Il valore della causa è indeterminabile quando l’oggetto non è suscettibile di valutazione economica precisa

In tema di liquidazione dell'onorario spettante all'avvocato, la determinazione del valore della causa, anche ai fini dell'individuazione dello scaglione tariffario applicabile, va effettuata a norma del codice di procedura civile, con la conseguenza che, in mancanza di concreti ed attendibili elementi per la stima precostituiti e disponibili fin dall'introduzione del giudizio, deve ritenersi di valore indeterminabile la domanda di risarcimento, nella quale gli elementi di valutazione del danno, del quale si chiede il ristoro, costituiscano l'oggetto, o uno degli oggetti, dell'accertamento e della quantificazione rimessi al giudice.

Così la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 4832/19, depositata il 19 febbraio. Il caso. Due avvocati avevano adito il Tribunale di Milano chiedendo la liquidazione degli onorari per l’attività difensiva svolta in favore di una Regione, in una causa di risarcimento dei danni da disastro ambientale, promossa nei confronti di una società fino alla revoca del mandato, conferito loro nel 2003. Nel 2009, il giudice di primo grado, con ordinanza, liquidava, in favore di un legale, una somma per l’attività professionale svolta in favore della Regione, respingendo, invece, l’analogo ricorso, proposto dall’altro avvocato, sostenendo che lo stesso aveva percepito, anteriormente all’introduzione del giudizio, quanto dovutogli per l’attività professionale prestata. Ad avviso del Tribunale la causa, di natura risarcitoria, doveva ritenersi di valore indeterminabile, poiché la Regione aveva svolto una serie di domande risarcitorie che, soltanto in minima parte, avevano ad oggetto un danno patrimoniale quantificato in modo preciso secondo criteri di stima predefiniti, mentre gli altri danni non erano quantificabili e si chiedeva al giudicante di provvedere alla loro liquidazione a seguito di opportuna istruttoria o criterio equitativo. Il giudice milanese, quindi, aveva ritenuto corretta la liquidazione degli onorari operata dalla Regione, la quale aveva applicato lo scaglione tariffario previsto per le cause di valore indeterminato di particolare importanza, moltiplicando per quattro volte il valor complessivo degli stessi. I due legali, ritenendo che l’ordinanza emessa avesse natura sostanziale di sentenza, proponevano contro la stessa ricorso in Appello e contemporaneamente ricorso per Cassazione. Nel giudizio di Appello, la Regione si costituiva eccependo l’inammissibilità dell’impugnazione e insistendo per la conferma dell’ordinanza. Nel 2012 la Corte di Cassazione dichiarava il ricorso inammissibile. Nel 2013, con sentenza, la Corte di Appello di Milano respingeva il ricorso proposto, confermando l’ordinanza emessa dal Tribunale milanese in primo grado. Avverso la sentenza i due legali proponevano ricorso per Cassazione, fondato su tre motivi. La Regione resisteva in giudizio con controricorso. I motivi di impugnazione. Gli attori, con il primo motivo si dolevano del fatto che, sia la Corte territoriale, sia il giudice di prime cure, non avrebbero considerato l’esistenza di un accordo tra i due avvocati e la Regione stessa che predeterminava sia l’entità del compenso che il valore del giudizio. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentavano l’omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, essendo stata ritenuta la controversia di valore indeterminabile. Con il terzo motivo, gli attori ritenevano che, avendo un valore determinato quantomeno una delle voci di danno, ossia quella relativa ai costi di bonifica, la Corte territoriale avrebbe dovuto applicare lo scaglione posto a base della redazione della nota specifica di cui si era chiesto il pagamento con il ricorso rigettato dal Tribunale. Osservazioni della Corte di Cassazione. Ad avviso dei Supremi Giudici, il primo motivo di ricorso è in parte inammissibile e in parte infondato. Più specificamente, è inammissibile nella parte in cui i ricorrenti affermano l’esistenza di un accordo con la Regione ma non ne riportano il contenuto e non indicano dove si trovi il documento all’interno dell’incartamento processuale, considerato che un contratto con la PA non può non avere forma scritta. Infondato per la parte in cui ritiene che la Corte d’Appello non abbia osservato la normativa di cui agli artt. 10 e 14 c.p.c. perché, come affermato, il valore della controversia era indeterminato ab initio . Secondo la Suprema Corte il giudice deve verificare, di volta in volta, l’attività difensiva che il legale ha svolto, tenuto conto delle peculiarità del caso specifico, in modo da stabilire se l’importo oggetto della domanda possa costituire un parametro di riferimento idoneo ovvero se lo stesso si riveli del tutto inadeguato all’effettivo valore della controversia, perché, in tale ultima eventualità, il compenso preteso alla stregua della relativa tariffa non può essere ritenuto corrispettivo della prestazione espletata. Inammissibile è considerato anche il secondo motivo di impugnazione. I Giudici della legittimità, infatti, ritengono che il tenore della censura richiama il testo dell’art. 360, comma 5, c.p.c. nella sua versione anteriore alla novella introdotta nel 2012, non più applicabile al caso de quo, essendo stata - la sentenza della Corte di Appello - depositata nel 2013. Attualmente, il novellato comma 5 dell’art. 360 c.p.c. legittima la censura soltanto per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti . E’ stato dunque eliminato ogni tipo di riferimento all’insufficienza e alla contraddittorietà e addirittura la stessa parola motivazione. Ciò che rileva, pertanto, è la pretermissione di quei dati materiali, acquisiti e dibattuti nel processo, aventi portata idonea a determinare direttamente un diverso esito del giudizio. Infine, inammissibile è ritenuto anche il terzo motivo del ricorso che parte da un presupposto non sussistente, avendo la Corte territoriale ritenuto di valore indeterminato anche la voce di danni relativa ai costi di bonifica. Conclusione. I Giudici della Seconda Sezione civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza in oggetto, rigettano il ricorso e condannano i ricorrenti, in solido, a rimborsare alla parte controricorrente le spese del giudizio di legittimità. Danno, altresì, atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 3 ottobre 2018 – 19 febbraio 2019, n. 4832 Presidente Manna - Relatore Scalisi Fatti di causa il Tribunale di Milano, adito ai sensi della L. n. 794 del 1942, art. 28, con ordinanza pubblicata, in data 20.1.2009, liquidava, in favore dell’avv. L.R.C. , la somma di Euro 58.780,00 per onorari ed Euro 2.543,00 per diritti, oltre accessori di legge per l’attività professionale svolta in favore della Regione Calabria. Respingeva l’analogo ricorso, proposto dall’avv. Z.V. , dando atto che il predetto legale aveva percepito, prima dell’introduzione del giudizio, quanto dovuto per l’attività professionale prestata, per l’importo di Euro 91.693,39. Il Tribunale così descriveva i fatti oggetto di causa. I ricorrenti avevano chiesto la liquidazione degli onorari per l’attività difensiva svolta, in favore della Regione Calabria, in una causa di risarcimento dei danni da disastro ambientale, promossa nei confronti della società Syndial s.p.a. già Enichem s.p.a. fino alla revoca del mandato, loro conferito con decreto n. 3963 del 9.12.2003 che prevedeva un compenso commisurato al minimo della tariffa professionale da dividere tra i due difensori . In tale giudizio, la richiesta risarcitoria era stata formulata nel complessivo importo di Euro 879.114.225,77 e nel procedimento di liquidazione degli onorari il valore della controversia era stato indicato nella predetta somma complessiva, costituita dalla sommatoria delle varie voci di danno lamentate. Ciò premesso, il Tribunale osservava che il decreto dell’avvocatura regionale, in data 9.12.2003, nulla prevedeva circa il valore della causa, cui fare riferimento per l’individuazione dello scaglione tariffario, sul quale calcolare i compensi professionali e, pertanto, la causa, di natura risarcitoria, era da ritenersi di valore indeterminabile, in quanto la Regione Calabria aveva svolto una serie di domande risarcitorie che, solo in minima parte avevano ad oggetto un danno patrimoniale quantificato in modo preciso, secondo concreti elementi di stima predefiniti gli altri danni non erano quantificabili, tanto è vero che si richiedeva al giudice di provvedere alla loro liquidazione a seguito di opportuna istruttoria o criterio equitativo . Per tali motivi, il Tribunale di Milano, riteneva corretta la liquidazione degli onorari, operata dalla Regione Calabria, che aveva applicato lo scaglione tariffario previsto per le cause di valore indeterminabile di particolare importanza, moltiplicando per quattro volte il valore complessivo degli stessi. Gli avvocati L.R.C. e Z.V. , ritenendo che l’ordinanza resa dal Tribunale di Milano avesse sostanziale natura di sentenza, hanno interposto appello e contemporaneamente ricorso per cassazione. Si costituiva, nel giudizio di appello, la Regione Calabria eccependo, preliminarmente, l’inammissibilità del gravame e, nel merito, ha insistito per la conferma dell’ordinanza impugnata. La Corte di Cassazione con sentenza n. 5808 del 2012 ha dichiarato il ricorso inammissibile. La Corte di Appello di Milano, con sentenza n. 4649 del 2013, respingeva l’appello e confermava l’ordinanza del Tribunale di Milano, condannava gli appellanti al pagamento delle spese di giudizio. Secondo la Corte di Milano, nel caso di specie non poteva ritenersi che il valore della causa patrocinata dagli avvocati L.R. e Z. fosse determinato o determinabile e, pertanto, correttamente la Regione Calabria aveva liquidato gli onorari facendo riferimento allo scaglione del tariffario previsto per le cause di valore indeterminabile di particolare importanza. Dall’ordinanza si evince, ritiene la Corte distrettuale, che il Tribunale non ha fatto riferimento al criterio del decisum ma ha applicato il criterio della domanda di cui all’art. 10 e 14 in quanto è pervenuto alla liquidazione degli onorari dopo aver attentamente esaminato l’atto introduttivo del giudizio, i fatti ivi allegati e le conclusioni rassegnate. La cassazione di questa sentenza è stata chiesta dagli avvocati L.R. e Z. , con ricorso affidato a tre motivi, illustrati con memoria. La Regione Calabria ha resistito con controricorso. Ragioni della decisione 1.- Con il primo motivo di ricorso gli avv. L.R. e Z. lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 14 c.p.c. e del D.M. 5 ottobre 1994, n. 585, art. 6, nn. 1, 2 e 4 e del D.M. 8 aprile 2004, n. 127. Secondo i ricorrenti, la Corte distrettuale, ma anche il Tribunale, avrebbero totalmente trascurato l’esistenza di un accordo tra Regione Calabria e gli avv. L.R. e Z. che predeterminava sia l’entità del compenso sia il valore del giudizio. I due elementi di tale accordo sarebbero stati la metà del minimo tariffario e l’elevatissimo valore complessivo della domanda Euro 879.114.225,77 . La Corte distrettuale confermando la sentenza impugnata aveva disatteso il valore della controversia, determinato dai ricorrenti, ex art. 10 c.p.c., secondo il criterio del cumulo delle domande ed ex art. 14 c.p.c., comma 1, con riferimento alla somma indicata dall’attore, quantificando erroneamente gli onorari in base al criterio previsto a carico della parte soccombente, confondendo la determinatezza del valore della causa con l’esattezza di quella determinazione, questione rimessa alla valutazione del giudice di merito. 1.1. - Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato. a È inammissibile nella parte in cui i ricorrenti affermano l’esistenza di un accordo intervenuto tra la Regione Calabria e gli avvocati ma non riportano né il contenuto e neppure indicano la localizzazione del documento nell’ambito dell’incartamento del processo, dovendosi ritenere che, in ogni caso, i contratti con la PA non possono non avere forma scritta. 1.1.b .- È infondato per la parte in cui ritiene che la Corte distrettuale non abbia osservato la normativa di cui all’art. 10 e 14, perché, come ha affermato, correttamente, la sentenza impugnata, che va confermata, il valore della controversia era indeterminato ab initio, trattandosi di una richiesta di risarcimento danni e avendo la parte chiesto, a titolo di risarcimento, la somma maggiore o minore di quella indicata che fosse stata accertata nel corso del giudizio si chiedeva, infatti, al giudice di provvedere alla liquidazione dei danni a seguito di opportuna istruttoria o con criterio equitativo . D’altra parte, l’interpretazione secondo cui il valore della causa è indeterminabile quando l’oggetto non è suscettibile di valutazione economica precisa, risponde ad un orientamento pacifico e costante di questa Corte, secondo cui in tema di liquidazione dell’onorario spettante all’avvocato, la determinazione del valore della causa, anche ai fini dell’individuazione dello scaglione tariffario applicabile, va effettuata a norma del codice di procedura civile, con la conseguenza che, in mancanza di concreti ed attendibili elementi per la stima precostituiti e disponibili fin dall’introduzione del giudizio, deve ritenersi di valore indeterminabile la domanda di risarcimento, nella quale gli elementi di valutazione del danno, del quale si chiede il ristoro, costituiscano l’oggetto, o uno degli oggetti, dell’accertamento e della quantificazione rimessi al giudice Cass. n. 14586 del 2005 . Così come è orientamento costante e pacifico di questa Corte che la formula con cui una parte domanda al giudice di condannare la controparte al pagamento di un importo indicato in una determinata somma o in quella somma maggiore o minore che risulterà di giustizia non può essere considerata, agli effetti dell’art. 112 c.p.c., come meramente di stile, in quanto essa come altre consimili , lungi dall’avere un contenuto meramente formale, manifesta la ragionevole incertezza della parte sull’ammontare del danno, effettivamente, da liquidarsi e ha lo scopo di consentire al giudice di provvedere alla giusta liquidazione del danno senza essere vincolato all’ammontare della somma determinata che venga indicata, in via esclusiva, nelle conclusioni specifiche tra altre v. Cass. n. 6350/2010, 15698 e 1313 del 2006, 13296/2004 . 1.1.c Senza dire che come ha avuto modo di affermare questa Corte, in altra occasione Cass. 18507 del 2018 che, a sua volta, richiama un precedente arresto della stessa Corte di Cassazione sent. n. 1805 del 2012 , nei rapporti tra avvocato e cliente sussiste sempre la possibilità di concreto adeguamento degli onorari al valore effettivo e sostanziale della controversia, ove sia ravvisabile una manifesta sproporzione rispetto a quello derivante dall’applicazione delle norme del codice di rito. Pertanto, il giudice deve verificare, di volta in volta, l’attività difensiva che il legale ha svolto, tenuto conto delle peculiarità del caso specifico, in modo da stabilire se l’importo oggetto della domanda possa costituire un parametro di riferimento idoneo ovvero se lo stesso si riveli del tutto inadeguato all’effettivo valore della controversia, perché, in tale ultima eventualità, il compenso preteso alla stregua della relativa tariffa non può essere ritenuto corrispettivo della prestazione espletata. 2.= Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano l’omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio. Secondo i ricorrenti, il Tribunale aveva ritenuto la controversia di valore indeterminabile, non tenendo conto che dagli atti di causa era emerso un valore sicuramente superiore o, in ultima analisi, pari ad Euro 129.114.225,77, somma riferita alla richiesta di rimborso dei costi dell’appalto di bonifica Solo tale richiesta, il cui valore avrebbe dovuto cumularsi con quelle delle altre domande, avrebbe dovuto comportare, di per sé, la liquidazione degli onorari, quantomeno sulla base del valore determinabile per Euro 129.114.225,77. 2.1.- Il motivo è inammissibile perché il tenore della censura, richiama, invero, il testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nella versione anteriore alla riforma introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, norma, nel caso, non più applicabile, trattandosi di sentenza depositata il 6 novembre 2013, quindi, dopo l’entrata in vigore della precitata novella, la quale ha introdotto una disciplina più stringente, limitata la possibilità della denuncia dei vizi di motivazione che consentono l’intervento della Corte di Cassazione solo al caso di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti . Il cambiamento operato dalla novella è netto, dal momento che dal previgente testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, viene eliminato non solo il riferimento alla insufficienza ed alla contraddittorieta , ma addirittura la stessa parola motivazione . Può quindi affermarsi che la nuova previsione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, legittima solo la censura per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti , non essendo più consentita la formulazione di censure per il vizio di insufficiente o contraddittorietà della motivazione. Né a diverso opinamento può pervenirsi nella considerazione che la censura per omessa, insufficiente o contraddittorietà della motivazione , potrebbe trovare ingresso, dando prevalenza all’aspetto sostanziale più che a quello letterale e formale del mezzo e quindi prescindendo dalla inidoneità della, formulazione, ostandovi l’evidente prospettiva della novella, introdotta dal Legislatore al fine di ridurre l’area del sindacato di legittimità sui fatti , escludendo in radice la deducibilità di vizi della logica argomentazione illogicità o contraddittorietà , che non si traducano nella totale incomprensibilità dell’argomentare. In buona sostanza, ciò che rileva, in base alla nuova previsione, è solo l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, cioè la pretermissione di quei dati materiali, acquisiti e dibattuti nel processo, aventi portata idonea a determinare direttamente un diverso esito del giudizio. 2.2.- Nel caso in esame, a ben vedere, non vi è un omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio dovendosi considerare che la Corte distrettuale ha ritenuto che dal tenore dell’atto di citazione si evinceva che i costi di bonifica costituivano soltanto una componente del danno ambientale che la Regione Calabria aveva presuntivamente stimato e che, pertanto, il carattere approssimativo ed indicativo della stima dei costi di bonifica, effettuata dall’attrice, non consentiva di attribuire alla controversia il significato di valore indeterminato con riferimento a tale voce di danno. Appare del tutto evidente, dunque, che il fatto in argomento valore della controversia da determinarsi in Euro 129.144.225,77 era stato ampiamente e puntualmente valutato dalla Corte distrettuale. 3.- Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 14 c.p.c. e D.M. n. 585 del 1994, artt. 5 e 6 e del D.M. n. 127 del 2004. Secondo i ricorrenti avendo un valore determinato quantomeno una delle voci di danno la voce relativa ai costi di bonifica quantificati in Euro 129.114.222,77 la Corte distrettuale avrebbe dovuto applicare lo scaglione oltre Euro 5.164.600,00 e in definitiva quello posto a base della redazione della nota specifica di cui si è chiesto il pagamento con il ricorso rigettato dal Tribunale. 3.1.- Il motivo è inammissibile perché muove da un presupposto non sussistente, dato che la Corte distrettuale, come già si è detto ha ritenuto di valore indeterminato anche la voce di danni relativa ai costi di bonifica. In definitiva, il ricorso va rigettato e i ricorrenti condannati in solido a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che vengono liquidate con il dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 , applicabile ratione temporis essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013 , ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte dei ricorrenti, in solido, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 10.200,00, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% del compenso e accessori come per legge dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dell’art. 13 citato.