Credito privilegiato del professionista: è riconosciuto solo se l’attività è svolta a titolo individuale

Il privilegio di cui all'art. 2751-bis, comma 1, n. 2, c.c. va riconosciuto allorquando il professionista dimostri che il credito si riferisca ad una prestazione da lui svolta personalmente, in via esclusiva o prevalente, e sia di pertinenza dello stesso professionista, anche se formalmente richiesto dall'associazione.

Con la pronuncia del 21 febbraio 2019, n. 5248, il S.C. conferma il consolidato orientamento per il quale il privilegio ex art. 2751-i, n. 2, c.c. deve essere riconosciuto al solo professionista che svolge la propria attività individualmente e non in caso di attività svolta, considerando le fasi di espletamento dell’incarico, da uno studio associato o da una associazione. Il caso. La vicenda decisa dalla Cassazione ha origine dall’opposizione, promossa da un professionista, avverso un decreto di ammissione al passivo fallimentare che però non riconosce il privilegio ex art. 2751- bis , n. 2, c.c., ritenendo che l’attività sia stata sostanzialmente svolta non dal professionista ma dallo studio nel quale opera. Il S.C. conferma il decreto rilevando la mancanza di prova in ordine allo svolgimento, a titolo individuale, dell’incarico assunto ed effettivamente portato a termine. Privilegio del professionista quando è riconosciuto? Secondo l’interpretazione pressoché unanime della giurisprudenza, il credito, che costituisce in via prevalente la remunerazione di una prestazione lavorativa resa personalmente da un professionista, è tutelato dall'art. 2751- bis c.c., qualora l'istante dimostri che il credito si riferisca a una prestazione svolta personalmente dal professionista, in via esclusiva o prevalente, e sia di pertinenza dello stesso professionista. Privilegio e credito ceduto. Il privilegio in questione sussiste, peraltro, indipendentemente dal fatto che il prestatore abbia inteso organizzare il proprio lavoro in forma associativa e che il privilegio del credito sia fatto valere dallo studio associato, eventuale cessionario del credito stesso. Va escluso, infatti, che il credito privilegiato nascente dal rapporto negoziale che si instaura fra il cliente ed il singolo professionista degradi a chirografo nel caso in cui sia oggetto di cessione all'associazione cui il professionista appartiene al contrario, è questa la sola ipotesi in cui anche lo studio associato sarà legittimato a far valere il diritto al privilegio. Insinuazione nel passivo dello studio associato privilegio o no? Diversa la situazione, invece, qualora l’attività sia non direttamente o in prevalenza riconducibile al professionista. La domanda di insinuazione al passivo fallimentare proposta da uno studio associato – infatti - fa presumere l'esclusione della personalità del rapporto d'opera professionale da cui quel credito è derivato e, dunque, l'insussistenza dei presupposti per il riconoscimento del privilegio ex art. 2751- bis , n. 2, c.c., salvo che l'istante dimostri che il credito si riferisca ad una prestazione svolta personalmente dal professionista, in via esclusiva o prevalente, e sia di pertinenza dello stesso professionista, pur se formalmente richiesto dall'associazione professionale. Privilegio del professionista per quanto tempo? Il privilegio ex 2751- bis , n. 2, c.c., è però limitato ai compensi dovute per le prestazioni degli ultimi due anni. In particolare, il biennio in esame decorre dal momento in cui l'incarico professionale è stato portato a termine o è comunque cessato. Privilegio anche se il professionista opera in uno studio associato. Il privilegio generale sui beni mobili del debitore in questione trova applicazione anche nel caso in cui il creditore sia inserito in un'associazione professionale, costituita con altri professionisti per dividere le spese e gestire congiuntamente i proventi della propria attività, a condizione che il rapporto di prestazione d'opera si instauri tra il singolo professionista ed il cliente, soltanto in tal caso potendosi ritenere che il credito abbia per oggetto prevalente la remunerazione di un'attività lavorativa, ancorché comprensiva delle spese organizzative essenziali al suo autonomo svolgimento. Nel caso di specie il S.C. ha rilevato che, correttamente, il Tribunale aveva valuto come non svolta individualmente l’attività da retribuire, mancando la prova di un incarico individuale circostanza desumibile dall’incarico rilasciato congiuntamente anche ad altro professionista e dalla corrispondenza intercorsa tra le parti. Privilegio del professionista e onere della prova. Spetta infatti al professionista, in applicazione del principio di cui all’art. 2697 c.c., provare che il credito si riferisca alla prestazione svolta personalmente dal professionista in via esclusiva o prevalente e sia di pertinenza dello stesso professionista. Ciò che occorre accertare ai fini del riconoscimento del privilegio di cui all'art. 2751- bis , n. 2, c.c., non è se il professionista richiedente abbia o meno organizzato la propria attività in forma associativa, ma se il cliente abbia conferito l'incarico dal quale deriva il credito a lui personalmente ovvero all'entità collettiva associazione, studio professionale nella quale, eventualmente, egli è organicamente inserito quale prestatore d'opera qualificato nel primo caso il credito ha natura privilegiata, in quanto costituisce in via prevalente remunerazione di una prestazione lavorativa, ancorchè necessariamente ossia a prescindere dal fatto che lo studio sia nella titolarità di un singolo o di più professionisti comprensiva delle spese organizzative essenziali al suo autonomo svolgimento, mentre nel secondo ha natura chirografaria, perchè ha per oggetto un corrispettivo riferibile al lavoro del professionista solo quale voce del costo complessivo di un'attività che è essenzialmente imprenditoriale. Ne consegue che è necessaria una rigorosa indagine sul concreto espletamento della prestazione professionale, tenendosi anche conto della dimensione dell'associazione professionale, ed il riconoscimento del privilegio in oggetto limitatamente al credito o alla parte di esso per il quale sia stata data dalla parte la prova rigorosa in oggetto.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 20 dicembre 2018 – 21 febbraio 2019, n. 5248 Presidente Iofrida - Relatore Campese Ragioni di fatto e di diritto della decisione 1. L’Avv. Prof. C.F. , in proprio e quale legale rappresentante dello studio legale C. e Associati, ricorre per cassazione, affidandosi a due motivi, avverso il decreto del Tribunale di Arezzo del 5/6 giugno 2014, che, accogliendone parzialmente l’opposizione ex art. 99 L. Fall. e D.Lgs. n. 279 del 1999, art. 53, lo aveva ammesso al passivo dell’amministrazione straordinaria apertasi a carico della Eutelia s.p.a. per la maggior somma rispetto a quella di cui al decreto di esecutività dello stato passivo di Euro 141.399,00, oltre CPA ed IVA come per legge, negandogli, però, l’invocato privilegio ex art. 2751-bis c.c., n. 2. Resiste con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ., la suddetta società in amministrazione straordinaria. 1.1. Per quanto qui di residuo interesse, quel tribunale confermò il diniego del richiesto privilegio assumendo che, malgrado nell’istanza di ammissione al passivo si facesse riferimento alla natura personale delle prestazioni professionali fornite dall’Avv. Prof. C.F. in favore di Eutelia s.p.a., dall’esame della complessiva documentazione prodotta emergeva, invece, che la collaborazione professionale avesse avuto, sostanzialmente, come referente lo studio associato nel suo insieme, anziché, singolarmente, il suddetto professionista, benché figura più eminente di quello studio. 2. I formulati motivi denunciano, rispettivamente 1 violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 2751-bis c.c., n. 2, e art. 2231 c.c., art. 83 c.p.c., R.D.L. n. 1578 del 1933, artt. 1 e 17, con riferimento all’esclusione del riconoscimento del privilegio, ex art. 2751-bis c.c., n. 2, al credito dell’avvocato, facente parte di un’associazione professionale, derivante da prestazione di attività giudiziale 2 violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 2751-bis c.c., n. 2, e art. 2232 c.c., con riferimento al mancato riconoscimento del privilegio, ex art. 2751-bis c.c., n. 2, al credito dell’avvocato, facente parte di un’associazione professionale, derivante da prestazione di attività stragiudiziale . 2.1. Con essi si sostiene, quanto alla descritta attività giudiziale, che le prestazioni professionali nei confronti di Eutelia s.p.a. erano state svolte personalmente dall’odierno ricorrente, e che la circostanza che la procura alle liti, nei relativi procedimenti, fosse stata rilasciata anche all’Avv. Ca.Fa. non aveva alcuna rilevanza ai fini dell’esclusione del privilegio oggi dal primo invocato, documentando, semmai, la sussistenza di un autonomo diritto di credito anche di detto secondo professionista circa, invece, la svolta attività stragiudiziale, si afferma che la motivazione adottata, in parte qua, dal tribunale aretino sarebbe errata perché fondata su presupposti di fatto non corrispondenti al vero, né oggetto di accertamento istruttorio o di contraddittorio. 3. Tali doglianze, esaminabili congiuntamente perché connesse, sono infondate. 3.1. Giova premettere che il privilegio generale sui mobili del debitore, previsto dall’art. 2751-bis c.c., n. 2, garantisce solo i compensi professionali spettanti al singolo professionista o prestatore d’opera per il lavoro personale svolto in forma autonoma, con esclusione di quei compensi che, sia pure in misura minima, contengano remunerazione di capitale. Quest’ultima fattispecie ricorre necessariamente ogni qual volta venga in considerazione l’ipotesi di compensi dovuti a professionisti che esercitino la loro attività lavorativa in forma societaria cfr. Cass. n. 5002 del 2000, richiamata, in motivazione, dalla più recente Cass. n. 9927 del 2018 . 3.2. Certamente il fatto che il creditore sia inserito in un’associazione professionale, costituita con altri professionisti per dividere le spese e gestire congiuntamente i proventi della propria attività, non può comportare di per sé, quale conseguenza automatica ed indefettibile, la inapplicabilità del privilegio di cui alla citata norma. Tuttavia, è pur sempre necessario che, in siffatta ipotesi, il rapporto di prestazione d’opera si instauri esclusivamente e direttamente tra il singolo professionista ed il cliente, soltanto in tal caso potendosi ritenere che il credito abbia per oggetto prevalente la remunerazione di un’attività lavorativa, ancorché comprensiva delle spese organizzative essenziali al suo autonomo svolgimento cfr. sostanzialmente in tal senso, ex multis, Cass. n. 22439 del 2009 Cass., n. 17027 del 2013 Cass. n. 9927 del 2018 Cass. n. 15290 del 2018 Cass. n. 20438 del 2018 . 3.2.1. In tale prospettiva, peraltro, si è anche affermato che la domanda di insinuazione al passivo fallimentare proposta da uno studio associato fa presumere l’esclusione della personalità del rapporto d’opera professionale da cui quel credito è derivato, e, dunque, l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento del privilegio ex art. 2751-bis c.c., n. 2. Resta, però, salva l’ipotesi - nella quale il privilegio può trovare applicazione - che l’istante dimostri che il credito si riferisca ad una prestazione svolta personalmente dal professionista, in via esclusiva o prevalente, e sia di pertinenza dello stesso professionista, pur se formalmente richiesto dall’associazione professionale cfr. Cass., 31/03/2016, n. 6285 del 2016, anch’essa richiamata, in motivazione, dalla più recente Cass. n. 9927 del 2018 . 3.3. Orbene, nel caso di specie, come emerge dall’intestazione dell’impugnato decreto oltre che da quella dell’odierno ricorso , l’Avv. Prof. C.F. ha invocato l’ammissione, in via privilegiata, del credito complessivamente descritto, derivante da prestazioni giudiziali e stragiudiziali svolte nell’interesse di Eutelia s.p.a., dichiarando di agire in proprio e quale socio e rappresentante legale dello studio legale C. e Associati , già così facendo ragionevolmente sorgere il dubbio - per le ragioni suesposte - che il rapporto non si fosse svolto soltanto tra la beneficiaria delle prestazioni ed il medesimo personalmente, bensì con quest’ultimo anche nell’interesse della suddetta associazione tra esercenti la professione legale. 3.3.1. L’odierno ricorrente, poi, nemmeno ha fornito, nel giudizio di merito, una prova idonea a far concludere nel senso che, nella specie, il rapporto di prestazione d’opera effettivamente si fosse instaurato, esclusivamente e direttamente, tra lui e la menzionata società, avendo il Tribunale di Arezzo affermato, sulla base di un accertamento in fatto qui, evidentemente, non sindacabile, che, malgrado nell’istanza di ammissione al passivo si facesse riferimento alla natura personale delle prestazioni professionali fornite dall’Avv. Prof. C.F. in favore di Eutelia s.p.a., dall’esame della complessiva documentazione prodotta emergeva, invece, che la collaborazione professionale avesse avuto, sostanzialmente, come referente lo studio associato nel suo insieme, anziché, singolarmente, il suddetto professionista, benché questi ne fosse la figura più eminente cfr. amplius, pag. 3-4 del decreto impugnato . 3.3.2. Il diniego opposto dal tribunale aretino al riconoscimento dell’invocato privilegio, dunque, assolutamente rispettoso dei principi giurisprudenziali in precedenza richiamati, risulta affatto immune dai vizi oggi ascrittigli dall’Avv. Prof. C.F. , il quale, peraltro, contesta la ricostruzione dei fatti e valutazione delle prove contenuta nel decreto di quel tribunale, rivelandosi, su questi specifici punti, le sue censure radicalmente inammissibili perché volte a criticare il merito della decisione impugnata e, in particolare, l’insindacabile indagine sui fatti dalla quale è scaturita la qualificazione giuridica dell’incarico professionale come non di natura personale, completamente obliterando, così, la costante giurisprudenza di legittimità che esclude che la denuncia di violazione di legge possa essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie cfr. Cass. n. 195 del 2016 Cass. n. 26110 del 2015 Cass. n. 8315 del 2013 Cass. n. 16698 del 2010 Cass. n. 7394 del 2010 Cass., SU. n. 10313 del 2006 . 3.3.3. In definitiva, i formulati motivi, pur denunciando, apparentemente, violazioni di legge ad opera del provvedimento impugnato, mostrano entrambi di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonché la più recente Cass. n. 8758 del 2017 . 4. Il ricorso va, dunque, respinto, restando le spese del giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza, dandosi atto, altresì, in assenza di ogni discrezionalità al riguardo cfr. Cass. n. 5955 del 2014 Cass., S.U., n. 24245 del 2015 Cass., S.U., n. 15279 del 2017 della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, applicabile ratione temporis, essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013 , in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione norma in forza della quale il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che definisce quest’ultima, a dare atto della sussistenza dei presupposti rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione per il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna l’Avv. Prof. C.F. , in proprio e nella indicata qualità, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, giusta il comma 1-bis dello stesso art. 13.