Offese temerarie

Bon ton, fair play, Verfeinerung non sempre appartengono alla nomenclatura degli avvocati. Le norme dicono altro, e dunque lex scripta, ma non lex certa.

Temerarietà tout court. Il vocabolario Treccani definisce temerario 1. a. Che si espone a un pericolo senza necessità e senza riflessione, con un comportamento sconsiderato e imprudente. b. Che ha, che denota un’audacia sfacciata e insolente. 2. Avventato, inconsiderato . La traccia è ottima anche per un giurista, al meno per una connotazione spregiativa univoca, ben impiegata per quella che il legislatore chiama “responsabilità aggravata”. Le offese pronunciate all'indirizzo di una parte del processo ed emblematicamente nei confronti di un collega ne sono un’epifania manifesta, secondo la lettera degli articolo 88 e 89 c.p.c. ma non solo siamo nei dintorni dell'articolo 96 c.p.c. non tanto per ragioni di successione numerica con evidenti connessioni tematiche e sistematiche. Alcuni “a priori” per alleggerire questo pezzo, attinente alla materia dell'abuso del diritto 1. il tema vive di un forte nucleo centrale e di contorni sfumati 2. il rapporto tra nucleo e periferie risponde a logiche diverse, talvolta centrifughe, talaltra centripete 3. dettagliare un aspetto dell'abuso del diritto può significare saggiare le ricadute specifiche di un principio imprescindibile ius utendi non est ius abutendi oppure apportare un contributo alla sua migliore ricostruzione secondo una logica induttiva. Dovere di lealtà e di probità, espressioni sconvenienti ed offensive. Queste le rubriche, rispettivamente, degli articolo 88 e 89 c.p.c., che preludono a regulae iuris prevalentemente sintetiche e talvolta - potrebbe dirsi - elementari. articolo 88 1. Le parti e i loro difensori hanno il dovere di comportarsi in giudizio con lealtà e probità. 2. In caso di mancanza dei difensori a tale dovere, il giudice deve riferirne alle autorità che esercitano il potere disciplinare su di essi. articolo 89 1. Negli scritti presentati e nei discorsi pronunciati davanti al giudice, le parti e i loro difensori non debbono usare espressioni sconvenienti od offensive. 2. Il giudice, in ogni stato dell'istruzione, può disporre con ordinanza che si cancellino le espressioni sconvenienti od offensive, e, con la sentenza che decide la causa, può inoltre assegnare alla persona offesa una somma a titolo di risarcimento del danno anche non patrimoniale sofferto, quando le espressioni offensive non riguardano l'oggetto della causa. Tanti gli spunti, poco lo spazio a disposizione l'essenza di questo microsistema collocato in un capo ad hoc del codice, titolato Dei doveri delle parti e dei difensori , è l’esigenza di correttezza. Non si faccia mistero dell'ampiezza e diffusione/diffusività del principio. Correttezza precontrattuale e correttezza nella fase dell'esecuzione, a titolo emblematico, sono ambiti, meno esplorati di altri, che, con il loro ricevere attenzione. rendono ancor più ragione dell’importanza della materia. Veniamo al dunque sono temerarie le offese che concretizzano violazioni dei doveri di probità e lealtà che sono parte importante di una buona giustizia. Il processo non è luogo di offesa, così come è poco “processuale” tutto ciò che non serve al giudice per svolgere il proprio compito di accertare il fatto ed assumere consequenziali determinazioni. Ancora meglio, le espressioni sconvenienti ed offensive sono bandite, con un importante distinguo il dovere è generale ed espresso, le conseguenze accessorie. Il giudice ha facoltà di ordinarne la cancellazione e di riconoscere un risarcimento del danno qualora decampassero dall'oggetto della causa spetta al giudicante che si trova a rilevare la violazione. In giurisprudenza, l'apprezzamento del giudice di merito sul carattere sconveniente od offensivo delle espressioni contenute nelle difese delle parti e sulla loro estraneità all'oggetto della lite, nonché l'emanazione o meno dell'ordine di cancellazione delle medesime, integrano l'esercizio di un potere discrezionale non sindacabile in sede di legittimità Cassazione numero 14364/18 . Inevitabile corollario, ad avviso dei più, nell'omnia munda mundis difficilmente si oltrepassano i confini della causa del resto, le parti sono In causa e dunque oggetto della causa, così come gli avvocati, i testimoni, etc. lo è anche il giudice, destinatario di ineccepibili e ben più ampie protezioni . La provocazione è evidente tutto è oggetto della causa significa interpretatio abrogans dei dettami richiamati. Per fortuna non è quel che accade, o per lo meno non sempre. Qualche principio sembra salvo quello della verità e quello della continenza operanti in materia di esercizio del diritto di critica VS diffamazione, mentre per il principio dell'interesse generale si può pensare ad un parallelismo con quello dell'interesse della causa. In altri termini, richiamata l'esigenza di veridicità delle espressioni, onde sfrondare le memorie da sovrabbondanti suggestioni difensive al meno mal fondate, frequentemente menzognere, a titolo di continenza si può richiamare il tema dell'oggetto della causa, con l'anzidetta problematicità. Secondo una logica deduttiva, le ricadute delle strutture delineate vanno apprezzate in casi specifici, attraverso una ricognizione volatile della giurisprudenza in materia. Secondo il TAR L’Aquila, sez. I, 2.01.2017, numero 1, «non sussistono i presupposti contemplati dall'articolo 89 c.p.c. quando le espressioni usate negli scritti difensivi non siano dettate da un passionale ed incomposto intento dispregiativo e non rivelino perciò un intento offensivo nei confronti della controparte, ma, conservando pur sempre un rapporto, anche indiretto, con la materia controversa, senza esorbitare dalle esigenze difensive, siano preordinate a dimostrare, attraverso una valutazione negativa del comportamento dell'avversario, la scarsa attendibilità delle sue affermazioni». Il solco è quello tracciato da Cass. Civ., sez. lav., n 21031/16 «non possono essere qualificate offensive dell'altrui reputazione le parole come, nella specie, la parola contrabbandare , che, significando far passare qualcosa per ciò che non è , si iscrive nella normale dialettica difensiva e, riferita ad una tesi della controparte, serve semplicemente a rafforzare l'assunto della scarsa attendibilità di tale tesi , che, rientrando seppure in modo piuttosto graffiante nell'esercizio del diritto di difesa, non si rivelino comunque lesive della dignità umana e professionale dell'avversario». Altrove l’atteggiamento è speculare secondo Cons. Stato, sez. V, numero 4371/14, «Ai sensi dell'articolo 89 c.p.c. deve essere accolta la richiesta del ricorrente di cancellazione dagli scritti dell'Amministrazione resistente di frase dalla stessa compilata nella specie, “assoluta malafede” che, sebbene priva dell'intento offensivo gratuito, risulta comunque sconveniente per il fatto di risolversi in una mera illazione volta a censurare un comportamento di controparte ritenuto non corretto». Con toni risoluti si esprime Cons. Stato, sez. VI, numero 6308/13 «Le espressioni sconvenienti od offensive ex articolo 89 c.p.c. consistono in tutte quelle frasi, attinenti o meno all'oggetto della controversia, che superino il limite della correttezza e della convenienza processuale, espresse nei riguardi dei soggetti presenti nel giudizio, in violazione di tutti i principi posti a tutela del rispetto e della dignità della persona umana e del decoro del procedimento. Per costante giurisprudenza della Cassazione l'ipotesi di cui alla citata disposizione processualcivilistica è integrata in caso di espressioni eccedenti le esigenze difensive ed avulse dalla materia del contendere». Ben si coglie una divaricazione di posizioni ed invero una più apprezzabile sensibilità del Giudice Amministrativo che inevitabilmente rafforza direttrici poco certe, a fronte di una lex scripta, come in avvio, a prescindere da chi puro si senta e chi no. La speranza di poter guardare all’avvocato diversamente dalle altre parti del processo come Arbiter elegantiarum, va dunque rinviata a data da destinarsi.