La cancellazione dall’albo dell’avvocato dell’ente pubblico comporta la perdita dello jus postulandi

La notifica della sentenza munita della forma esecutiva è valida anche se effettuata a mani della parte personalmente, priva di difensore atteso che la cancellazione dell’avvocato importa sia alla carenza della legittimazione a compiere e riceve atti processali che all’estinzione del processo.

Così ha stabilito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 27308/18, depositata il 26 ottobre. Lavori pubblici eseguiti senza decreto ablativo. Un terreno di proprietà di comuni cittadini viene temporaneamente occupato per lo svolgimento di lavori pubblici. Peraltro, i proprietari terrieri ricorrono in giudizio dato che i lavori pubblici erano stati realizzati senza l’emissione di un decreto ablativo. Il Tribunale territoriale condannava l’Amministrazione provinciale al pagamento in favore di privati cittadini di una somma a titolo di risarcimento danni per occupazione illegittima e di indennità di occupazione temporanea del suolo, provvedimento munito inoltre della forma esecutiva e notificato personalmente alla convenuta condannata. Due avvocati, due cancellazioni dall’albo professionale. La rappresentanza legale dell’Amministrazione in riferimento ha subito svariate modifiche un primo avvocato si era volontariamente cancellato dall’albo ordinario e anche il secondo difensore, entrato in sostituzione del precedente, procedeva con la volontaria cancellazione dell’albo speciale. Al verificarsi di detti eventi l’amministrazione impugna la sentenza di primo grado ma la Corte d’Appello dichiara l’inammissibilità del gravame in riferimento per inosservanza del termine breve d’impugnazione e rilevando l’interruzione del processo per decadenza dello jus postulandi del relativo rappresentante. All’ente pubblico non rimane che ricorrere in Cassazione deducendo una falsa applicazione dell’art. 310, comma 1 Morte o impedimento del procuratore c.p.c Infatti, secondo la ricorrente l’interruzione del processo non sussisteva dato che il secondo avvocato aveva provveduto alla cancellazione dall’albo speciale e non da quello ordinario potendo egli ancora ricevere gli atti processuali indirizzati alla parte rappresentata. Inoltre la ricorrente censurava la notifica del provvedimento esecutivo avvenuta personalmente, ossia non presso il domicilio del rappresentate eletto – seppure non iscritto all’albo -, notifica quindi inidonea per la decorrenza del termine breve. La perdita dello jus postulandi determina l’interruzione del processo. Gli Ermellini hanno recentemente ribadito che l’art. 301 c.p.c. spiega i propri effetti anche nel caso di cancellazione, volontaria o meno, dell’avvocato dall’albo forense, dato che l’elemento che rileva è la perdita dello status di avvocato legalmente esercente . Nel caso in esame, la cancellazione dall’albo speciale, effettuata dal secondo rappresentante dell’ente pubblico, comportando la cessazione del rapporto di impiego, ha determinato la perdita dello jus postulandi . Il legame instaurato tra l’avvocato e l’amministrazione pubblica ha origine nel rapporto di impiego e il suo venire meno determina una causa inscindibilmente connessa alle vicende processuali, tale da determinare un’automatica interruzione del processo ancorché il giudice o le parti non ne abbiano avuto conoscenza, con la conseguente nullità degli atti successivi e della sentenza eventualmente impugnata . Tale nullità può essere sanata” solo attraverso l’impugnazione della parte interessata alla prosecuzione del processo, sanatoria non effettuata dalla ricorrente. La Suprema Corte respinge il ricorso, affidandosi all’applicazione dell’enunciato principio e ritenendo inoltre irrilevante la deduzione della ricorrente in riferimento alla decorrenza dei termini brevi per la notifica, dato che il provvedimento emesso a seguito del giudizio di primo grado era munito della formula esecutiva, prospettando la possibilità di notificare detta sentenza anche direttamente alla parte condannata.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 11 luglio – 26 ottobre 2018, n. 27308 Presidente Giancola – Relatore Sambito Fatti di causa Con sentenza del 7 ottobre 2003, il Tribunale di Catanzaro condannava l’Amministrazione Provinciale di Catanzaro al pagamento in favore di C.T. , R. e Ro. della somma di Euro 52.459,98, oltre interessi e rivalutazione, a titolo di risarcimento del danno da occupazione illegittima e di indennità di occupazione temporanea di un terreno sul quale era stata costruita una strada, senza l’emissione di decreto ablativo. Il gravame proposto dall’Amministrazione con citazione del 2628 ottobre 2004 veniva dichiarato inammissibile, in riferimento al termine breve computato dalla notifica alla parte personalmente del 21 giugno 2004, con sentenza del 24.9.2012 della Corte d’Appello di Catanzaro che, dopo aver evidenziato che durante il lungo iter processuale si erano succeduti nella rappresentanza dell’Ente tre legali del libero foro, in nomina congiunta e disgiunta col Dirigente dell’Ufficio legale Avv. Natalino Bianco, osservava che a l’Avvocato del libero foro Alberto Scerbo si era volontariamente cancellato dall’albo, il 23.12.1992, il che aveva fatto venir meno lo jus postulandi e la perdita di legittimazione a compiere e a ricevere atti processuali b l’8 gennaio 1997 l’Avvocato Bianco era stato cancellato dall’Albo speciale degli Avvocati dell’ente pubblico, con conseguente perdita dello jus postulandi per una causa equiparabile a quelle elencate dall’art. 301 c.p.c. c la mancata interruzione del processo in primo grado e la sua irrituale continuazione non potevano esser rilevati ex officio, ma solo dall’Amministrazione che era stata colpita dall’evento. Per la cassazione della sentenza, ha proposto ricorso l’Amministrazione Provinciale di Catanzaro con un motivo, al quale i C. hanno resistito con controricorso. Ragioni della decisione 1. Col proposto ricorso, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 301 ed 85 c.p.c., per non avere i giudici d’appello considerato che contestualmente all’avvenuta cancellazione dall’albo speciale dell’Avv. Bianco si era avuta l’iscrizione di detto Professionista all’albo ordinario, e tale situazione doveva essere rapportata al caso della cancellazione volontaria, che, secondo la giurisprudenza di legittimità Cass. n. 10301 del 2012 , non dà luogo ad interruzione, non essendo assimilabile alle ipotesi di cui all’art. 301, co 1, c.p.c. In concreto, prosegue la ricorrente, il difensore cancellato doveva essere equiparato a quello rinunciante e doveva continuare a considerarsi legittimato nei confronti della controparte a ricevere la notifica degli atti e della sentenza, con la conseguenza che la notifica ad essa Amministrazione, che aveva eletto domicilio presso gli avvocati esterni, fatta, peraltro a fini esecutivi, non valeva a far decorrere il termine breve. 2. Disattesa l’eccezione d’inammissibilità del ricorso, adeguatamente autosufficiente, lo stesso è infondato. 3. Va, anzitutto, rilevato che la giurisprudenza invocata, secondo cui gli effetti della cancellazione volontaria dall’albo da parte dell’Avvocato comporta la rinuncia allo ius postulandi nei confronti del cliente, ma non produce effetti dal lato passivo del potere di rappresentanza potendo egli ancora ricevere gli atti indirizzati alla parte rappresentata, è stata sconfessata dalle SU di questa Corte, che, con la sentenza n. 3702 del 2017, emessa proprio a composizione del contrasto, hanno, tra l’altro, affermato il principio secondo cui la disposizione di cui all’art. 301, co 1, c.p.c. si applica, anche, al caso della cancellazione volontaria, in quanto ciò che rileva è la perdita dello status di avvocato legalmente esercente, non importa per quale causa, volontaria od autoritativa, essa sia. 4. Sotto altro profilo, la ricorrente non ha considerato che il principio richiamato non è neppure direttamente calzante, in quanto, secondo quanto si legge nell’impugnata sentenza ed è incontroverso, l’Avv. Bianco unico procuratore dopo la cancellazione dall’albo dell’Avv. Scerbo era dirigente dell’Amministrazione, iscritto nell’albo speciale degli avvocati dell’ente pubblico e cancellatosi da tale albo nel 1997, nel corso del giudizio di primo grado. E questa Corte Cass. n. 25638 del 2016 e giurisprudenza ivi richiamata ha, già, condivisibilmente, affermato che gli avvocati e procuratori dipendenti di enti pubblici ed iscritti nell’albo speciale annesso a quello professionale sono abilitati al patrocinio esclusivamente per le cause e gli affari propri dell’ente presso il quale prestano la loro opera, onde la cessazione del rapporto di impiego, determinando la mancanza di legittimazione a compiere e a ricevere atti processuali relativi alle cause proprie dell’ente, comporta il totale venir meno dello jus postulandi per causa equiparabile a quelle elencate dall’art. 301 c.p.c. È stato, in particolare, precisato Cass. n. 20361 del 2008 che il rapporto di patrocinio che si instaura tra l’ente pubblico e l’avvocato in servizio presso l’ufficio legale dell’ente in qualità di lavoratore dipendente trova la propria origine nel rapporto di impiego, non è dunque assimilabile a quello che sorge dal contratto di prestazione d’opera professionale, regolato dalle norme ordinarie sul mandato, sicché, da una parte, il momento in cui esso cessa è inscindibilmente connesso alle vicende del rapporto di impiego assunto come unica fonte dell’incarico e dell’obbligazione lavorativa del dipendente con conseguente inapplicabilità della disciplina di cui all’art. 85 c.p.c., e, dall’altra, determina automaticamente l’interruzione del processo, ancorché il giudice o le altre parti non ne abbiano avuto conoscenza, con la conseguente nullità degli atti successivi e della sentenza eventualmente pronunciata. 5. Tale nullità, secondo il generale principio di conversione, può esser dedotta solo con l’impugnazione -che assume la funzione di richiesta di prosecuzione del giudizio svolta dalla parte il cui procuratore è stato colpito dall’evento interruttivo, in quanto, essendo le norme sull’interruzione del processo volte a tutelare la parte nel confronti della quale si sia verificato detto evento e che dallo stesso può essere pregiudicata, questa è la sola legittimata a valersi della mancata interruzione. E tanto non ha fatto l’odierna ricorrente, che, in sede d’appello, ha formulato censure di merito ed ancor oggi contesta esser intervenuta l’interruzione del giudizio di primo grado per effetto della perdita dello jus postulandi dell’unico procuratore rimasto, Avv. Bianco. 6. In tale cornice, correttamente la Corte d’Appello ha ritenuto valida, ai fini della decorrenza del termine breve, la notifica della sentenza effettuata a mani della parte personalmente, priva di difensore, essendo, da una parte, irrilevante che la sentenza fosse, anche, munita della formula esecutiva, in quanto la volontà di porla in esecuzione della parte che ha chiesto la notifica non spiega effetti ai fini qui in esame, e, dall’altra, infondata la tesi secondo cui sarebbe sussistente l’elezione di domicilio presso gli avvocati del libero foro, che si erano via via succeduti, atteso che la volontaria cancellazione dall’albo degli avvocati dell’ultimo di essi importa, oltre alla mancanza di legittimazione di quel difensore a compiere e ricevere atti processuali, di cui si è detto, anche, il venir meno dell’elezione di domicilio presso il medesimo cfr. Cass. n. 19225 del 2011 . 7. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna alle spese, che liquida in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a. titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, dello stesso art. 13.