Confermata la sanzione disciplinare per l’avvocato che non sapeva del decesso della parte assistita

E’ configurabile la violazione dell’obbligo di informazione della parte assistita sullo svolgimento del mandato nel caso in cui l’avvocato abbia proseguito il procedimento nell’inconsapevolezza del decesso del cliente avvenuto diversi anni prima.

Così la sentenza n. 12636/19 depositata dalle Sezioni Unite Civili il 13 maggio. Il caso. Il Consiglio Nazionale Forense confermava la sentenza del COA di Perugia che aveva condannato un avvocato alla censura per violazione dei doveri di lealtà e correttezza previsti dal codice deontologico forense. In particolare, la condotta sanzionata consisteva nell’aver presentato un ricorso in riassunzione ex art. 392 c.p.c. a favore della parte assistita che era però deceduta tempo prima. L’avvocato ha proposto ricorso per cassazione. Illecito disciplinare. Riprendendo la sentenza impugnata, il Collegio sottolinea come correttamente sia stata motivata la sanzione disciplinare a carico dell’incolpata che, nel corso del procedimento, non aveva fornito la prova di aver saputo del decesso del suo assistito, circostanza da cui discende l’addebito di non aver curato l’iniziativa di contattare lo stesso o i suoi familiari per dar conto e convenire le azioni da intraprendere. Le iniziative processuali erano infatti state assunte su iniziativa della ricorrente, violando l’obbligo di informazione con l’assistito per oltre 5 anni al punto di ingenerare nei confronti dei giudici aditi e dei contraddittori processuali l’apparente legittimità dello specifico incarico . Posta dunque la correttezza della qualificazione della condotta contestata, correttamente il giudice di seconde cure ha individuato nella cessazione della condotta l’inizio della decorrenza del termine quinquennale per l’esercizio dell’azione disciplinare. Deve in conclusione ritenersi esclusa la prescrizione dell’azione, invocata dalla ricorrente. La Cassazione rigetta dunque il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 5 giugno 2018 – 13 maggio 2019, n. 12636 Presidente Mammone – Relatore Virgilio Fatti di causa L’avv. T.G. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del Consiglio nazionale forense n. 152 del 2017, depositata il 6 novembre 2017, con la quale è stata confermata la sentenza del Consiglio dell’ordine degli avvocati di Perugia del 2 gennaio 2015, che aveva inflitto alla ricorrente la sanzione disciplinare della censura per violazione dei doveri di lealtà e correttezza prescritti dall’art. 6 del codice deontologico forense vigente ratione temporis. Risulta dalla sentenza impugnata che il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Roma aveva deliberato, nel settembre 2011, l’apertura del procedimento disciplinare a carico dell’avv. T. per i seguenti addebiti in virtù di procura a margine l’avv. T.G. patrocinava il sig. C.A. , nato il omissis , residente all’estero e titolare di pensione in regime internazionale, presentando ricorso per cassazione con atto notificato all’Inps in data 2.12.2005. A seguito di sentenza di accoglimento del ricorso depositava presso la cancelleria della Corte di appello di Roma ricorso in riassunzione ex art. 392 c.p.c., con il quale il predetto sig. C.A. conveniva l’Inps per l’udienza del 12.10.2008. Quanto sopra, malgrado il predetto sig. C.A. risultasse deceduto in data omissis e cioè in epoca precedente la notifica del ricorso per cassazione 2 dicembre 2005 e del ricorso in riassunzione 17 marzo 2008 redatti sulla base di procura a margine degli atti difensivi. Violava con le condotte i doveri di lealtà e correttezza di cui all’art. 6 Codice deontologico forense. In Roma fino alla data dell’apertura del procedimento disciplinare . Successivamente, nel marzo 2012, il COA di Roma, in accoglimento di istanza di ricusazione presentata dalla ricorrente, aveva trasmesso gli atti al Consiglio dell’ordine degli avvocati di Perugia, il quale, con atto di citazione notificato all’incolpata nel settembre 2013, aveva fissato l’udienza di trattazione per il giorno 19 dicembre 2013, poi rinviata al 2 ottobre 2014. Il CNF, per quanto qui rileva, ha ritenuto che a circa la dedotta intervenuta prescrizione dell’azione disciplinare originariamente esercitata dal COA di Roma in quanto le condotte addebitate si sarebbero esaurite il 2 dicembre 2005 data della notifica del ricorso per cassazione all’Inps , il COA di Perugia ha correttamente individuato almeno fino al 12.10.2008 , giorno di trattazione della causa dinanzi alla Corte d’appello di Roma adita in riassunzione, il termine finale delle condotte realizzate dall’incolpata, non aventi carattere istantaneo, bensì perdurante nel tempo b in tema di giudizi disciplinari nei confronti degli avvocati, è sufficiente l’adozione della delibera di apertura del procedimento ai fini dell’interruzione della prescrizione, a prescindere dalla successiva notifica degli stessi atti al professionista è, cioè, idoneo anche il solo compimento degli atti propulsivi, quale manifestazione della volontà di procedere c nel merito, è infondata la tesi della ricorrente secondo cui non si sarebbe verificata alcuna violazione dell’obbligo di informazione verso il cliente, poiché commette un illecito deontologico l’avvocato che svolga il mandato conferitogli senza avere cura di fornire tutte le informazioni possibili, non solo al momento dell’assunzione dell’incarico ma anche e soprattutto durante lo svolgimento dello stesso il dovere d’informazione non è solo finalizzato a non far insorgere pregiudizi in capo all’assistito, ma assolve ad un obbligo più ampio, che deve articolarsi nella rappresentazione dei rimedi esperibili e nella condivisione delle scelte processuali peraltro, correttamente il COA individua nel più ampio dovere di lealtà e correttezza la violazione posta in essere dalla ricorrente d la violazione del dovere di informazione di cui all’art. 27, commi 7 e 8, del nuovo codice deontologico prevede come pena disciplinare edittale quella della censura e non si ravvisano ragioni per addivenire ad una attenuazione della sanzione essendo inequivocabilmente emerso il proseguimento di attività professionale per effetto del decesso della parte assistita in assenza di qualsiasi informativa, o tentativo d’informativa, a favore della stessa o degli eredi . 2. Il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Perugia e il Procuratore generale presso la Corte di cassazione non si sono costituiti. 3. La ricorrente ha depositato memoria. Ragioni della decisione 1.1. Con il primo motivo, la ricorrente, denunciando la violazione o falsa applicazione degli artt. 83, 111 e 112 c.p.c., censura la sentenza impugnata per aver rinvenuto un illecito disciplinare nel fatto che il difensore abbia continuato ad agire pur dopo il decesso del proprio assistito, nonostante che ciò sia avvenuto in forza di valida procura alle liti infatti, sia il ricorso per cassazione, sia il ricorso in riassunzione ex art. 392 c.p.c., sono stati proposti sulla base di procura consolare rilasciata dall’assistito in data 2 luglio 1998 peraltro, quanto alla validità della procura relativa al ricorso per cassazione, vi è il giudicato implicito contenuto nella sentenza della Corte n. 18261 del 2007 . Aggiunge la ricorrente che il CNF ha violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, poiché né l’originario provvedimento di apertura del procedimento del COA di Roma, né l’atto di citazione del COA di Perugia hanno fatto riferimento all’obbligo di informazione o all’utilizzo di un mandato in bianco . 1.2. Col secondo motivo, è denunciata la violazione degli artt. 42, 51, 115 e 116 c.p.c., R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 51, artt. 2934 e 2935 c.c., nonché - ex art. 360 c.p.c., n. 5 - l’omessa valutazione di una circostanza determinante. La ricorrente lamenta l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha individuato il dies a quo di decorrenza della prescrizione dell’azione disciplinare nel 12 ottobre 2008 data di trattazione della causa in riassunzione dinanzi alla Corte d’appello di Roma l’illecito disciplinare addebitato si fonda, infatti, sulla utilizzazione del mandato alle liti posto a margine del ricorso per cassazione, senza che sia ravvisabile continuità con il successivo ricorso in riassunzione, il quale si basava sulla sopra citata procura consolare del 1998. Ne consegue che, quando è intervenuta la notifica dell’atto di citazione del COA di Perugia 24/9/2013 , il termine prescrizionale quinquennale decorrente dall’esaurimento della asserita condotta illecita, e cioè dalla data di deposito, nel 2007, della sentenza della Corte di cassazione, era già spirato. Inoltre, rileva la ricorrente che il giudice a quo non ha considerato che la declaratoria di astensione emessa dal COA di Roma nel marzo 2012 ha determinato, in assenza di espressa statuizione contraria, l’inefficacia di tutti gli atti compiuti dal giudice poi astenutosi. 1.3. Col terzo motivo, infine, si insiste, denunciando la violazione dell’art. 324 c.p.c., sul giudicato interno relativo alla validità del mandato, contenuto nella citata pronuncia di questa Corte. 2.1. Il ricorso, i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente, è infondato. 2.2. Si legge nella sentenza impugnata che il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Perugia, nella pronuncia di primo grado, argomenta circa il comportamento dell’incolpata , osservando come nel corso del procedimento non abbia fornito prova di aver saputo del decesso del suo assistito ed addebitandole di non aver curato l’iniziativa di contattare lo stesso o i suoi familiari per dar conto e convenire le azioni a tutela dello stesso e di aver pertanto assunto le iniziative processuali di propria iniziativa . Ha ritenuto pertanto violato l’obbligo di informazione con l’assistito per oltre 5 anni al punto da ingenerare nei confronti dei giudici aditi e dei contraddittori processuali l’apparente legittimità dello specifico incarico, il tutto in spregio alle responsabilità connesse al rilievo pubblicistico della funzione difensiva . 2.3. Da ciò emerge che il giudice di primo grado, nell’ambito della complessiva condotta contestata alla ricorrente come fonte di illecito disciplinare nella vicenda in esame, ha chiaramente e specificamente individuato e qualificato l’incolpazione essenziale alla stessa addebitata nella violazione dell’obbligo di informazione della parte assistita sullo svolgimento del mandato e sulla necessità di compiere determinati atti a tutela dei suoi interessi obbligo prescritto dall’art. 40 del codice deontologico previgente, ora art. 27 . E, a fronte di tale qualificazione, la ricorrente - come anche in questo caso risulta dalla sentenza del CNF senza che ciò sia smentito nel ricorso - non solo nulla ha eccepito, in appello, in termini di eventuale non correlazione tra addebito contestato e decisione, ma si è, anzi, pienamente difesa nel merito, negando la configurabilità della violazione ascrittale, con conseguente formazione del giudicato interno sul punto. 2.4. Discende da quanto esposto la correttezza della sentenza impugnata, là dove il giudice d’appello, sulla base della suddetta incolpazione e della sua natura permanente, ha individuato la cessazione della condotta, e dunque l’inizio della decorrenza del termine prescrizionale quinquennale per l’esercizio dell’azione disciplinare, quanto meno nella data di trattazione dell’udienza dinanzi alla Corte d’appello di Roma adita in riassunzione, cioè nel giorno 12 ottobre 2008, con conseguente esclusione della prescrizione, essendo stato l’atto di citazione del COA di Perugia notificato all’incolpata, come detto sopra, il 24 settembre 2013. 3. Il ricorso va, in conclusione, rigettato. 4. Non v’è luogo a provvedere sulle spese, in assenza di attività difensiva da parte del Consiglio dell’ordine degli avvocati di Perugia. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.