Basta una generica contestazione sulla pretesa dell’avvocato per determinare l’onere probatorio a suo carico

In tema di opposizione a decreto ingiuntivo per il pagamento di diritti ed onorari di avvocato, anche qualora venga avanzata dal cliente una contestazione generica e non specifica, permane in capo al professionista l’onere probatorio inerente all’ an e al quantum della sua pretesa.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione con ordinanza n. 11790/19 depositata il 6 maggio. Il caso. Dichiarata improcedibile dal Tribunale di Roma l’opposizione a decreto ingiuntivo e rigettato l’appello proposto avverso tale pronuncia, la cliente decide di ricorrere in Cassazione deducendo che i Giudici territoriali hanno erroneamente ritenuto sufficiente, a fondamento della pretesa relativa al compenso dell’avvocato e pur in presenza di una sua contestazione specifica, la mera allegazione della documentazione prodotta dal professionista, in relazione all’attività espletata e alle tariffe legali applicate, in sede monitoria. Onere probatorio dell’avvocato. Ritenendo il motivo di ricorso meritevole di accoglimento, la Corte di Cassazione ribadisce il principio secondo cui, in tema di opposizione a decreto ingiuntivo per il pagamento di diritti ed onorari di avvocato o procuratore, la contestazione comunque mossa dall’opponente circa la pretesa fatta valere dall’opposto sulla base della parcella corredata dal parere del COA non deve necessariamente avere carattere specifico, essendo sufficiente una contestazione anche di carattere generico ad investire il giudice del potere-dovere di dar corso alla verifica della fondatezza della contestazione e, correlativamente, a determinare l’onere probatorio a carico del professionista in ordine tanto all’attività svolta quanto alla corretta applicazione della pertinente tariffa . Da ciò discende che, anche a fronte di una contestazione generica, l’avvocato è comunque tenuto ad assolvere il relativo onere probatorio inerente all’ an e al quantum della pretesa. Pertanto, avendo la Corte territoriale erroneamente escluso la necessità di tale assolvimento, e illegittimamente confermato il decreto ingiuntivo, il Collegio di legittimità cassa la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 10 gennaio – 6 maggio 2019, n. 11790 Presidente D’Ascola – Relatore Carrato Fatti di causa e ragioni della decisione Con ordinanza in data 19 marzo 2014 il Tribunale di Roma - pronunciando sull’opposizione a decreto ingiuntivo proposta da M.N. nei confronti dell’avv. C.R. - dichiarava l’improponibilità della stessa, ordinando la cancellazione della causa dal ruolo sul presupposto che era stata formulata tardivamente, concedendo la provvisoria esecuzione del decreto monitorio. Decidendo sull’appello proposto avverso la suddetta ordinanza, la Corte di appello di Roma, con sentenza n. 6107/2017 depositata il 29 settembre 2017 , previo accoglimento del pregiudiziale motivo sulla tempestività dell’opposizione ex art. 645 c.p.c., la rigettava, regolando le spese del giudizio. A sostegno dell’adottata decisione la Corte capitolina rilevava che l’opposizione non poteva considerarsi fondata siccome poggiante sulla mera contestazione del compenso richiesto dall’avv. C. , senza, tuttavia, assolvere all’onere di indicare su quali aspetti del credito azionato erano state formulate le critiche attinenti all’an e al quantum. Contro la richiamata sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione l’appellante soccombente M.N. , articolato in due motivi, al quale ha resistito con controricorso l’intimato. Con il primo motivo la ricorrente ha dedotto - ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 - il vizio di violazione di legge riferito agli artt. 342 e 346 c.p.c. e/o di nullità del procedimento o della sentenza in relazione all’art. 112 c.p.c. , prospettando che la Corte territoriale aveva emesso una pronuncia di rigetto nel merito sull’errato presupposto che l’appello non conteneva la denuncia di specifici motivi afferenti anche all’oggetto non analizzato e/o deciso dal primo giudice ovvero sull’erroneo presupposto che l’atto di appello non conteneva la riproposizione delle ragioni e delle richieste di primo grado. Con il secondo motivo la ricorrente ha denunciato - con riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5 - la violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 645 c.p.c. nonché il vizio di nullità del procedimento o della sentenza in relazione all’art. 112 c.p.c. oltre a quello dell’apparente motivazione o dell’omesso esame di fatti decisivi, per aver la Corte di appello erroneamente ritenuto che la contestazione sul valore probatorio della parcella dell’avvocato e del conseguente parere del Consiglio dell’Ordine dovesse essere specifica, invertendo illegittimamente l’onere probatorio gravante sul professionista-opposto, che nel giudizio di opposizione a decreto monitorio aveva assunto la veste sostanziale di attore, omettendo ogni esame degli atti difensivi contenenti contestazioni specifiche. Su proposta del relatore, il quale rilevava che il primo motivo potesse essere ritenuto manifestamente infondato e che il secondo fosse invece manifestamente fondato in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5 il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio, in prossimità della quale il difensore della ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c Rileva il collegio che il primo motivo deve essere dichiarato propriamente inammissibile per difetto di specificità della relativa censura non avendo la ricorrente assolto all’onere di indicare in modo sufficientemente adeguato la portata e l’oggetto delle critiche avverso la sentenza di primo grado con riferimento alle effettive contestazioni relative al credito vantato dall’opposto, non risultando certamente idoneo al riguardo il mero richiamo alle ragioni già esposte nell’atto di opposizione formulato ai sensi dell’art. 645 c.p.c È, invece, fondato il secondo motivo poiché la Corte di appello capitolina - previa rilevazione dell’ammissibilità della censura inerente il valore delle prove documentali offerte dall’avv. C. a conforto del proposto ricorso per decreto ingiuntivo - ha respinto illegittimamente sul punto il gravame ritenendo bastevole a tal proposito, a fondamento della pretesa del suddetto professionista e pur in presenza di una contestazione comunque formalizzata dalla M. , la mera allegazione della documentazione dallo stesso prodotta in sede monitoria con riferimento all’asserito espletamento e alla consistenza della dedotta attività nonché all’applicazione delle tariffe legali. Così statuendo, però, il giudice di appello ha violato le norme di cui alla censura in esame, disattendendo il pacifico orientamento giurisprudenziale di questa Corte con cui è stato affermato il principio cfr. Cass. n. 942/1995 Cass. n. 10150/2003 Cass. n. 14556/2005 e, nella sua esatta interpretazione, Cass. n. 230/2016 - travisato nell’impugnata sentenza - secondo cui, in tema di opposizione a decreto ingiuntivo per il pagamento di diritti ed onorari di avvocato o procuratore, la contestazione comunque mossa dell’opponente circa la pretesa fatta valere dall’opposto sulla base della parcella corredata dal parere del Consiglio dell’Ordine non deve necessariamente avere carattere specifico, essendo sufficiente una contestazione anche di carattere generico ad investire il giudice del potere - dovere di dar corso alla verifica della fondatezza della contestazione e, correlativamente, a determinare l’onere probatorio a carico del professionista in ordine tanto all’attività svolta quanto alla corretta applicazione della pertinente tariffa. Da ciò consegue che, pur a fronte di siffatta contestazione generica, il professionista è, comunque, tenuto ad assolvere il relativo onere probatorio inerente tanto all’an che al quantum, che, invece, la Corte territoriale non ha ritenuto erroneamente necessario, così pervenendo illegittimamente alla conferma del decreto ingiuntivo, prescindendo, cioè, dall’acquisizione della suddetta prova. In definitiva, alla stregua delle argomentazioni complessivamente svolte, deve essere dichiarato inammissibile il primo motivo del ricorso ed accolto il secondo, con conseguente relativa cassazione dell’impugnata sentenza ed il rinvio della causa alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che, oltre a conformarsi al richiamato principio di diritto, provvederà a regolare anche le spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il primo motivo ed accoglie il secondo cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione.