Avv. Andrea Sandulli ha conferito procura agli Avvocati indicati in epigrafe in qualità di responsabile della Direzione Affari Legali dell’Ente, in virtù dei poteri conferiti dal Legale Reppresentante p.t. della Società, Ing. Ca.Fr. , giusta procura per atto notaio A.P. in data 10.6.2014, rep. omissis , registrato l’11.6.2014 . Orbene - con tale procura generale alle liti, in atti poiché ritualmente depositata unitamente al controricorso medesimo v. pag. 14 - l’Avv. Sandulli è stato nominato alla suddetta carica, affinché in nome e per conto della predetta società, provveda a rappresentarla e difenderla in tutti i procedimenti giudiziari in cui la medesima è parte, con conferimento di tutti i poteri di rappresentanza sostanziale e processuale, sia come parte attrice che come parte convenuta, dinanzi ad ogni autorità giurisdizionale civile e amministrativa nonché del potere di rappresentare e difendere in qualsiasi controversia nella propria qualità di avvocato interno della società e nominare avvocati, conferendo loro procura ad litem, in qualsiasi controversia rappresentino e difendano in giudizio la società Poste Italiane s.p.a., tra gli altri, anche innanzi la Corte di Cassazione, la quale, in ragione del deposito agli atti della procura notarile, è stata dunque posta in grado di valutare la sussistenza del potere rappresentativo ed in particolare della facoltà di proporre ricorso per Cassazione cfr. Cass. n. 4924 del 2017, cit. Cass. n. 13207 del 2012 . 2. - Con il primo motivo, la ricorrente lamenta la Nullità dell’ordinanza impugnata per violazione di legge ex art. 111 Cost., per mera apparenza della motivazione , in quanto il provvedimento impugnato ha carattere decisorio e capacità di incidere definitivamente su un diritto soggettivo, per cui il Giudice aveva l’obbligo di un’approfondita disamina logica e giuridica degli atti procedurali e, in particolare, del provvedimento del 21.1.2008, oggetto di doglianza. 2.1. - Il motivo non è fondato. 2.2. - Dalla lettura dell’impugnata ordinanza emerge come il Tribunale di Napoli abbia correttamente motivato il rigetto della domanda attorea, con la conferma del provvedimento emesso in data 21.1.2008. Lungi dal limitarsi come pur avrebbe potuto a richiamare per relationem le argomentazioni svolte in detto provvedimento Cass. n. 2861 del 2019 Cass. n. 28139 del 2018 , il giudice monocratico con una ampia ed esaustiva motivazione ha indicato condividendole le molteplici ragioni poste a base della suddetta pronuncia. Ciò, con particolare riferimento sia alla mala fede o colpa grave della parte assistita dalla ricorrente , per avere resistito nel giudizio, nel quale risultava poi soccombente, nonostante avesse personalmente ammesso alla prima udienza tutti i fatti alla medesima attribuiti in citazione avere occupato abusivamente l’immobile sia alla revoca, per detti motivi, del decreto di ammissione al gratuito patrocinio, con efficacia retroattiva in base all’art. 136, comma 3, cit. D.P.R. sia al conseguente venir meno stante la revoca suddetta del diritto del difensore alla liquidazione delle spese nei confronti dello Stato, in quanto tale diritto presuppone la sussistenza del provvedimento di ammissione al gratuito patrocinio e dunque delle condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 126 e 136 . Contestualmente, il provvedimento impugnato dà altrettanto adeguata risposta alle doglianze mosse dalla ricorrente a sostegno della asserita illegittimità della pronuncia. Se è vero dunque che, in tema di ricorso per cassazione, è nulla la motivazione solo apparente, che non costituisce espressione di un autonomo processo deliberativo, quale la sentenza di appello motivata per relationem alla sentenza di primo grado, attraverso una generica condivisione della ricostruzione in fatto e delle argomentazioni svolte dal primo giudice, senza alcun esame critico delle stesse in base ai motivi di gravame Cass. n. 27112 del 2018 , è altrettanto evidente che, nella specie, vada esclusa la dedotta violazione di legge ex art. 111 Cost., per mera apparenza della motivazione, che come detto non si configura in alcun modo. 2.3. - Piuttosto sotto un profilo d’inammissibilità , l’esplicito richiamo al giudice di attenersi all’ obbligo di un’approfondita disamina logica e giuridica di tutti gli atti procedurali disvela con tutta evidenza come anche si ravvisa negli altri motivi di ricorso come l’impugnazione si risolva nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto e delle conseguenze di diritto come emerse nel corso del procedimento, così mostrando la ricorrente di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità Cass. n. 5939 del 2018 . Compito della Cassazione non è quello di condividere o meno la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, onde sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito Cass. n. 3267 del 2008 , dovendo invece il giudice di legittimità limitarsi a controllare se costui così come nella specie abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile Cass. n. 9275 del 2018 . 3. - Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la Nullità del provvedimento impugnato per violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riferimento al combinato disposto del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, con l’art. 96 c.p.c. , in quanto come specificato in circolare del 12.7.2002 del Consiglio Nazionale Forense che ha interpretato il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136 l’ammissione al gratuito patrocinio disposta dal Consiglio dell’Ordine è provvisoria, potendo essere revocata dal Magistrato con decreto, ai sensi dell’art. 136, in due ipotesi 1 se risulta l’insussistenza dei presupposti per l’ammissione 2 se l’interessato ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave e, cioè, con contegno che potrebbe fondare, in caso di domanda di parte, anche una condanna dell’ammesso al patrocinio ex art. 96 c.p.c. per cui la valutazione del presupposto della responsabilità processuale risulta collegata con la decisione di merito così da comportare la possibilità, ove fosse separatamente condotta, di contrasto pratico di giudicati. 3.1 - Il motivo non può essere accolto. 3.2. - La ricorrente non argomenta circa le ragioni dell’asserita violazione di legge, limitandosi ad evidenziare l’esistenza di una ipotetica lacuna legislativa nel mancato riferimento testuale anche all’art. 96 c.p.c., in tema di revoca del gratuito patrocinio per mala fede o colpa grave. Inconferente il richiamo alla circolare del 12.7.2002 del Consiglio Nazionale Forense riguardante la provvisorietà dell’ammissione al patrocinio disposta dal Consiglio dell’Ordine , la ricorrente intende ricondurre la possibilità di revoca dell’ammissione medesima D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136 oltre che alla insussistenza dei presupposti e al caso in cui l’interessato abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, anche nella ulteriore e diversa ipotesi di domanda di condanna dell’ammesso al patrocinio ai sensi dell’art. 96 c.p.c Poiché, l’art. 136 del cit. D.P.R., individua tra le condizioni di revoca del gratuito patrocinio l’aver agito o resistito con mala fede o colpa grave, ma non subordina il provvedimento a una sentenza di condanna ex art. 96 c.p.c., il motivo mira ad un esito del tutto creativo, senza che si evidenzi, in tal senso, l’interesse della parte, che non risulta esser stata assoggettata a tale condanna. 4. - Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la Nullità del provvedimento impugnato per violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, con particolare riferimento agli artt. 2, 24 e 36 Cost., nonché al D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82, 84, 86, 131 e 134 , rilevando che, nonostante l’art. 2 Cost., stabilisca che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, e tra questi è sicuramente incluso il diritto alla retribuzione per l’opera professionale svolta art. 36 Cost. , il Giudice riteneva di dovere confermare la revoca del gratuito patrocinio, non disposta ex art. 96 c.p.c. in violazione dell’art. 24 Cost. e, di conseguenza, di rigettare l’istanza di liquidazione dei compensi professionali. Inoltre, dal momento che nessuna norma del D.P.R. n. 115 del 2002, prevede il rigetto dell’istanza di liquidazione di compensi del difensore, a seguito della revoca dell’ammissione al gratuito patrocinio disposta ex art. 136 del citato D.P.R., quando l’attività professionale sia stata prestata, il Giudice deve provvedere alla liquidazione. Ciò in quanto è impensabile negare il diritto a percepire il compenso, riconosciuto e garantito dall’art. 36 Cost 4.1. - Il motivo non è fondato. 4.2. - Il Tribunale partenopeo ha ben rilevato che avendo il provvedimento di revoca del beneficio efficacia retroattiva ai sensi dell’art. 136, comma 3, ultimo periodo, D.P.R. cit. viene sì conseguentemente meno il diritto del difensore alla liquidazione delle spese da parte dello Stato, che presuppone la sussistenza e la vigenza del provvedimento di ammissione al gratuito patrocinio ma contestualmente e correttamente ha osservato che ciò non comporta alcuna lesione del diritto del difensore ad agire eventualmente nei confronti del proprio cliente, in virtù del rapporto contrattuale di prestazione d’opera professionale insorto a seguito del rilascio della procura alle liti, per ottenere il pagamento delle spese da esso anticipate e dei compensi maturati nel corso del giudizio . Non è dato, dunque, rilevare alcun vulnus alle indicate disposizioni del citato D.P.R. n. 115 del 2002, rigurdanti peraltro come sottolinato dal giudice di merito fattispecie differenti rispetto a quella in esame. E tantomeno risultano lesi i principi costituzionali evocati non quello fondamentale di cui all’art. 2 Cost. sotteso al generale riconoscimento ed alla tutela dei diritti costituzionali quali appunto il diritto di difesa e di azione, e quello della retribuzione per l’opera professionale svolta né il diritto di difesa ex art. 24 Cost., che risulta garantito non solo al soggetto ammesso al beneficio del gratuito patrocinio, poi revocato, ma anche al legale di questo, con riguardo all’accertamento giurisdizionale della sussistenza o meno dei presupposti del rigetto della richiesta di liquidazione dei compensi professionali ed alla impugnazione del diniego né la tutela di cui all’art. 36 Cost., che, per consolidata giurisprudenza, riguarda soltanto il rapporto di lavoro subordinato, non essendo applicabile al compenso per il lavoro autonomo del professionista intellettuale cfr. ex prurimis Cass. n. 19741 del 2012 Cass. n. 17564 del 2004 Cass. n. 5807 del 2004 v. anche Cass. n. 285 del 2019 . 5. - Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia infine la Nullità del provvedimento impugnato per violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per illegittimità della condanna alle spese in favore dei convenuti disposta in procedimento del D.P.R. n. 115 del 2002, ex artt. 84 e 170 , giacché nella specie risulterebbe violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico dell’avvocato che ha attivato la procedura di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 84, trattandosi di procedura prevista in materia di gratuito patrocinio e, pertanto, rientrante nelle ipotesi di cui all’art. 131. 5.1. - Il motivo non è fondato. 5.2. - È sufficiente rilevare che la ricorrente omette di considerare che la condanna alle spese di lite, in ragione della soccombenza, discende dal mancato accoglimento della domanda di liquidazione dei compensi professionali, che è azionata dal difensore in proprio, in conseguenza della riconosciuta carenza dei presupposti per l’ammissione al gratuito patrocinio e della revoca del beneficio. 6. - Il ricorso va dunque rigettato. Nulla per le spese nei riguardi del Ministero della Giustizia, che si è costituito tardivamente al solo fine dell’eventuale partecipazione alla udienza di discussione della causa, e dell’intimata D.P.A. , che non hanno svolto difese. Condanna, viceversa, la ricorrente alla refusione delle spese di lite in favore della controricorrrente Poste Italiane s.p.a., che liquida in complessivi Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.