Bilancio tecnico al 2017: ultima chiamata. Contributo soggettivo piatto o progressivo?

Il bilancio tecnico di Cassa Forense rappresenta l’evoluzione del gruppo degli iscritti negli anni a venire. È lo strumento che consente di apprezzare le dinamiche demografiche ed economiche di Cassa Forense per ciascun anno di futura gestione e si concretizza in un prospetto che sintetizza le future entrate e uscite di Cassa Forense in termini di contributi incassati, rendimenti realizzati e prestazioni pagate con associata la conseguente dinamica del patrimonio.

Orbene dal bilancio specifico, pubblicato da Cassa Forense, risulta che il saldo previdenziale, ovvero le differenze fra contributi e prestazioni, si mostra negativo per gli anni compresi tra il 2042 e il 2062, in peggioramento rispetto al bilancio tecnico del 2014, mentre il saldo gestionale, ossia la differenza fra il complesso delle entrate e delle uscite, risulta sempre positivo per tutti i 50 anni delle proiezioni ma decrescente dal 2032 fino al 2051. È vero che le presenti valutazioni, riferendosi a periodi di tempo così lunghi, producono risultati da interpretarsi con estrema cautela, poiché l’andamento demografico ed economico della gestione si manifesterà nella misura descritta se, e solo se, le numerose ipotesi demografiche e finanziarie poste a base delle elaborazioni troveranno integrale conferma nella realtà perché scostamenti, anche di modesta entità rispetto alle ipotesi fatte, possono produrre forti differenze sui risultati. Questi dati sono però un campanello d’allarme per il legislatore previdenziale di oggi che non può confidare solo sul rendimento del patrimonio. La situazione del reddito professionale e volume d’affari degli iscritti alla Cassa – anno 2017 – è quella che risulta alla pag. 10 del bilancio d’esercizio al 31.12.2018 e che riporto integralmente. Gli avvocati di sesso maschile realizzano guadagni di gran lunga superiori rispetto alle loro colleghe, tuttavia nel 2017 l’aumento del reddito ha riguardato in modo particolare le donne che passano da € 23.115 medi del 2016 a € 23.500 del 2017 +1,7% , mentre i colleghi uomini passano da un reddito di € 52.729 del 2016 a € 52.777 del 2017 +0,1% . Dall’analisi dei dati risulta, pertanto, una situazione in cui il reddito mediamente prodotto ha interrotto, la sua progressione di crescita, fatta eccezione per il dato relativo alle ultime tre dichiarazioni pervenute che sembrano mostrare una certa ripresa. Tuttavia il cambiamento di tendenza riferito ad un solo triennio dichiarativo non consente di affermare che la crisi economica che ha colpito la categoria stia volgendo al termine. Il perseverare del fenomeno di un elevato numero di accessi alla professione forense aveva già comportato un rallentamento della crescita del reddito medio, ma non è sufficiente a spiegare una tale riduzione anche in valore nominale. Sicuramente la femminilizzazione della professione osservata negli ultimi anni, per quanto rilevato sopra, ha reso ancor più evidente la progressiva riduzione del reddito mediamente prodotto dall’avvocatura come si evince dalla tabella che segue. Questi dati ci forniscono altri elementi importanti e cioè che solo l’8-9% degli avvocati italiani dichiarano redditi sopra il tetto pensionabile di € 98.000,00, mentre tutti gli altri si collocano da zero al tetto pensionabile. Il secondo elemento è la forte differenziazione, in termini reddituali, tra avvocati uomini e avvocati donne. Questi dati dovrebbero suggerire al legislatore previdenziale lungimirante l’aumento del contributo soggettivo, in modo da andare a migliorare sia il saldo previdenziale che il saldo gestionale, aiutando così il rendimento del patrimonio a garantire la sostenibilità di lungo periodo. Ma sull’aumento del contributo soggettivo va fatta chiarezza. Oggi il contributo soggettivo è piatto e regressivo. Al di là di ogni considerazione sulla natura giuridica del contributo soggettivo, se cioè sia un’imposizione patrimoniale piuttosto che un’imposta, credo che una riforma equa debba ispirarsi, comunque, all’art. 53 della nostra Carta Costituzionale per ancorare il contributo soggettivo a criteri di progressività. Mi rendo perfettamente conto che andiamo contro il trend di questi tempi che cerca di introdurre la flat tax. La nostra Carta Costituzionale deve diventare la fonte prima d’ispirazione delle considerazioni politiche. Il legislatore, anche quello previdenziale, ha l’obbligo di legiferare in modo pienamente conforme alla Costituzione. Com’è noto l’obiettivo dei Costituenti era chiaro limitare al minimo le imposte proporzionali per potenziare quelle progressive, vera spina dorsale del sistema tributario. Purtroppo nei successivi decenni abbiamo assistito all’attuazione di politiche fiscali con un’impostazione rovesciata nel senso che l’imposta sui consumi proporzionale è quasi raddoppiata l’IVA è salita dal 12% al 22% e probabilmente aumenterà ancora mentre le aliquote fiscali sui redditi sono diventate sempre meno progressive. Il principio dovrebbe essere quello degli studenti della Scuola di Barbiana per i quali Non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali”. Nel caso di specie l’aliquota di contribuzione soggettiva, per incidere sull’effettiva capacità contributiva dell’avvocato, deve risultare progressivamente crescente. La proposta è quindi quella di rivedere la regolamentazione del contributo soggettivo da applicarsi a fasce di reddito informata al criterio della progressività. Possibile? Sì, basta volerlo a prescindere dalla natura giuridica del contributo previdenziale. La base dell’avvocatura che è in difficoltà lo sostiene a spada tratta. Diversamente occorrerà affidarsi al rendimento del patrimonio esponendolo a rischi non consoni alla natura previdenziale delle risorse. Delle due l’una! Traccheggiare non è più possibile.