La rilevanza della prova testimoniale per dimostrare il credito vantato dall’avvocato

La mancata ammissione della prova testimoniale o di un’altra prova può essere denunciata per cassazione solo nell’ipotesi in cui essa abbia determinato l’assenza di motivazione su un punto decisivo della controversia.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con ordinanza n. 4702/19, depositata il 18 febbraio. Il caso. Il Tribunale di Bari accoglieva la domanda proposta dal ricorrente e rideterminava il compenso dovuto all’avvocato per l’attività professionale da questa prestata in relazione ad un giudizio riguardante l’impugnazione di una donazione. Secondo il Giudice il cliente aveva già versato all’avvocato l’importo dovuto, quindi obbligava questi a restituire le somme percepite in eccedenza. L’avvocato ricorre in Cassazione denunciando che il giudice d’appello aveva ritenuto ammissibile per la decisione un documento prodotto per la prima volta in quel giudizio e per aver ritenuto non provato il credito vantato dall’avvocato stesso. L’ammissione della prova. Per la Suprema Corte tale motivo di ricorso è infondato, poiché la Corte territoriale ha fondato la sua decisione di rigetto della pretesa della ricorrente sulla quietanza rilasciata dalla segretaria all’avvocato in cui risultava un’annotazione con cui si prevedeva il versamento a saldo della somma richiesta dal difensore. Ma sul punto, la ricorrente lamenta la mancata ammissione in giudizio della prova testimoniale in suo favore. Come la Suprema Corte ha già più volte affermato, la mancata ammissione della prova testimoniale o di un’altra prova può essere denunciata per cassazione solo nell’ipotesi in cui essa abbia determinato l’assenza di motivazione su un decisivo punto della controversia. Ma siccome nel caso in esame la prova testimoniale risulta in contrasto con il contenuto della quietanza, non si tratta di un semplice chiarimento, ma di una vera integrazione del contenuto del documento, che ne modifica l’efficacia. Per queste ragioni, il Supremo Collegio rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile 2, ordinanza 12 dicembre 2018 – 18 febbraio 2019, n. 4702 Presidente D’Ascola Relatore Federico Ritenuto in fatto 1 Il Tribunale di Bari, con sentenza n. 2807/2017, in riforma della sentenza di primo grado, ha accolto la domanda proposta da S.T. ed ha rideterminato il compenso dovuto all’avv. L.M. per l’attività professionale da questa prestata, in relazione ad un giudizio concernente l’impugnazione di una donazione. In particolare, la Corte ha rilevato che l’importo residuo vantato dalla professionista ammontava ad Euro 1.220,00 e detto importo risultava già coperto dai versamenti effettuati dal S. , con conseguente condanna dell’avvocato alla restituzione di quanto percepito in eccedenza. 2 Avverso detta sentenza ricorre, con tre motivi, l’avv. L.M. . Resiste con controricorso S.T. . Il relatore ha proposto il rigetto del ricorso. In prossimità dell’adunanza la ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c Considerato in diritto Con il primo motivo la parte ricorrente deduce il vizio di nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 24 Cost. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per avere il Tribunale, quale giudice di appello, ritenuto ammissibile e rilevante per la decisione un documento prodotto per la prima volta in quel giudizio ed aver ritenuto non provato il credito vantato dall’avvocato, non ammettendo le richieste di prova orale da questi formulata in comparsa. Il motivo è infondato. Nel caso in esame la Corte territoriale ha fondato la statuizione di rigetto della pretesa della ricorrente, sulla quietanza, rilasciata dalla segretaria dell’avv. L. al S. in data 14.7.2006, su cui risultava apposta un’annotazione manoscritta e non disconosciuta, con cui si prevedeva il versamento a saldo a settembre della somma di Euro 1.224,00 tramite assegno circolare . In forza di tale documento il giudice di appello ha attribuito efficacia estintiva dell’obbligazione di pagamento del compenso professionale, al versamento di Euro 1.440,00, effettuato dal S. all’udienza di comparizione innanzi al Giudice di pace. La ricorrente lamenta al riguardo la mancata ammissione della prova testimoniale avente ad oggetto la seguente circostanza vero che in data 14.7.2006 . in occasione del versamento dell’acconto di Euro 1.000,00, di cui alla ricevuta del 14.7.2006, su istruzioni dell’avv. L.M. ebbi a chiarire al signor S.T. che condizione imprescindibile per ottenere il richiesto sconto sulle competenze professionali era che il saldo fosse stato versato entro il mese di settembre dello stesso anno . Orbene, come questa Corte ha già affermato, la mancata ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciata per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l’assenza di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito Cass.27415/18 . Nel caso di specie la prova testimoniale chiesta dalla ricorrente, risulta in contrasto con il contenuto della quietanza, ai sensi art. 2722 c.c., in quanto diretta ad ampliarne il contenuto, subordinando la remissione parziale del debito, ad una condizione il pagamento del saldo entro settembre 2006 che non risulta espressa nel documento vedi al riguardo Cass.4601/2017 e che non può desumersi, neppure implicitamente, dalle espressioni utilizzate. Non si tratta dunque di un mero chiarimento, ma di una vera e propria integrazione del contenuto del documento, che ne modifica in modo rilevante la portata e l’efficacia. con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere il Tribunale ritenuto che sussistesse un deficit probatorio in ordine alla originaria sussistenza in capo al cliente di un debito di Euro 4.000,00. Il motivo di ricorso è inammissibile, poiché non coglie l’autonoma e fondamentale ratio decidendi della pronuncia impugnata. L’originario ammontare del compenso professionale deve infatti ritenersi ininfluente in relazione al fatto essenziale su cui il giudice di merito ha fondato la propria statuizione, vale a dire la quietanza, rilasciata dalla segretaria dell’avv. L. , su cui risulta apposta l’annotazione a saldo Euro 1.224,00, tramite assegno circolare . il giudice ha infatti ritenuto che tale dichiarazione attestasse la remissione dell’ulteriore debito e che tale effetto remissivo non potesse ritenersi subordinato, considerata la formulazione della clausola, alla condizione che il pagamento avvenisse entro il settembre 2006 come invece allegato dall’odierna ricorrente con il terzo motivo si censura la statuizione, già oggetto del secondo motivo, con la quale il tribunale ha ravvisato un genetico deficit probatorio in ordine all’originaria sussistenza in capo al S. di un debito di Euro 4.000,00. La ricorrente deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per avere il Tribunale omesso di considerare il contegno processuale tenuto dal resistente, sia in primo grado che in appello, dovendo da detto contegno desumersi che egli aveva direttamente o indirettamente ammesso che l’originario compenso dovuto alla ricorrente era di Euro 4.000,00. Il motivo è inammissibile. Si ribadisce la sussistenza di profili di inammissibilità della censura per le medesime ragioni indicate in relazione al motivo precedente, in quanto essa non coglie la principale ratio decidendi della sentenza impugnata, fondata sull’efficacia attribuita dal giudice di appello alla citata dichiarazione contenuta nella quietanza del 14.7.2006. Come già rilevato, considerato l’effetto estintivo conseguente alla remissione ex art. 1236 c.c., non può attribuirsi rilevanza all’eventuale ammissione, desumibile dal comportamento processuale del S. , in ordine all’ammontare del debito originario. Il motivo è inammissibile anche sotto altro profilo. Il mancato esercizio della facoltà del giudice di desumere argomenti di prova dal contegno processuale delle parti, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., comma 2, infatti, non è censurabile in sede di legittimità, né per violazione di legge, né per vizio di motivazione, trattandosi di un potere discrezionale attinente alla valutazione di una prova atipica o innominata Cass. 20673/2012 . Il ricorso va dunque respinto e le spese, regolate secondo soccombenza, si liquidano come da dispositivo. Ai sensi del D.P.R. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla refusione delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 800,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a rimborso forfettario spese generali in misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.