L’erroneo pagamento in buona fede, per colpa del creditore nel determinarlo, libera?

Si ha efficacia liberatoria del pagamento in buona fede, anche a chi non era legittimato a riceverlo per contro del creditore, se quest’ultimo ha concorso a determinare nel solvens la ragionevole presunzione della esistenza dei poteri rappresentativi dell’accipiens.

Così la Corte di Cassazione, Terza Sezione, con sentenza n. 2765/19, depositata il 31 gennaio. La vicenda processuale. Il lungo contenzioso prendeva le proprie mosse dalla opposizione che un istituto di credito, in qualità di terzo debitore esecutato, proponeva dinanzi al tribunale competente della opposizione all'esecuzione, a sua volta promossa da una creditrice la quale agiva in via esecutiva per il pagamento di quanto dovutole. Fatto sta che la banca sosteneva di aver già pagato quanto in proprio dovere, a mezzo assegno circolare, consegnato all'avvocato della creditrice. Assegno circolare che, poi, era stato restituito dalla creditrice, tramite il proprio legale. Nel giudizio di opposizione si costituiva quest'ultima eccependo l’inesatto adempimento da parte dell'istituto di credito, in quanto, dato per vero l’avvenuto invio del titolo, l'assegno era stato intestato non alla stessa bensì al proprio legale e che, per tale ragione, l’assegno era stato restituito all’istituto di credito, quale debitore. Il tribunale, ritenendo ingiustificato il rifiuto di ricevere il pagamento opposto dalla creditrice, il cui legale era delegato all'incasso delle somme ad ella spettanti, come espressamente indicato nella delega a margine del precetto, accoglieva l'opposizione dell'istituto di credito e dichiarava la nullità del pignoramento presso terzi per intervenuta estinzione dell'obbligazione, condannando l’opposta al pagamento delle spese di lite. A questo punto, la creditrice proponeva appello avverso la predetta sentenza, lamentando l’errore del primo giudice il quale aveva affermato che ella aveva rilasciato delega al proprio difensore per l'incasso della somma, mentre la delega era stata rilasciata a favore di altro avvocato. L'appellante sosteneva, dunque, di non aver mai contestato la legittimità del pagamento mediante assegno circolare e di avere, invece, semplicemente richiesto che lo stesso venisse emesso a favore proprio, essendo risultato intestato ad altri. Dal proprio canto, l’istituto si costituiva in giudizio, ribadendo di aver effettuato un pagamento liberatorio, per richiedere il rigetto dell'appello. La corte territoriale perveniva alla decisione della vertenza, rilevando che dagli atti erano emersi alcuni elementi non contestati tra le parti, tra cui l'importo del credito, la circostanza che fu inviato due volte l'assegno alla creditrice in pagamento e che, per entrambe le volte, fu da questa rifiutato. Ma non solo. Il giudicante aveva trovato la delega a margine del precetto, contenuto nel fascicolo dell'esecuzione, in favore dell'avvocato che aveva ricevuto il assegno altresì, un altro atto di precetto con a margine la delega in favore di un altro avvocato -ed, infine, l'atto di pignoramento presso terzi, nel quale la creditrice risultava difesa dal primo avvocato, però, in virtù di una procura a margine di un altro e diverso atto rispetto a quello che aveva dato luogo al procedimento di esecuzione. Infatti, nell’atto di pignoramento si faceva riferimento una ‘procura posta a margine del libello introduttivo del giudizio’, cioè il giudizio del merito. A fronte di tutto ciò, il giudice di secondo grado riconosceva la legittimità del pagamento eseguito a mani del procuratore alla lite del creditore, non munito del potere di ricevere. E richiamava, a proprio supporto, la giurisprudenza della Suprema Corte in tema di adempimento delle obbligazioni, secondo cui l’art. 1189 c.c., che riconosce efficacia liberatoria al pagamento effettuato dal debitore in buona fede a chi appare legittimato a riceverlo, ‘si applica per identità di ratio’ sia all'ipotesi di pagamento eseguito al creditore apparente, sia all'ipotesi in cui lo stesso venga effettuato a persone che appaiono autorizzate a riceverlo per conto del creditore effettivo, il quale abbia determinato oppure concorso a determinare l'errore del solvens, facendo sorgere in quest'ultimo, in buona fede, una ragionevole presunzione sulla rispondenza alla realtà dei poteri rappresentativi dell’accipiens. La decisione della Suprema Corte. Il ricorso viene rigettato. Ed al suo posto, viene condiviso il senso implicito della motivazione della corte territoriale là dove aveva valorizzato -tra le altre la circostanza per cui, al momento della restituzione dell’assegno, l’avvocato non aveva contestato il proprio potere di rappresentanza. Nella fattispecie, infatti, le seguenti circostanze * che il primo avvocato fosse il procuratore della creditrice nel giudizio esecutivo nel quale fu emessa l'ordinanza di assegnazione a favore della stessa che in tale veste la medesima avesse restituito l'assegno al debitore, con la richiesta di specificare l’imputazione di pagamento che, difatti, l'istituto di credito era anche debitore nei confronti del legale per i compensi per cui la richiesta di quest'ultimo, relativa all’imputazione di pagamento dell'assegno inviato, non poteva che rafforzare il convincimento della banca circa la legittimità del pagamento stesso e che, all'atto della restituzione, la stessa non avesse contestato l'intestazione del titolo né avesse chiesto di predisporre un assegno a favore della cliente, si ritengono tutte senz'altro sufficiente dimostrare la buona fede del debitore nel pagamento.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 12 aprile 2018 – 31 gennaio 2019, n. 2765 Presidente Frasca – Relatore De Stafano Rilevato Che 1. L’opposizione di Unicredit s.p.a., terza debitrice assegnata in base ad ordinanza ai sensi dell’art. 553 cod. proc. civ. emessa dal Tribunale di Roma in favore della creditrice procedente A.M. , al precetto da questa intimato per il pagamento delle somme recate dall’ordinanza, fu accolta dall’adito tribunale, che ritenne satisfattivo il pagamento a mezzo assegno circolare intestato all’avvocato della creditrice nella procedura esecutiva, B.A. , ritenuta munita di procura ad incassare somme per la cliente. 2. La sentenza di primo grado fu gravata di appello dalla A. e la corte territoriale, sia pure dopo avere escluso l’esistenza della procura con quel contenuto, confermò l’accoglimento dell’opposizione della banca in base a diversa motivazione, ritenendo validamente eseguito il pagamento a chi poteva qualificarsi autorizzato a riceverlo per conto del creditore effettivo. 3. Per la cassazione di tale sentenza di secondo grado, pubblicata il 19 maggio 2015 col n. 3099, ha proposto ricorso per cassazione la A. , affidandosi a due motivi, mentre l’intimata Unicredit s.p.a. non ha espletato attività difensiva in questa sede. 4. Fissata, ai sensi dell’art. 380-bis1 cod. proc. civ., la trattazione per l’odierna adunanza in camera di consiglio, non partecipata, il Pubblico Ministero ha depositava conclusioni per iscritto per l’inammissibilità del ricorso e la ricorrente ha depositato memoria ai sensi del penultimo periodo dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ., come inserito dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. f , conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2015, n. 197. Considerato Che 1. Con il primo motivo si lamenta contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e mera apparenza della motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, nella interpretazione di diritto vivente ex SS.UU. 19881/2014 . Vi si sostiene l’inconciliabilità del rilievo della carenza di valida procura con l’affermazione di un suo potere all’incasso , nonché l’erroneità del sillogismo che imputa alla creditrice effettiva la condotta di colei che appariva munita di tale potere nonostante al riguardo occorra il concorso di un comportamento proprio della prima. 2. Il motivo è infondato. Queste le ragioni. 2.1. Mette conto di riportare la motivazione resa dalla Corte d’Appello ha così motivato La Unicredit S.p.a., quale debitrice esecutata, proponeva dinanzi al Tribunale di Roma opposizione all’esecuzione, promossa dalla creditrice A.M. , sostenendo di aver pagato quanto dovuto a mezzo di assegno circolare di Euro 4170,13, che però era stato restituito dalla creditrice tramite il proprio legale. Si costituiva in giudizio A.M. che eccepiva l’inesatto adempimento da parte dell’istituto di credito, in quanto l’assegno era stato intestato non alla creditrice bensì al legale della medesima e che per tale ragione era stato restituito al debitore. Il Tribunale, ritenendo ingiustificato il rifiuto di ricevere il pagamento opposto dalla creditrice, il cui legale era delegato all’incasso delle somme spettanti alla predetta, come espressamente indicato nella delega a margine del precetto, accoglieva l’opposizione e dichiarava la nullità del pignoramento presso terzi per intervenuta estinzione dell’obbligazione, condannando l’opposta al pagamento delle spese. A.M. proponeva appello avverso la indicata sentenza n. 8142/2011 del 26/4/2011 del Tribunale di Roma, lamentando che il primo giudice aveva erroneamente affermato che essa creditrice aveva rilasciato delega al proprio difensore per l’incasso della somma, mentre la delega era stata rilasciata a favore di altro difensore. L’appellante sosteneva di non aver mai contestato la legittimità del pagamento mediante assegno circolare e di aver invece richiesto che l’assegno fosse emesso a favore di essa creditrice, risultando intestato ad altri. Si costituiva in giudizio l’Unicredit, che asseriva di aver effettuato un pagamento liberatorio, ai sensi dell’art. 1189 c.c., e chiedeva il rigetto dell’appello. All’udienza del 7/2/2014, la causa veniva trattenuta, in decisione, concedendosi alle parti termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. Come si rileva dagli atti, vi sono alcuni elementi che risultano non contestati dalle parti, tra le quali l’importo del credito, la circostanza che fu inviato due volte l’assegno alla creditrice in pagamento e che fu da essa rifiutato entrambe le volte. Per contro, il dato in contestazione consiste nel conferimento, da parte della A. , della procura al proprio difensore con potere di riscuotere e, quindi, nella legittimità o meno dei pagamento effettuato dall’Unicredit. Si osserva al riguardo che il legale della creditrice l’Avvocato B.A. aveva il potere di incassare le somme spettanti alla parte, in nome e per conto di questa, come espressamente indicato nella delega a margine del precetto contenuto nel fascicolo dell’esecuzione. In tale fascicolo, tuttavia, si rinviene un atto di precetto con delega a margine all’avvocato D.M. ed un atto di pignoramento presso terzi, nel quale la A. risulta difesa dall’avvocato B.A. in virtù di procura apposta a margine del libello introduttivo del giudizio , vale a dire a margine di un atto diverso da quello che aveva dato luogo al procedimento di esecuzione. Non risulta dunque nel fascicolo di primo grado, né in quello dell’esecuzione un atto contenente la delega alla riscossione, rilasciata dalla A. all’Avv. B. . Ciò nonostante, non può escludersi la legittimità del pagamento eseguito a mani del procuratore alla lite del creditore, non munito del potere di ricevere, come insegna la Suprema Corte. In tema di adempimento delle obbligazioni, l’art. 1189 cod. civ., che riconosce efficacia liberatoria al pagamento effettuato dal debitore in buona fede a chi appare legittimato a riceverlo, si applica, per identità di ratio , sia all’ipotesi di pagamento eseguito al creditore apparente, sia all’ipotesi in cui lo stesso venga effettuato a persona che appaia autorizzata a riceverlo per conto del creditore effettivo, il quale abbia determinato o concorso a determinare l’errore del solvens, facendo sorgere in quest’ultimo in buona fede una ragionevole presunzione sulla rispondenza alla realtà dei poteri rappresentativi dell’acciplens ex plurimis, Cass. Sentenza n. 15339 del 13/09/2012 . Nella fattispecie, le circostanze che l’Avv. B. fosse il procuratore della creditrice nel giudizio esecutivo nel quale fu emessa l’ordinanza di assegnazione a favore dell’A. che in tale veste la medesima abbia restituito l’assegno al debitore, con la richiesta di specificare l’esatta imputazione di pagamento e che, all’atto della restituzione, la stessa non abbia contestato l’intestazione del titolo né abbia chiesto di predisporre un assegno a favore della A. si ritengono senz’altro sufficienti, ai sensi dell’art. 1189 cod. civ., a dimostrare la buona fede del debitore nel pagamento. A ciò aggiungasi che anche l’Avv. B. era creditrice dello stesso, onde la richiesta relativa alla imputazione di pagamento dell’assegno inviato non poteva che rafforzare in convincimento dell’Unicredit circa la legittimità del proprio pagamento. La buona fede avrebbe dovuto escludersi soltanto qualora fosse stata espressamente contestata l’intestazione dell’assegno e l’Unicredit avesse nuovamente inviato il medesimo titolo. La pronuncia del primo giudice deve essere quindi confermata, ancorché con diversa motivazione”. 2.2. Ebbene, la motivazione non è affatto inconciliabilmente contraddittoria o carente dei requisiti soli rilevanti dopo la modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5, secondo l’interpretazione data da questa Corte a partire da Cass. Sez. U. nn. 8053 e 8054 del 2014, visto che esclude una circostanza la procura ad incassare , visto che la sua lettura evidenzia manifestamente un sillogismo sussuntivo intrinsecamente coerente, che ha come base sia la circostanza che l’Avvocato B. fosse il difensore della A. della procedura esecutiva in cui era stata emessa l’ordinanza di assegnazione, sia il comportamento tenuto dalla medesima. Di tali elementi il motivo si disinteressa, preferendo rimarcare l’attenzione a pagina 6 del ricorso sull’accertamento della inesistenza della procura all’incasso evidenziata dalla stessa corte territoriale, nonché sul richiamo al necessario concorso del creditore effettivo nella causazione dello stato di apparenza affermazione che, peraltro, trascura il rilievo dell’esistenza della procura nel giudizio di esecuzione e, dunque, di una situazione legittimante ad agire per conto della ricorrente. In tal modo è palese che si critica una motivazione accusandola di avere omesso lo svolgimento di rilievi che si dovevano svolgere e tanto contraddice manifestamente la logica dello svolgimento di una censura di apparenza di motivazione e, nel contempo di quella dell’esistenza di affermazione inconciliabili, peraltro questa seconda nemmeno chiaramente illustrata in modo percepibile. D’altro canto, è palese che l’eventuale erroneità di una o più delle premesse poste alla base della motivazione ridonderebbe non già in un vizio intrinseco del procedimento di giustificazione della decisione, ma appunto in una falsa applicazione di legge per c.d. vizio di sussunzione, ciò che del resto è oggetto del secondo motivo. 3. Con il secondo motivo si prospetta violazione ed errata applicazione delle norme di diritto violazione e falsa applicazione degli artt. 1188, 1189 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 . La struttura illustrativa del motivo si articola nel seguente modo a dopo la rinnovata evocazione, nelle pagine 7-8 del ricorso, di una parte della motivazione della sentenza impugnata e di giurisprudenza di questa Corte per sottolineare il rigore della prova cui soggiace il debitore nell’eccepire e dimostrare il nesso di casualità tra stato di errore incolpevole e condotta del creditore effettivo , si assume che la corte territoriale avrebbe accolto la tesi della debitrice in violazione delle norme evocate in rubrica, in quanto nessuna prova circa il comportamento colposo della sig.ra A. è mai stata non solo fornita, ma anche semplicemente allegata . Immediatamente di seguito, dopo aver premesso che in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione si trascrive l’atto di costituzione in giudizio di Appello dell’Unicredit SpA ed in effetti esso viene riprodotto dalla pagina 9 sino alla a due terzi della pagina 22. Quindi, dalle ultime otto righe della pagina 22 sino alla pagina 33, invece di preoccuparsi di criticare la motivazione della corte territoriale nella sua completezza e, in particolare quanto all’affermazione con cui essa ha dato rilievo alla circostanza che l’Avv. B. fosse il procuratore della A. nel giudizio esecutivo, si insiste nell’addebitare alla sentenza capitolina di non avere mai menzionato quale fosse il fatto imputabile a quest’ultima nel creare l’affidamento incolpevole di Unicredit e si introducono allegazioni di fatto circa lo svolgimento della vicenda prima dell’insorgenza del processo, sottolineandosi che Unicredit aveva inviato il 14 novembre 2008 un assegno alla B. ove sarebbe stata compresa la somma dovuta alla A. e ciò dopo che la medesima aveva notificato precetto che si riproduce a ministero di altro difensore, quello odierno della A. , in data 5 novembre 2008. Si espone, inoltre, riproducendolo, che lo stesso atto di pignoramento in danno di Unicredit era a ministero di quel difensore. Ora, dalla lettura dell’atto di costituzione in appello di Unicredit emerge che gli assegni inviati il 14 novembre 2008 vennero, tanto vi si allega, restituiti dall’Avv. B. con richiesta di specificazione dei diversi destinatari e, quindi, poi nuovamente inviati alla medesima parrebbe il 24 dicembre 2008. Ebbene l’esposizione del motivo articolata nei termini che si sono indicati evidenzia che esso non svolge alcun rilievo rispetto alla motivazione della sentenza impugnata, là dove essa rimarca il valore della restituzione dell’assegno inviato la prima volta e soprattutto enuncia che l’Avv. B. era il procuratore della A. nel processo esecutivo. Tanto rende il motivo privo di correlazione alla motivazione, giusta o sbagliata della corte capitolina, là dove essa ha valorizzato tale ultima circostanza, che, si badi, era imputabile ad un soggetto che rappresentava, sebbene nella procedura esecutiva, la A. e che, all’atto della restituzione è questo il senso implicito nella motivazione non aveva contestato il suo potere di rappresentanza. Questa mancanza di correlazione alla motivazione risulta tanto più esiziale se si considera che né nell’esposizione del fatto né nella stessa illustrazione del motivo in esame parte ricorrente ha indicato in che termini avesse argomentato sia dal precetto a ministero del suo attuale difensore, sia dalla notifica del pignoramento a ministero sempre del medesimo, sia quanto al comportamento dell’Avvocato B. , il cui atto di restituzione degli assegni nemmeno viene riprodotto né direttamente né indirettamente. Nella descritta situazione il denunciato vizio di sussunzione risulta argomentato in modo inammissibile, sia, come s’è detto, per mancanza di correlazione alla motivazione della sentenza impugnata, sia per carenza di chiarezza espositiva e di osservanza sotto l’ultimo profilo indicato dell’art. 366 c.p.c., n. 6. 4. Il ricorso è conclusivamente rigettato. Non è luogo a provvedere sulle spese. Si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater. Si dà atto che la presente motivazione è stata estesa dal Presidente in sostituzione del Relatore, ai sensi dell’art. 276 c.p.c., comma 5. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese. Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.