Con la legge 8 agosto 1995, numero 335, la previdenza italiana, per ragioni di sostenibilità di lungo periodo, ha optato per il sistema di calcolo contributivo delle prestazioni, in pro rata, ma pian piano abbandonando il più generoso sistema di calcolo retributivo.
Dal 1995 in poi tutta la legislazione intervenuta in materia si è sempre riferita a un sistema previdenziale informato al criterio di calcolo contributivo delle prestazioni. Cassa Forense, nonostante il mio tentativo del 14.02.2008, è rimasta pervicacemente ancorata al sistema di calcolo retributivo che ha sì corretto nelle annualità da prendere in considerazione agli effetti del pensionamento, ma non nel sistema di calcolo della prestazione. Ora il legislatore ha introdotto la cd. pace fiscale con la rottamazione ter di cui al d.l. numero 119/2018, convertito con modificazioni dalla l. numero 136/2018 e con la legge di stabilità il saldo stralcio per i contribuenti in difficoltà economica, ivi compresi i liberi professionisti verso le rispettive Casse di appartenenza. Per le Casse di previdenza, quasi tutte, che nel tempo hanno optato per il sistema di calcolo contributivo, le novità legislative non creeranno grossi problemi perché il calcolo della prestazione resta sempre ancorato al montante contributivo versato. Non altrettanto per Cassa Forense che è, come si diceva più sopra, pervicacemente rimasta ancorata al sistema di calcolo retributivo. Il condono contributivo avrà un doppio effetto perverso per Cassa Forense perché diminuirà drasticamente la raccolta dei contributi abbattendo notevolmente il monte crediti nei confronti degli iscritti, dichiarato in bilancio, che si aggira intorno al miliardo e 200 milioni, ma avrà effetti anche sulla spesa per prestazioni dovendo riconoscere, a tutti gli effetti, le annualità dichiarate. Il Presidente di Cassa Forense, conscio del problema, ha subito dichiarato che le annualità non saranno riconosciute agli effetti pensionistici ma ho ragione di ritenere che in base ai principi generali dell’ordinamento un tanto non sia possibile e lo ha riconosciuto la stessa dott.ssa Serena Mantegna, tirocinante presso l’Ufficio legale di Cassa Forense nel suo La rottamazione delle liti tributarie e i conseguenti effetti in materia previdenziale quando afferma che «nel silenzio del legislatore, si dovrebbe ritenere che, poiché si tratta in tal caso, di definizione agevolata con la previsione del pagamento da parte del contribuente dell’imposta accertata per l’intero, non si possano escludere effetti sul piano previdenziale, in quanto il contribuente, esplicitamente, consente alla ridefinizione del proprio reddito suscettibile di imposizione». Si prospetta comunque l’apertura di un nutrito contenzioso tra un numero molto elevato di beneficiari della pace fiscale e Cassa Forense. Secondo un sondaggio effettuato dalla Banca d’Italia nel 2008 il condono è un segnale di debolezza dello Stato dall’Unità d’Italia se ne sono susseguiti ben 80 un italiano su tre ritiene che l’introduzione del condono aumenti l’evasione e sia demotivante per i contribuenti regolari. Debolezza o non debolezza, oggi dobbiamo fare i conti con l’applicazione di queste due misure da sole in grado di dissestare tutti gli equilibri tecnico – attuariali del bilancio tecnico di Cassa Forense al 31.12.2017, non ancora reso pubblico. Se nel 1995 l’Italia ha adottato il motore elettrico contributivo e Cassa Forense è rimasta pervicacemente al motore a gasolio retributivo era evidente che prima o poi sarebbe venuto a mancare il gasolio. Che fare ora? A metà gennaio si insedierà il nuovo Comitato dei Delegati di Cassa Forense ai quali spetterà il gravoso compito di gestire la situazione complessa così venutasi a determinare. Noi, a suo tempo, avevamo lanciato un “manifesto” di riforma strutturale dell’intero sistema previdenziale forense. Qualcosa si può fare ancora l’unica cosa da evitare è traccheggiare aspettando l’effetto domino che in previdenza è sempre in agguato.