Il giuramento decisorio della cliente fa svanire le speranze dell’avvocato di ottenere il compenso

Il giuramento decisorio, sia esso de scientia o de veritate, in quanto mezzo ordinato a troncare la lite mediante il supremo appello che una parte fa alla coscienza dell’avversario , deve essere ammesso anche quando i fatti dedotti siano stati accertati o esclusi dalle risultanze di causa e anche se sia stato deferito in via subordinata.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 16216/19, depositata il 18 giugno. La vicenda. La Corte d’Appello di Milano rigettava il gravame proposto da un avvocato nei confronti della pronuncia di prime cure che aveva rigettato la domanda presentata per ottenere la condanna di un cliente al pagamento del compenso per l’attività professionale svolta. La Corte aveva ritenuto incompatibile la domanda subordinata svolta dalla convenuta di riqualificazione del credito con l’eccezione di prescrizione presuntiva avanzata dalla stessa ex art. 2956, comma 2, c.c Ciò posto, risultava comunque pregiudicato l’esito della lite dal giuramento decisorio deferito alla cliente e reso in senso sfavorevole per l’avvocato. Quest’ultimo impugna le decisione dinanzi alla Suprema Corte. Il giuramento. Il Collegio richiama un consolidato orientamento giurisprudenziale relativo all’applicazione degli artt. 2736 e 2738 c.c. secondo il quale non rileva il deferimento subordinato del giuramento che va ammesso in ogni caso. Infatti il giudice di merito deve sempre disporre il giuramento decisorio, benché deferito in via subordinata, anche se i fatti con esso dedotti siano stati già accertati o esclusi in base alle risultanze probatorie, purchè il contenuto del giuramento abbia il carattere della decisorietà in ordine al thema decidendum oggetto della controversia . Di conseguenza, posto che il giuramento fa dipendere l’esito della lite ai sensi dell’art. 2736 c.c., l’altra parte non è ammessa a provare il contrario art. 2738 c.c. al giuramento decisorio reso consegue in definitiva l’inammissibilità di ogni istanza istruttoria e l’irrilevanza delle prove già assunte. In conclusione, la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 17 ottobre 2018 – 18 giugno 2019, n. 16216 Presidente D’Ascola – Relatore Sabato Rilevato che 1. Con sentenza depositata il 06/04/2017 la corte d’appello di Milano ha rigettato l’appello proposto dall’avv. Guido Liva nei confronti di F.A. avverso pronuncia del tribunale di Milano di rigetto di domanda tesa a ottenere condanna al pagamento di compenso per attività professionale di avvocato. 2. A sostegno della decisione la corte d’appello ha considerato - doversi la domanda subordinata svolta da F.A. di riquantificazione del credito del professionista ritenere incompatibile con l’eccezione di prescrizione presuntiva dalla stessa avanzata ex art. 2956 c.c., comma 2, dunque da rigettarsi a differenza di quanto statuito dal tribunale - essere comunque pregiudicato l’esito della lite dal giuramento decisorio deferito alla signora F. e reso dalla stessa in senso sfavorevole all’avv. Liva, dovendo conseguentemente rigettarsi l’appello pur a fronte di quanto dinanzi affermato. 3. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’avv. Guido Liva su due motivi illustrati da memoria. Ha resistito con controricorso F.A. . 4. Su proposta del relatore, il quale ha ritenuto che il ricorso potesse essere dichiarato manifestamente infondato, con la conseguente definibilità nelle forme dell’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5 , il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio, nella quale il collegio ha deciso in conformità come in appresso. Considerato che 1. Con il primo motivo si deduce violazione degli artt. 2959 e 2960 c.c. censurandosi come erronea la sentenza impugnata p. 4 della stessa nella parte in cui ha affermato che, essendo il deferimento del giuramento decisorio libera scelta della parte, essa ne assume i rischi, consapevole dell’insuperabilità dei suoi effetti e dell’inammissibilità di altre deduzioni istruttorie. Si fa valere come il giuramento fosse stato deferito in via subordinata e come l’argomento della corte d’appello, secondo cui andrebbe necessariamente tenuto conto dell’esito del giuramento pur a fronte di altro materiale probatorio, violerebbe il diritto di difesa. 2. Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 276 c.p.c., affermandosi l’obbligo del giudice - disatteso dalla corte d’appello nel caso di specie - di decidere gradatamente le questioni. 3. I motivi, strettamente connessi, vanno esaminati congiuntamente e dichiarati infondati. 3.1. Va anzitutto affermata, in conformità con un fermo orientamento giurisprudenziale applicativo dell’art. 2736 c.c. per cui dal giuramento si fa dipendere l’esito della lite e dell’art. 2738 c.c. per cui se è stato prestato il giuramento l’altra parte non è ammessa a provare il contrario , che non rileva il deferimento subordinato del giuramento, che va ammesso in ogni caso. In tal senso questa corte cfr. ad es. Cass. n. 11964 del 17/05/2010 e n. 10653 del 13/12/1994 contra, a quanto consta, Cass. n. 2854 del 11/02/2005 afferma che il giudice di merito deve sempre disporre il giuramento decisorio, benché deferito in via subordinata, anche se i fatti con esso dedotti siano stati già accertati o esclusi in base alle risultanze probatorie, purché il contenuto del giuramento abbia il carattere della decisorietà in ordine al thema decidendum oggetto della controversia. 3.2. Va poi affermato, in aggiunta a quanto innanzi, che neppure incide sulla fattispecie il principio di gradata decisione delle questioni. Come si evince dall’art. 276 c.p.c., il principio di graduazione delle questioni è riferito alla deliberazione del provvedimento decisorio, mentre non sussiste alcun principio giuridico anche al precedente principio collegato da cui si evinca un obbligo del giudice di attenersi all’ordine di esame delle istanze di ammissione delle prove costituende o, ancor più, delle risultanze istruttorie proposto da una parte. In particolare, i predetti artt. 2736 c.c. per cui dal giuramento si fa dipendere l’esito della lite e 2738 c.c. per cui se è stato prestato il giuramento l’altra parte non è ammessa a provare il contrario impongono che al giuramento decisorio reso consegua l’inammissibilità di ogni istanza istruttoria e l’irrilevanza delle prove già assunte. 3.3. In tal senso, va data continuità alla giurisprudenza v. Cass. n. 1901 del 27/01/2009 secondo la quale il giudice del merito deve sempre ammettere il giuramento decisorio, sia esso de scientia o de veritate, ed, in particolare, anche quando dalla confessione giudiziale o stragiudiziale o da altra prova privilegiata, già risulti provata una situazione di fatto contraria a quella che con il giuramento si intende provare. Il giuramento decisorio, in quanto mezzo ordinato a troncare la lite mediante il supremo appello che una parte fa alla coscienza dell’avversario, deve essere ammesso anche quando i fatti dedotti siano stati accertati o esclusi dalle risultanze di causa e anche se sia stato deferito in via subordinata, con la sola necessità che i fatti per i quali è deferito abbiano il requisito della decisorietà così Cass. n. 10653 del 13/12/1994 . 4. In definitiva, essendo nel loro complesso infondati i motivi, il ricorso va rigettato, regolandosi le spese secondo soccombenza e secondo la liquidazione di cui al dispositivo ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis. P.Q.M. la corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione a favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200 per esborsi ed Euro 3.500 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.