L’obbligo del dominus di insegnare una professione a un giovane laureato non può essere suscettibile di valutazione economica

Con il ricorso in Cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una differente interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione dei fatti operata dal Giudice di merito.

L’obbligo di formazione dei giovani laureati è un dovere in capo al dominus non soggetto a valutazione economica. La fattispecie. Nel caso in esame il Giudice di merito aveva condannato l’avvocato a restituire al padre del praticante l’importo di € 10mila che, a dire di quest’ultimo, era stato corrisposto per la realizzazione di una società tra professionisti. Il dominus , diversamente, aveva sostenuto l’inesistenza dell’obbligo restitutorio in quanto detta somma era stata versata in parte per ragioni di riconoscenza per aver assunto l’obbligo di insegnare al figlio una professione e, in parte, avrebbero dovuto essere restituiti al figlio come retribuzione per un’attività la pratica forense n.d.a. che solitamente viene svolta gratuitamente. La pratica forense secondo la Corte d’Appello di Milano. La Corte d’Appello di Milano, investita del caso, aveva asserito che l’obbligo di formazione professionale dei giovani laureati è un dovere in capo al dominus che non può essere ritenuto oggetto di valutazione economica e, in ogni caso, la pratica forense è qualificabile come una vera e propria attività lavorativa. I limiti del giudizio di Cassazione. In via preliminare il Supremo Collegio ribadisce, ancora una volta, che con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una differente interpretazione, la valutazione delle risultanze processuale e la ricostruzione della fattispecie operate dai Giudici di merito in quanto il nostro Ordinamento non prevede tre gradi di giudizio. L’irrilevanza del codice deontologico nel caso in esame. La Corte, in maniera molto sbrigativa, sostiene l’irrilevanza dell’art. 40 del codice deontologico che regola i rapporti tra il dominus e il praticante in quanto, nel caso in esame, la questione ha ad oggetto i rapporti tra il padre del praticante e il legale senza che, dunque, venga in rilievo la posizione del figlio praticante avvocato.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 1, ordinanza 17 aprile – 9 ottobre 2018, n. 24791 Presidente Cristiano – Relatore Dolmetta Fatto e diritto 1.- M.C. ha convenuto avanti al Tribunale di Pavia D.M., per sentirlo condannare alla restituzione di una somma di danaro. A fondamento della pretesa, l’attore ha assunto che nell’estate del 2004 aveva consegnato la somma in funzione di una futura associazione professionale da costituirsi tra il proprio figlio P., laureato in giurisprudenza, e l’avv. D., una volta che pure il primo avesse conseguito il titolo di avvocato tuttavia, nel passare del tempo questa prospettiva era venuta a cadere, non avendo tra l’altro M.P. superato il relativo esame, per quanto più volte avesse tentato di farlo. Sicché l’avv. D. tratteneva ora sine ulto titulo la somma in questione. Costituitosi in giudizio, D.M. ha affermato che la versione esposta dall’attore non corrispondeva al vero, sostenendo per contro che l’attribuzione patrimoniale ricevuta aveva, in realtà, finalità in parte di liberalità ma in parte, e prevalentemente, di corrispettivo, inquadrabile nell’ambito del negotium mixtum cum donatione, tale da rendere insussistente l’obbligo restitutorio in capo al soggetto percipiente . Più in particolare, l’avvocato ha asserito - secondo quanto riferisce il ricorso da lui presentato - che la somma gli era stata versata per ragioni di riconoscenza , in quanto M.P. quale praticante digiuno di qualsiasi competenza veniva accolto nel suo studio professionale e, più ancora, come corrispettivo del fatto che egli metteva a disposizione del praticante il proprio studio legale, nonché del fatto che lo avrebbe stipendiato stabilmente e in maniera cospicua, secondo i desiderata del padre, per un’attività che normalmente i praticanti avvocati prestano gratuitamente o pressoché gratuitamente , secondo quanto poi regolarmente avvenuto. 2.- Con sentenza n. 802/2014, il Tribunale di Pavia ha ritenuto che la consegna della somma, effettuata da M.C. a D.M., aveva causa come acconto per la futura realizzazione dell’associazione in partecipazione fra l’avv. D. e M.P. - o comunque è stata data all’avv. D. in deposito fiduciario vincolato alla realizzazione di tale associazione riscontrata altresì la mancata realizzazione dell’associazione, il Tribunale ha condannato il convenuto alla restituzione della somma, oltre interessi legali dal dì della domanda al saldo, a titolo di restituzione dell’indebito . La decisione è stata poi confermata dalla Corte di Appello di Milano, che con sentenza del 10 novembre 2016 ha respinto l’impugnazione proposta da D La Corte milanese ha rilevato, in particolare, che la ricostruzione dei fatti operata da M.C. appare coerente, razionale e suffragata dalle testimonianze raccolte in primo grado . E ha aggiunto che, d’altro canto, la tesi sviluppata dal convenuto appellante non risultava in alcun modo provata e che, per altro verso, la stessa appariva del tutto inverosimile sia perché l’attività di formazione e professionalizzazione dei giovani laureati costituisce una sorta di dovere che sorge in capo al dominus e che di certo non può ritenersi oggetto di valutazione economica , sia pure perché la pratica legale è un’attività paragonabile a tutti gli effetti a una attività lavorativa vera e propria . 3.- Contro la sentenza della Corte milanese è insorto D.M., che ne ha chiesto la cassazione sulla base di tre motivi di ricorso. M.C. non ha svolto attività difensive. Il ricorrente ha anche depositato una memoria difensiva ex art. 380 bis cod. proc. civ 4.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione delle norme degli artt. 2721, 2715 e 2724 cod. civ., in ordine alla valutazione della prova , e pure violazione della norma dell’art. 2549 cod. civ., in ordine alla prova della sussistenza del contratto di associazione in partecipazione . Nel concreto, il motivo mostra di possedere un contenuto articolato. In termini di approccio generale, il ricorrente assume che la Corte non ha tenuto conto delle obiezioni sollevate dalla scrivente difesa in merito all’onere probatorio gravante su parte attrice - circa la sussistenza di un accordo tra le parti volto alla costituzione di un’associazione in partecipazione . In primo luogo, la Corte milanese non ha tenuto conto del rilievo relativo all’ assoluta incertezza della causa petendi dell’azione proposta da M.C Non si comprende puntualizza il motivo - se la richiesta faccia riferimento alla svanita prospettiva di costituire un’associazione professionale . oppure un’associazione in partecipazione ex art. 2549 ss. cod. civ. o, ancora, una vera e propria società tra professionisti . Peraltro, la stessa confusione - prosegue l’esposizione - ha ispirato evidentemente sia il giudice di primo grado sia la Corte di Appello. In entrambe le impugnate sentenze, viene ritenuto accertato che la somma , a suo tempo corrisposta, era finalizzata alla costituzione di un’associazione in partecipazione tra l’avv. D. e M.P. . In secondo luogo, il motivo rileva che la Corte milanese non ha tenuto conto del fatto che l’attuale ricorrente ha positivamente dimostrato pur non essendovi gravato che la fattispecie concretamente in esame non costituiva un’associazione in partecipazione, quanto invece un negotium mixtum cum donatione. In terzo luogo, la Corte milanese non ha tenuto conto del rilievo - particolarmente sottolineato negli atti dell’attuale ricorrente - che l’ammissione della prova testimoniale per il riscontro della sussistenza in fattispecie di un contratto di associazione in partecipazione si poneva in evidente contrarietà al disposto degli artt. 2721 e 2725 cod. civ. . 5.- Il motivo non può essere accolto. La prima parte del motivo si scontra con la constatazione che la sentenza della Corte di appello appare univoca, in verità, nel qualificare il contratto intercorso tra M.C. e D.M. nei termini di futura costituzione di un’associazione in partecipazione. Lo stesso motivo di ricorso, d’altro canto, non risulta individuare i punti in cui la sentenza manifesterebbe incertezze o ambiguità qualificatorie né indica la rilevanza che - rispetto alla fattispecie concretamente in esame, concentrata unicamente sull’eventualità di una sopravvenuta mancanza di causa di un’attribuzione di danaro - potrebbe in thesi assumere una diversa qualificazione dell’accordo intervenuto in termini di futura associazione professionale o di futura società. La seconda parte del motivo viene dichiaratamente a sollecitare una nuova lettura della fattispecie concretamente in giudizio. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, tuttavia, con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici di merito poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità cfr, da ultimo, Cass., 7 dicembre 2017, n. 29404 . La terza parte del motivo trascura di prendere in considerazione la norma dell’art. 2721 comma 2 cod. civ., a mente della quale l’autorità giudiziaria può consentire la prova per testimoni dei contratti anche oltre il limite di valore che risulta fissato nel comma 1 del medesimo articolo. 6.- Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione dell’art. 40 rapporti con i praticanti del codice deontologico forense, per cui l’avvocato deve fornire al praticante un idoneo ambiente di lavoro e, fermo l’obbligo di rimborso delle spese, riconoscergli, dopo il primo semestre di pratica, un compenso adeguato, tenuto conto dell’utilizzo dei servizi e delle strutture di studio . Ad avviso del ricorrente, la sentenza impugnata si pone in evidente contrasto con tale disposizione laddove afferma che l’attività di formazione del praticante costituisce per l’avvocato dominus un dovere che non può ritenersi oggetto di valutazione economica . D’altro canto - prosegue il motivo -, la sentenza ha errato pure nel ritenere che la somma percepita dall’avv. D. sia stata da quest’ultimo pretesa dal praticante quale compenso per l’attività di formazione e professionalizzazione, con ciò travisando . la ricostruzione dei fatti fornita dall’attuale ricorrente, che invece faceva riferimento alla possibilità di utilizzo di beni e strutture per portare avanti, da solo o con altri colleghi, del lavoro proprio . 7.- Il motivo non può essere accolto. In proposito, va riscontrato prima di ogni altra cosa come il motivo difetti del necessario requisito dell’autosufficienza art. 366 cod. proc. civ. , non riportando i luoghi e i termini in cui, nell’ambito del giudizio di merito, l’attuale ricorrente avrebbe specificamente indicato che parte sostanziale della somma percepita andava imputata a un previsto utilizzo dei servizi e delle strutture del suo studio professionale e non già, come inteso invece dalla sentenza impugnata, all’attività di formazione della professionalità del praticante . Più in generale va poi rilevato che il motivo chiede una nuova lettura della fattispecie concreta, come iscritta all’interno della prospettiva indicata dal ricorrente, che fa perno sulla figura del contratto misto, di scambio in parte e in parte di liberalità. Non può esservi dubbio, del resto, sul fatto che nella specie non risulti applicabile l’art. 40 del codice deontologico, posto che questa norma è destinata a regolare i rapporti tra un avvocato e i suoi praticanti, mentre nel caso in esame la questione verte sui rapporti tra M.C. e l’avv. D. senza dunque che venga in diretto rilievo la posizione del praticante M.P. . Per completezza, è ancora da aggiungere che - non rientrando nell’ambito dei servizi e delle strutture di studio - il dovere formativo della professionalità del praticante, che sta in capo al dominus, si manifesta oggettivamente estraneo alla portata normativa dell’art. 40. E pure che, a ben vedere, il fatto che M.P. abbia nel concreto utilizzato le strutture dello studio D. non implica che il patto, precedentemente intercorso tra l’avvocato e il padre del futuro praticante, prevedesse una speciale remunerazione per il detto, eventuale utilizzo. 8.- Il terzo motivo di ricorso assume vizio di omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, ai sensi del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ Il riferimento va, in particolare, alla causa intentata da M.P. nel 2011 nei confronti dell’avv. D. per il riconoscimento del rapporto di lavoro di tipo subordinato , che sarebbe intercorso negli anni in cui questo ha prestato la propria attività nel detto studio professionale. Ad avviso del ricorrente, questa circostanza si scontra inevitabilmente con la tesi dell’associazione in partecipazione, sostenuta dal padre . 9.- Il motivo non può essere accolto. La causa intentata da M.P. non può in nessun modo essere considerata fatto decisivo per l’esito del presente giudizio. In effetti, tale causa fa riferimento a un periodo temporale precedente a quello in cui avrebbe dovuto essere costituita l’associazione per l’appunto prevista per il tempo successivo al conseguimento del titolo professionale e sopravviene, per di più, a distanza di parecchi anni dall’accordo intercorso tra il padre dell’attore di quella causa e D.M 10.- In conclusione, il ricorso dev’essere respinto. P.Q.M. La Corte respinge il ricorso. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater d.p.r. n. 115/2002, dà atto della sussistenza di presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.