Una seria analisi sui numeri… senza pregiudizi, anche in Cassa Forense

Dall’esame dei dati delle recenti elezioni per il rinnovo del Comitato dei Delegati di Cassa Forense si ricava che la percentuale degli avvocati che si è recata al voto è stata contenuta, poco più del 27%.

Elezioni. Si è votato molto di più al Sud e isole rispetto al Centro e al Nord, così come nei Fori più piccoli rispetto a quelli più grandi. In tre Distretti Firenze, Salerno e Trieste la presenza di una sola lista ha sicuramente creato un disincentivo per la presenza ai seggi. La scarsa affluenza al voto certifica la crisi dell’istituito della rappresentanza democratica, ormai acclarata sul piano politico nazionale. Secondo un’interpretazione questo è il frutto di una generalizzata crisi d’identità del professionista che in un quadro di sempre maggiore crisi lavorativa ed economica non trova più stimolo per sentirsi parte di un organismo sociale che vede, in molti casi, respingerlo quasi fosse un virus. Al Nord gli avvocati hanno innescato un meccanismo di autodifesa professionale scollandosi dall’attaccamento e guardando alle elezioni quasi con distacco. Una riprova anche nella vicenda attuale dei cd. ineleggibili perché al Nord si fa sempre più fatica a trovare avvocati disposti a impegnarsi nelle istituzioni. Le elezioni ci consegnano quindi un’avvocatura completamente disomogenea e divisa tra Nord, Centro e Sud. Il Nord è socio di maggioranza quanto a capitale ma si dimostra disinteressato a Cassa Forense forse per una consapevolezza, sulla base dei numeri reali, di non poter in alcun modo influire sulla governance. Il nuovo Comitato dei Delegati è quindi chiamato a gestire queste diversità e non sarà certamente facile ma bisognerà almeno provarci l’unica cosa da evitare è il tirare a campare. Per fare questo sarà utile incrociare i dati nazionali con quelli specifici dell’avvocatura italiana. Dati a confronto. I dati emersi dal VI Rapporto sul bilancio del sistema previdenziale italiano evidenziano una spesa assistenziale fuori controllo e una macchina organizzativa spesso inefficiente e inefficace nei controlli al punto da minacciare la sostenibilità del sistema di protezione sociale. Il numero delle prestazioni è aumentato a circa 23 milioni, con una riduzione delle prestazioni pensionistiche e un aumento di quelle assistenziali che ormai rappresentano il 50% delle prestazioni liquidate dall’INPS un dato abnorme che cresce di anno in anno. Oltre la metà dei pensionati è totalmente o parzialmente assistita dallo Stato e questo è un dato molto preoccupante. Nel 2017 la spesa pubblica totale è stata di 839,5 miliardi di cui 453,5 miliardi oltre il 54% per il welfare inteso come pensioni, sanità e assistenza. Per finanziare questa enorme spesa, tra le più elevate in Europa, occorrono tutti i contributi, tutte le imposte dirette e una parte delle indirette. Ma chi le paga? La metà degli italiani dichiara reddito zero o inferiore a € 7.500,00 lordi l’anno il 45% di tutti i contribuenti sono circa 40 milioni versa solo il 2,8% dell’IRPEF, mentre il 57% dell’IRPEF è a carico del 12% dei contribuenti, tra i quali l’1,10%, massacrati dalle imposte e dai tagli indiscriminati e mancate rivalutazioni sulle pensioni, versa il 18,6% dell’IRPEF. Nelle regioni del Nord, dove vive il 45,75% della popolazione italiana, prevalgono le pensioni di anzianità che in genere sono le più elevate, avendo una media di 37 anni di contribuzione contro i circa 22 della vecchiaia , scarsamente presenti al Sud dove prevalgono carriere lavorative discontinue, spesso assistite prestazioni di sostegno al reddito, giornate ridotte in agricoltura , con periodi di lavoro irregolare e con basse contribuzioni. Il gap tra Nord e Sud si riduce di circa 10 punti percentuali per le pensioni di vecchiaia che al Sud sono integrate al minimo nel 79% dei casi contro il 52% del Nord e il 57% del Centro . Al Sud, con il 34,36% degli abitanti, le pensioni di vecchiaia e anzianità presentano distribuzioni percentuali inferiori a quella della popolazione mentre prevalgono le pensioni di invalidità 45,68% del totale e le assistenziali 45,57% con un tasso, in rapporto alla popolazione residente, quasi doppio rispetto al Nord. Il Centro 19,89% di popolazione sul totale presenta una distribuzione in linea con quella della popolazione. Ovviamente anche per effetto della numerosità delle prestazioni assistenziali al Sud si pagano molte più prestazioni ai superstiti rispetto a Centro e Nord. L’avvocatura italiana è lo specchio fedele di questi numeri. Nel 2017 la spesa per le pensioni di Cassa Forense si è attestata a circa 802 milioni di euro. Il numero di trattamenti previdenziali complessivamente erogati da Cassa Forense è stato pari a 28.351. Su 242.227 colleghi complessivamente censiti, sono quasi 145.000 coloro che non superano i 20.000 euro l’anno, praticamente il 60% degli iscritti agli Albi. Nel dettaglio oltre 20.000 non hanno inviato il Modello 5 alla Cassa circa 60.000 sono nella fascia di reddito tra zero e 10.300,00 euro e in 45.000 dichiarano tra 10.300,00 e 20.107,00 l’anno. Gli oneri previdenziali sono sostenuti in larga parte dal 12% circa dell’avvocatura italiana che, come detto più sopra, sta al Nord e non presta grande attenzione alla governance della Fondazione. Passando ad analizzare le variazioni regionalizzate riferite agli iscritti alle Casse e alle pensioni da queste erogate, appare interessante correlare questi due aspetti con quanto rilevato sul fronte delle entrate e delle uscite il Nord, con il 44,47% di iscritti, contribuisce per il 49,54% alle entrate totali e con il 50,14% delle pensioni assorbe il 51,52% delle uscite il Centro vanta il 22,38% degli iscritti che contribuiscono per il 22,14% al totale delle entrate, e con il 23,27% delle pensioni riceve il 24% delle uscite il Sud, infine, a fronte del 33,14% degli iscritti complessivi alle Casse privatizzate contribuisce per appena il 28,32% delle entrate contributive totali, mentre sul fronte opposto, al 26,59% dei pensionati corrisponde il 24,46% della spesa per prestazioni. Riassumendo si conferma da un lato, che al Nord la quota di contributi è più elevata rispetto alla quota di iscritti mentre al Sud si verifica l’opposto e, dall’altro lato, la tendenza a rilevare nel Meridione una quota della spesa per prestazioni più contenuta rispetto alla quota di pensioni erogate nell’area, sebbene lo scarto sia più contenuto in quest’ultimo caso. Nel rapportare le entrate con gli iscritti, ad esempio, sono la Sicilia e la Lombardia a porsi agli antipodi nella seconda lo scarto percentuale tra quota entrate e quota iscritti sul totale tocca un valore pari a - 1,3 punti percentuali, mentre per la Lombardia è pari a +3 punti. Oggi, tornando a noi, l’atelier di Cassa Forense offre, sostanzialmente, due prestazioni previdenziali la pensione retributiva e la pensione contributiva che è nata come residuale ma che diventerà quella più in uso con un’enorme sperequazione in termini quantitativi tra i due trattamenti. Cassa Forense ha bisogno di una profonda ristrutturazione proprio per garantire previdenza e assistenza a tutti gli iscritti in modo equo.