Cassa Forense e il suo futuro... considerazioni sui numeri e operazione verità

Cassa Forense, rebus sic stantibus per giurisprudenza consolidata, non può imporre contributi di solidarietà e quindi ogni riforma strutturale è al palo.

Dall’ultimo bilancio consuntivo si ricava che la spesa complessiva per pensioni si è attestata, nel 2017, a circa 802 milioni di euro, con un incremento rispetto allo scorso esercizio, di circa l’1,7%. Il numero di trattamenti previdenziali, complessivamente erogati dalla Cassa, è passato da 27.988 al 31.12.2016, a 28.351 al 31.12.2017 con incremento di circa 1,3% di cui 13.000 circa sono pensionati attivi. La situazione sta diventando molto complicata nella sua gestione e più passa il tempo e più la vicenda si complica. La prima cosa che si dovrebbe fare è riuscire a scindere l’assistenza dalla previdenza ma sul concetto di assistenza dobbiamo intenderci! L’assistenza è tutto ciò che viene erogato indipendentemente da quanto versato. La previdenza è invece tutto ciò che viene erogato in base a quanto versato. Secondo il IV Rapporto di Itinerari Previdenziali il rapporto pensione media/contributo medio per Cassa Forense è il più alto rispetto a tutte le altre Casse ed è pari a 4,34, vale a dire che la pensione media è più alta pari a 4,34 volte il contributo medio. In questo gap troviamo la solidarietà ma anche tanta generosità sistemica. Il sistema previdenziale forense è caratterizzato da una generosità a pioggia e cioè nei confronti di tutti gli iscritti eccezion fatta per i c.d. benefattori del sistema” che sono gli avvocati che dichiarano redditi e volumi di affari molto elevati, largamente sopra il tetto pensionabile, i quali ricevono in prestazioni molto meno di quanto hanno versato, ma sono soltanto 16.898 rispetto a una platea di oltre 242mila avvocati. È evidente che questo sistema non può reggere l’urto di una popolazione legale che in questi ultimi anni è cresciuta con velocità geometrica ma che, con altrettanta velocità, si è impoverita e sta, progressivamente, perdendo il suo ruolo sociale. Su 242.227 Colleghi complessivamente censiti, sono quasi 145mila coloro che non superano i 20mila euro l’anno, praticamente il 60% degli iscritti agli albi nel dettaglio oltre 20mila non hanno inviato modello 5 obbligatorio alla Cassa di previdenza, in circa 60 mila sono nella fascia di reddito tra uno e 10.300 euro e in 45mila dichiarano tra 10.300 e 20.107 euro. Ma il problema è più vasta perché è andata in crisi la borghesia come classe intermedia tra il proletariato e i potentati economici e ha perduto il suo ruolo propulsivo centrale sia nella società che nell’esercizio del potere politico. In questo quadro, quale risulta dall’ultimo rapporto Censis, Cassa Forense deve avviare un’immediata operazione verità separando, come dicevo più sopra, l’assistenza dalla previdenza per procedere rapidamente a una riforma strutturale di sistema prima che i numeri la rendano impossibile. Prima di ciò dovrà però ottenere dal Legislatore la possibilità di garantire l’equità intergenerazionale con la contribuzione di solidarietà, oggi negata dalla giurisprudenza di legittimità. Rientra nell’autonomia regolamentare di Cassa Forense dimensionare la contribuzione degli assicurati nel modo più adeguato per raggiungere la finalità di solidarietà mutualistica che la legge le assegna, assicurando comunque l’equilibrio di bilancio e senza poter fare affidamento su finanziamenti pubblici diretti o indiretti che sono, per legge, esclusi. La categoria sta rapidamente cambiando, abbiamo una professione finalmente stazionaria dal punto di vista numerico, ma sempre più anziana e sempre più donna con tutto ciò che comporta in termini di sperequazione reddituale tra i due generi. Abbiamo in CDD le persone giuste per affrontare questi problemi che sono molto complicati perché socio-economici, previdenziali e attuariali? Mi auguro di sì ma lo vedremo presto. Certo è che un Presidente non delegato, oggettivamente a me pare un ulteriore problema al quale non si è posta, a suo tempo, la giusta attenzione!